FattoQuotidiano (6/7/2014) • Violenza di genere… (q4)

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•  Il femminismo e il pensiero del ’68 però, non hanno prodotto una differenza sostanziale per il superamento della violenza di genere.

“Nel ’68 — conclude Fagioli — la libertà venne vissuta come negazione. Il mito, la ‘religione’ di quegli anni era la liberazione, che però prevedeva una negazione dell’identità. Ma la rivolta senza identità umana è distruzione, è negazione. Era completamente assente la dialettica del rifiuto. Bastava distruggere. Invece nella rivolta ci vuole il rifiuto. Bisogna sapere cosa rifiutare e cosa no. La libertà era un qualcosa di astratto, fuori da ogni rapporto interumano. E col femminismo abbiamo avuto più o meno la stessa dinamica. I diritti sono fondamentali, ma la dialettica col diverso ci deve essere, è fondamentale. Per trovare l’identità sessuale bisogna prima scoprire un fondamento di uguaglianza assoluta. Noi nasciamo tutti assolutamente uguali, nella vita bisogna prima scoprire questa uguaglianza e solo in un secondo momento far entrare in ballo il discorso uomo-donna e la diversità. Nel rapporto interumano non c’è il rapporto con la ‘cosa’, secondo quella logica mostruosa di cui parlavo prima. L’essere umano è uguale e diverso e questo si realizza in società. Nel rapporto intimo scatta la differenza e questo il femminismo non lo ha capito. Nella dialettica col diverso si ricrea il primo anno di vita. Sessualità significa rapporto intimo, profondo, personale, inconscio, con l’essere umano uguale-diverso”.

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FattoQuotidiano (6/7/2014) • Violenza di genere… (q3)

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•  Fagioli torna al discorso del ‹pater familias›:

“Quello che conta per lui, è la funzione biologica della procreazione nella donna. Ancor più in un contesto di guerre, malattie, mortalità infantile una donna deve procreare continuamente. Ma con questo pensiero alla donna non si riconosce un’identità umana di donna per l’appunto. Per questo potrà essere considerata buona, cara, importante, ma non avrà un’identità e dunque non avrà libertà. L’unica cosa che si potrà fare dunque, sarà assisterla. Ricordiamoci che in un paese come l’India, dove la crescita demografica è preoccupante, Papa Wojtila andò a dire di fare più figli. Per la Chiesa la sessualità è da combattere, c’è solo la procreazione”.

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FattoQuotidiano (6/7/2014) • Violenza di genere… (q2)

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•  La differente funzione biologica è stata, fin dai tempi antichi, alla base della divisione dei ruoli. La donna sarebbe il sesso debole. La cultura ha costruito su una diversità biologica una gerarchia sociale.

“Il sodalizio tra cristianesimo mistico, irrazionale e il logos occidentale derivante dalla razionalità greca — mi dice il neuropsichiatra — dà vita alla figura del ‹pater familias›, il signore al quale è permessa anche la poligamia. Questi elementi li troviamo anche nell’Islam  più estremo. Se la donna vuole andare per conto suo, bisogna ammazzarla al fine di proteggere l’onore della famiglia. La donna va eliminata in quanto fonte del peccato, perché la sessualità deve servire esclusivamente alla procreazione e non è realizzazione umana. In questa logica mostruosa l’essere umano non c’è, è come se fosse soltanto una cosa”.

Per la Chiesa, la sacralità della famiglia deve essere difesa a qualsiasi costo. Con un certo assistenzialismo, inoltre, la donna che subisce violenza domestica è solo una vittima da assistere.

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FattoQuotidiano (6/7/2014) • Violenza di genere… (q1)

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•  Secondo Fagioli si tratta di un caso di schizofrenia:

“Un uomo che lucidamente e freddamente, non avendo il coraggio di dire che avrebbe voluto separarsi, ammazza tutti. Manca qui ogni rapporto con la realtà umana. Abbiamo fatuità, stolidità, anaffettività totale. Ma purtroppo siamo di fronte a una totale negazione della malattia mentale da parte della società, soprattutto in Italia. Non tutti i casi a cui assistiamo sono casi come questo, certo. Al centro del patto sociale, tuttavia, da 150 anni a questa parte c’è stato un fenomeno palese di negazione della malattia mentale. Secondo Foucault, la malattia mentale non esiste. Esistono modi di essere. Breivik che ammazza 77 ragazzi non è un malato, ma una sorta di partigiano. Assistiamo a questa reazione cattolica per la quale la cattiveria, la bestialità, la malattia, si trovano nell’uomo naturalmente, mentre religione e ragione controllano la bestia naturale. È la storia del peccato originale per la quale siamo tutti figli di Caino. E secondo la quale nel pensiero senza coscienza c’è l’animalità di Platone o la cattiveria della Bibbia. Da qui derivano i fenomeni sociali nella cui interpretazione, la malattia mentale viene fatta sparire, in particolare a partire dal dopo-guerra. Prima si parlava solo di malattia organica, poi con Foucault e Basaglia, pensiero che a sua volta deriva da Heidegger e Binswanger, aldilà della coscienza ci sarebbe solo male e distruttività”.

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FattoQuotidiano (6/7/2014) • Violenza di genere… (a4)

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L’anno scorso si sono registrate in Italia 177 uccisioni di donne, quasi una ogni due giorni. Siamo di fronte a un fenomeno sociale del quale bisogna assumersi le responsabilità. L’autore della strage di Motta Visconti dopo aver massacrato moglie e figli è andato a vedere la partita ed ha esultato per il gol dell’Italia. Poi è tornato a casa ed ha messo in scena lo sterminio della sua famiglia da parte di alcuni ladri. C’è decisamente qualcosa che non torna in queste famiglie apparentemente perfette nelle quali sembra irrompere una bestialità improvvisa. Eppure in questi casi la malattia mentale non sembra venir mai tirata in ballo dall’informazione e dai media. Forse gli stereotipi e l’immaginario della malattia mentale andrebbero rivisitati.

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FattoQuotidiano (6/7/2014) • Violenza di genere… (a3)

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Dopo diversi anni di lavoro come psichiatra che cercava una psicoterapia delle psicosi, propose nel 1971 il risultato delle sue esperienze e della sua formazione con il libro ‹Istinto di morte e conoscenza›. Successivamente con ‹La marionetta e il burattino› (1974) e ‹Teoria della nascita e castrazione umana› (1974) e ‹Bambino donna e trasformazione dell’uomo› (1979) suggellò l’impostazione della Teoria. Dal 1975 tiene una particolarissima psicoterapia di gruppo nota come Analisi collettiva con migliaia di partecipanti e che, tra l’altro, ha formato centinaia di psichiatri e di psicoterapeuti. È autore di 15 libri. Dal 2006 ha una rubrica sul settimanale ‹left›, le cui raccolte sono diventate una collana della casa editrice.

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FattoQuotidiano (6/7/2014) • Violenza di genere… (a1-2)

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Pochi giorni fa raccontavo la storia di Beatrice Ballerini, ennesima vittima del cosiddetto femminicidio. Quasi sempre nelle agghiaccianti cronache di questo fenomeno, la donna è stata la moglie dell’autore del delitto, e quest’ultimo non acconsentiva alla fine della relazione.

Su questo tema abbiamo raccolto il parere di Massimo Fagioli, medico specializzato in neuropsichiatria, che ci offre degli spunti di riflessione molto interessanti. Fagioli, infatti, ha fatto del rapporto uomo-donna uno dei punti fermi della sua teoria e ha inoltre denunciato più volte l’annullamento dell’identità femminile avvenuto nel corso dei secoli.

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FattoQuotidiano (6/7/2014) • Violenza di genere… (0)

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Violenza di genere, ‘il femminismo non è bastato a superarla’. Il pensiero di Massimo Fagioli


Donne di Fatto

di Elisa Liberatori Finocchiaro (Direttrice di Change.org)
Fatto Quotidiano — 6/7/2014 (6 luglio 2014)

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Repubblica (22/3/2014) • Quando Simone Weil… (q14)

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•  Cosa ritrovava nel lavoro di fabbrica?

Zellini: A parte i temi dello sfruttamento credo che la cosa che la interessasse era ancora una volta il rapporto con la scienza. Addirittura arrivò a dire che la geometria nasce dal coraggio dell’operaio, perché è il lavoro manuale che ci mette a contatto con lo spazio e col tempo. Più tardi cambiò idea. E proiettò la scienza nel contesto religioso. Ci si potrebbe a questo punto chiedere se la verità matematica è la stessa verità religiosa o sono due cose diverse. E la risposta non sarebbe facile. Certamente no, in senso assoluto. Perché Dio non è fatto di cerchi o triangoli. D’altro canto certe forme geometriche sono in qualche modo immagini divine.

Vannini: Si potrebbe attribuire alla Weil una specie di galileismo per cui la matematica è il linguaggio privilegiato di Dio.

Zellini: Sì, ma per lei la rivoluzionaria legge di inerzia di Galileo era già un tradimento: se un mondo dove c’è un corpo che conserva indefinitamente la sua velocità e la sua direzione era equivalente a un mondo in stato di quiete, veniva a cadere la stessa nozione di equilibrio.

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Repubblica (22/3/2014) • Quando Simone Weil… (q13)

  •  G n o l i  (2 0 1 4)  •  … p a r l a v a  d i  a n i m a  g e o m e t r i c a  •

•  In che misura la mistica, con cui la Weil interpretò Platone e predilesse una certa via del cristianesimo, diventò esperienza personale?

Vannini: Tutta la filosofia della Weil porta con sé un problema di conversione e di testimonianza. Ed è una filosofia segnata profondamente dal misticismo perché il suo pensiero è esercitato con tutta l’anima, con tutta se stessa, mettendo in discussione la sua vita. Fu una donna che provenendo dall’École Normale decise, per scelta, di fare l’operaia alla Renault, di partecipare alla Guerra di Spagna, di entrare nella Resistenza e finì con l’ammalarsi gravemente. È abbastanza raro imbattersi, con quella coerenza, in una vita rivolta alla verità.

Zellini: C’è da dire che la Weil non ebbe mai uno spiccato temperamento pratico e non riuscì poi a fare tutto quello che avrebbe voluto. Non riuscì, più di tanto, a lavorare nelle fabbriche.

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Repubblica (22/3/2014) • Quando Simone Weil… (q12)

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•  Quello che l’‹Iliade› rappresenta sul piano della narrazione epica, Platone lo rappresenterà sul piano filosofico. È convincente la lettura che la Weil fa dei Vangeli come diretta emanazione del pensiero platonico?

Vannini: A mio parere è una lettura persuasiva. La Weil interpreta la ‹Repubblica›, in particolare il “Mito della caverna”, e altri testi come il ‹Convito›, con la necessità che per accedere al bene e alla verità l’uomo abbia una conversione. Il “prigioniero” della caverna deve girarsi e volgersi indietro e per far questo deve essere liberato dalle catene, non si libera da solo. Per la Weil la natura umana è corrotta, cieca. I prigionieri vedono solo ombre. Solo la conversione, cioè la grazia, può portarli alla luce. Ecco dove l’idea platonica si salda con il messaggio cristiano.

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Repubblica (22/3/2014) • Quando Simone Weil… (q11)

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•  La forza gli si ritorce contro?

Zellini: Egli stesso finisce col diventare vittima della forza degli altri. Il gioco della guerra, nota Simone Weil, è pendolare. È un’oscillazione dove il forte non vince mai in maniera definitiva. Il simbolo di questa oscillazione è la bilancia. E viene in mente la bilancia d’oro di Zeus che pesa le sorti dei contendenti. Ma anche il numero si può definire come una bilancia, ci ricorda la Weil. Per calcolarne le cifre si usava, nel mondo arabo, una “regola dei piatti della bilancia” E quando, in ambito cristiano, incontriamo un Clemente Alessandrino che dice che Dio è bilancia, misura e numero di tutti noi, è alla Grecia che occorre risalire per spiegare l’origine di questa immagine.

Vannini: Nel mondo medievale anche la croce è vista come una bilancia.

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Repubblica (22/3/2014) • Quando Simone Weil… (q10)

  •  G n o l i  (2 0 1 4)  •  … p a r l a v a  d i  a n i m a  g e o m e t r i c a  •

•  Ma questa assunzione della forza in che modo si traduce nel messaggio evangelico?

Vannini: La Weil ci dice che nessun poema ha saputo, come l’‹Iliade›, mettere sullo stesso piano nemici e amici. La stessa comprensione, lo stesso dolore, la stessa trascendenza si rivolgono tanto alla morte dell’uno quanto alla morte dell’altro. E questo senso di eguaglianza, starei per dire di compassione, lo si ritroverà pienamente nei Vangeli.

Zellini: È giusto il richiamo di Vannini all’idea di equità presente nell’‹Iliade›. Equo ci dice la Weil è Ares, il dio della guerra, che uccide coloro che uccidono. Quindi l’‹Iliade› non è solo il poema della forza ma anche della debolezza e del rapporto che si stabilisce tra il forte e il debole. Perché quando la forza è senza limiti, quando è esercitata in tutta la sua ‹hybris›, diviene problematica. Colui che esercita la forza senza limiti perde il pensiero e smarrisce anche il senso di giustizia ed espone se stesso a una condizione psichicamente caotica.

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Repubblica (22/3/2014) • Quando Simone Weil… (q8-9)

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•  Tornerei alla questione religiosa e alla relazione che la Weil stabilì tra mondo greco e cristianesimo. Si può far partire questa relazione dal saggio bellissimo, compreso in questo libro, che lei dedica all’‹Iliade› come poema della forza?

Vannini: Porrei la questione in questi termini: la Weil vide nei Vangeli l’espressione estrema di quello spirito greco che nell’‹Iliade› aveva già una sua compiutezza. Il testo omerico va interpretato a partire dalla forza, cioè dalla sottomissione dell’uomo alla necessità. È la comprensione della forza che apre alla “regina delle virtù”, ovvero all’umiltà.


•  Insomma la forza non è solo quella che si esercita ma anche quella che si subisce?

Vannini: Meglio: che si accetta. Già nei ‹Sermoni› di Meister Eckhart troviamo declinata l’umiltà non come espressione di generica virtù o di devozione, ma come sapere. L’umiltà è allora il sapere che noi siamo quasi in tutto e per tutto soggetti alla necessità — o a ciò che oggi chiamiamo determinismo — cioè al fatto che le circostanze, l’educazione, la disciplina, in una parola l’imperio della forza, ci dominano.

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Repubblica (22/3/2014) • Quando Simone Weil… (q7)

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•  Non può apparire sconcertante questo accostamento?

Zellini: Non più di tanto. Perché gli storici della matematica hanno recentemente mostrato come effettivamente non solo in Grecia, ma anche in altre civiltà, possa essere stata proprio la religione a introdurre dei problemi matematici. Ad esempio, in India, la costruzione di certi altari per i rituali religiosi richiedeva competenze matematiche notevoli.

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Repubblica (22/3/2014) • Quando Simone Weil… (q6)

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•  Anche le scienze moderne hanno come oggetto la verità.

Vannini: Certo, ma non era a quel tipo di verità che la Weil faceva riferimento. Non era alle verità sperimentali che lei pensava. Piuttosto si riferiva a quella verità che l’uomo razionale cerca e non trova nella semplice correttezza o accordo con i fatti, bensì gli si impone attraverso la rivelazione. È ciò che i greci chiamavano ‹aletheia›, un concetto che apre a un modo di pensare religioso.

Zellini: Per Simone Weil, e su questo è molto esplicita, fu la religione a innescare in qualche modo i problemi della scienza e, in particolare della matematica. Le figure della geometria, i numeri, secondo lei, erano immagini divine. E di una intensità tale che richiedevano, per forza di cose, un’esattezza del pensiero. Di qui la necessità della dimostrazione rigorosa.

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Repubblica (22/3/2014) • Quando Simone Weil… (q5)

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•  La scienza greca, diversamente dalla scienza moderna, era per la Weil un modo originale per accostarsi alla religione?

Vannini: Più che un modo di accostarsi, un modo di essere religione. Fu la sua grande intuizione, discutibile quanto si vuole, ma certamente in grado di aprire a una lettura originalissima del mondo greco. Da questo punto di vista, è chiara la lontananza della Weil dalla scienza moderna che vide soggetta alla categoria dell’utile ed esposta allo scientismo. Ai suoi occhi la scienza doveva avere per oggetto la verità.

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Repubblica (22/3/2014) • Quando Simone Weil… (q4b)

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Vannini: La scienza greca in un certo senso stabilizzò il mondo dei fenomeni.

Zellini: Permise che quel mondo potesse essere conosciuto. Non a caso furono i greci a mettere a punto il concetto di dimostrazione, di cui la geometria di Euclide fu la più classica delle realizzazioni. D’altronde, sono stati sempre i greci, attraverso l’analisi e la sintesi, a inventare un nuovo modo di ragionare. E quel ragionamento per analisi e sintesi, via via che si procedeva, si estese ad altri ambiti che non erano solo quelli della scienza o, più in particolare, della matematica. Fu a questa estensione che la Weil guardò con interesse. Quando prese concetti come forza, equilibrio, misura, numero, rapporto e simmetria, lo fece consapevole di trasferirli dall’ambito ristretto della matematica a quello più generale del mondo dello spirito.

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Repubblica (22/3/2014) • Quando Simone Weil… (q3-4)

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•  Quando si dice “scienza greca” cosa dobbiamo intendere?

Paolo Zellini: Per la Weil è la scienza vera e propria. Tutto quello che successivamente accadrà nel pensiero scientifico fu una continuità o un tradimento di quel nucleo originario.


•  In cosa consiste questo nucleo?

Zellini: I greci stabilirono dei criteri e crearono delle teorie che permisero la nascita di una ‹episteme›, cioè di un modo peculiare di pensare che non aveva precedenti. La grande innovazione greca fu di cogliere nella varietà dei fenomeni — nel mutamento delle cose ma altresì nel mutamento dell’anima — delle invarianti. Scoprire, ad esempio, che la stella del mattino è uguale a quella della sera, perché è sempre Venere, consentì ai greci di darsi, pur nel mutamento, dei punti fermi.

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Repubblica (22/3/2014) • Quando Simone Weil… (q1-2)

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•  In che senso si può parlare di un pensiero mistico della Weil?

Marco Vannini: Farei una premessa. L’attenzione della Weil per il mondo greco nasce dalla lettura dei poemi, delle tragedie e da alcune opere filosofiche. Con questa idea di fondo: qualunque cosa l’uomo faccia nel nome della verità rivela la potenza divina. È un segno di Dio.


•  Anche se il mondo greco è pagano?

Vannini: Certamente. Del resto, un grande mistico contemporaneo di Dante, Meister Eckhart, disse che i maestri pagani conobbero la verità prima della rivelazione cristiana. Non c’era ai suoi occhi una rottura sul senso della verità. I due mondi si parlavano. La Weil non farà altro che riprendere quella straordinaria intuizione fino ad estenderla alla scienza greca.


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Repubblica (22/3/2014) • Quando Simone Weil… (a1)

  •  G n o l i  (2 0 1 4)  •  … p a r l a v a  d i  a n i m a  g e o m e t r i c a  •

Morì a 34 anni nel letto di un ospedale di Londra. Era il 1943. Simone Weil concluse il breve tragitto terreno non immaginando che il suo pensiero sarebbe diventato straordinariamente fecondo tra coloro che ebbero in odio dottrine sicure e ideologie trionfanti. Abbracciò con pari entusiasmo il pensiero religioso e quello scientifico. Ma di entrambi privilegiò l’aspetto meno ortodosso. Oggi ci si interroga se fu una mistica. Non c’è dubbio che su quella strada trovò spesso le ragioni del suo pensare e agire. Nel nome di una purezza assoluta scandagliò le passioni umane e le grandi storie. L’antica Grecia e i suoi protagonisti e l’altra, riferita al Cristianesimo. Ci fu davvero continuità tra i due eventi, come la Weil provò a raccontarci nei saggi raccolti nel libro ‹La rivelazione greca› (Adelphi)? Per discuterne abbiamo invitato il matematico Paolo Zellini e lo storico delle religioni e, in particolare, del pensiero mistico Marco Vannini.

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Repubblica (22/3/2014) • Quando Simone Weil… (0)

  •  G n o l i  (2 0 1 4)  •  … p a r l a v a  d i  a n i m a  g e o m e t r i c a  •

Quando Simone Weil parlava di anima geometrica


Arte e Cultura

Omero e Platone, l’antica Grecia e i Vangeli, l’ascesi e la logica, la filosofia e la fabbrica. Paolo Zellini e Marco Vannini, un matematico e uno studioso di mistica, rievocano la grande eretica

• Simone Weil

di Antonio Gnoli
Repubblica — 22/3/2014 (sabato 22 marzo 2014)

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Il cammino… • 5.11. Riepilogo (fig. 1)

  •  T a t t e r s a l l  (1 9 9 8)  •  5.  D i v e n t a r e  u o m i n i  •

[Figura a p. 168]
• ‹H. sapiens› | ‹H. neanderthalensis› | ‹H. heidelbergensis› | ‹H. antecessor› | ‹H. erectus› | ‹H. ergaster› | ‹H. rudolfensis› | ‹H. habilis› | ‹A. africanus› | ‹A. afarensis› | ‹A. bahrelghazali› | ‹A. anamensis› | ‹P. boisei› | ‹P. robustus› | ‹P. ethiopicus› | ‹A. ramidus› •

Un possibile schema dei rapporti di parentela fra le varie specie note della famiglia ominide. La documentazione fossile in nostro possesso rappresenta solo la punta dell’iceberg, e la filogenesi reale è certamente molto più complessa di quella qui raffigurata.


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Il cammino… • 5.11. Riepilogo (9)

  •  T a t t e r s a l l  (1 9 9 8)  •  5.  D i v e n t a r e  u o m i n i  •

In base a questo criterio, gli artisti del Paleolitico superiore, per i quali i simboli erano moneta corrente, devono aver posseduto il linguaggio. D’altro canto, chiunque oggi veda la loro arte è pronto a riconoscere che la loro sensibilità doveva essere perlomeno equivalente alla nostra. In base alle stesse considerazioni, i Neandertaliani, per i quali non possediamo testimonianze di capacità simbolica nonostante le altre innegabili abilità, dovevano mancare sia del linguaggio verbale sia di una sensibilità di tipo moderno. È possibile che essi potessero provare empatia, e ciò che riuscirono a fare nelle difficili circostanze ambientali in cui vissero può suscitare la nostra ammirazione, ma non erano ‹noi› (d’altro canto, perché avrebbero dovuto esserlo?). Dal punto di vista della nostra specie, il balzo cognitivo cruciale, quello verso il ragionamento simbolico complesso, fu compiuto molto tardi nel corso dell’evoluzione umana, e con mezzi che permangono oscuri, ma dei quali parlerò più avanti. Questo è il motivo per cui, se vogliamo capire che cosa siamo diventati, è a noi stessi che dobbiamo guardare. La nostra storia evolutiva è tutt’altro che irrilevante in relazione a questo compito, ma questo sarà il tema del prossimo capitolo.

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Il cammino… • 5.11. Riepilogo (8)

  •  T a t t e r s a l l  (1 9 9 8)  •  5.  D i v e n t a r e  u o m i n i  •

Quasi tutti gli attributi cognitivi che caratterizzano tanto fortemente l’uomo attuale e che senza dubbio distinguevano anche il nostro compagno ‹Homo sapiens› sostituitosi ai Neandertaliani, sono legati in qualche modo al linguaggio. Questo consente e richiede l’abilità di produrre nella mente simboli che poi possono essere rimescolati e organizzati da quella capacità «generativa» di cui sembra che solo noi siamo i depositari. Il pensiero così come lo intendiamo noi dipende dell’elaborazione mentale di tali simboli, che sono rappresentazioni arbitrarie di aspetti del mondo sia interiore che esterno. Questi simboli, a loro volta, prendono corpo nei suoni che, organizzati secondo certe regole, costituiscono il linguaggio. Noi lo usiamo per spiegare noi a noi stessi e agli altri, e questa è la ragione per cui l’intimo rapporto fra simboli linguistici e mentali rende impossibile immaginare il pensiero in assenza del mezzo attraverso il quale lo comunichiamo. Il pieno godimento della qualità di uomo richiede quasi certamente il possesso del linguaggio, da cui consegue che possiamo affidabilmente assumere le testimonianze di comportamento simbolico come prova dell’esistenza di questo attributo.

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Il cammino… • 5.11. Riepilogo (7)

  •  T a t t e r s a l l  (1 9 9 8)  •  5.  D i v e n t a r e  u o m i n i  •

In fin dei conti, i Neandertaliani non hanno fatto molto per colmare il divario cognitivo che intercorre fra i comportamenti documentati dei loro predecessori e quelli dell’uomo pienamente moderno che li seguì. In particolare, questi ominidi estinti non hanno lasciato dietro di sé alcuna testimonianza inequivocabile dei comportamenti simbolici che potrebbero essere associati al possesso del linguaggio. Inoltre le testimonianze anatomiche indicano che almeno alcuni di essi possono aver abbandonato l’equipaggiamento periferico necessario per il linguaggio articolato, anche se tale equipaggiamento non sembrava essersi evoluto per quello scopo. Il che è importante, poiché il linguaggio articolato è un necessario attributo del linguaggio parlato.

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Il cammino… • 5.11. Riepilogo (6)

  •  T a t t e r s a l l  (1 9 9 8)  •  5.  D i v e n t a r e  u o m i n i  •

Da questo punto in poi, cervello e strumenti continuarono a diventare sempre più elaborati, ma in modo episodico e senza correlazioni reciproche. Ancora una volta, ciò che manca nel quadro generale è il benché minimo indizio di progresso costante. E mentre continuavano a realizzarsi innovazioni sia fisiche che culturali, il carattere frammentario e le limitazioni connaturate alla documentazione archeologica rendono arduo comprendere che cosa esse significassero nella vita di coloro che le acquisirono. Le indicazioni di controllo del fuoco, per esempio, sono molto antiche, ma solo in tempi relativamente recenti questa tecnologia ha cominciato a diventare un elemento fisso della vita ominide. E solo con l’arrivo dei Neandertaliani, appena duecentomila anni fa, la documentazione archeologica registra testimonianze di comportamenti — come l’inumazione dei defunti — che ci appaiono altamente significativi. Ma anche in questo caso sembra che, a parte le innovazioni di questo genere, i Neandertaliani abbiano semplicemente affinato e migliorato lo stile di vita dei progenitori.

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Il cammino… • 5.11. Riepilogo (5)

  •  T a t t e r s a l l  (1 9 9 8)  •  5.  D i v e n t a r e  u o m i n i  •

Comunque sia, trascorsero circa duecentomila anni prima che gli ominidi di questo nuovo tipo introducessero qualche innovazione culturale riconoscibile. Ciò comportò un nuovo approccio alla costruzione di strumenti: l’attività non era più imperniata sull’ottenimento di un determinato attributo — un margine tagliente — ma sulla forma dello strumento stesso. La fabbricazione di un bifacciale ben fatto a partire da un blocco di roccia non richiedeva solo una complessa valutazione delle proprietà fisiche della scheggiatura ma necessitava anche di un modello presente nella mente dell’artefice che determinava la forma finale dello strumento. E mentre alcuni calchi endocranici dei più antichi ominidi in grado di compiere questa attività indicano un accrescimento, seppure limitato, della capacità cranica e dell’asimmetria degli emisferi cerebrali, con tutte le implicazioni che ne conseguono, osserviamo le stesse caratteristiche in una forma significativamente avanzata solo nel cervello dei primi ominidi di proporzioni corporee paragonabili alle nostre.

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Il cammino… • 5.11. Riepilogo (4)

  •  T a t t e r s a l l  (1 9 9 8)  •  5.  D i v e n t a r e  u o m i n i  •

Dal punto di vista cognitivo, i primi artefici di strumenti si erano spinti molto oltre le capacità dei loro antenati. Conoscevano le proprietà della pietra e come potesse essere scheggiata utilmente, e possedevano una capacità di previsione superiore a tutto ciò che si era mai visto nel mondo vivente al di fuori della nostra specie. Forse potrà sembrare strano, ma nulla oltre queste capacità è chiaramente evidente nella documentazione lasciata dai primi ominidi con proporzioni corporee simili alle nostre. Essi erano bene adattati a un ambiente di savana aperta, e le strutture anatomiche necessarie per la locomozione eretta si erano ormai sostituite alle caratteristiche fisiche utili sugli alberi. Era finalmente comparso un ominide che si trovava completamente a suo agio in un ambiente aperto, a dispetto dei numerosi pericoli a cui era esposta una creatura sprovvista del temibile arsenale e dell’astuzia dell’uomo attuale. Fu una trasformazione profonda. A questo riguardo vale la pena di ricordare una scoperta recente, secondo la quale mutazioni relativamente piccole in determinati complessi genici possono produrre una profonda riorganizzazione dei modelli di sviluppo di una specie. Al momento presente, tuttavia, non è chiaro in qual modo questa scoperta potrebbe correlarsi a un cambiamento fisico tanto radicale.

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Il cammino… • 5.11. Riepilogo (3)

  •  T a t t e r s a l l  (1 9 9 8)  •  5.  D i v e n t a r e  u o m i n i  •

Questa notevole stabilità sottolinea il fatto che sin dall’inizio l’evoluzione umana fu episodica, e non graduale. I nostri progenitori e le specie a essi imparentate erano bene adattati ai propri ambienti, nei quali prosperarono, mentre il ramo evolutivo umano continuava a compiere i propri esperimenti dando origine a nuove specie. Ma solo con la successiva grande crisi climatica, un evento del tutto eccezionale, si affacciò una reale innovazione, l’introduzione dei primi strumenti litici. La savana stava sottraendo alle aree arborate — l’habitat degli australopiteci — distese di terreno sempre più vaste, e una loro popolazione trovò un approccio completamente nuovo allo sfruttamento dell’ambiente. In quale modo preciso l’invenzione degli strumenti di pietra abbia influito sulla vita di questi antichi ominidi è difficile da dire. Non possediamo alcuna testimonianza diretta di cambiamenti avvenuti nella loro esistenza sociale, e sebbene la documentazione fossile non sia chiara su questo punto, per intesa generale sembra che almeno per un certo periodo i primi artefici di strumenti litici avessero conservato gli adattamenti locomotori ancestrali. Tutto ciò è congruente con una caratteristica della nostra documentazione: le innovazioni fisiche non procedono di pari passo con quelle tecnologiche. Per quanto sorprendente possa apparire, non dobbiamo dimenticare che tutte le innovazioni, di qualsiasi natura siano, devono presentarsi ‹entro› la specie, e che fra gli individui della stessa specie solitamente non si osservano grandi differenze fisiche.

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Il cammino… • 5.11. Riepilogo (2)

  •  T a t t e r s a l l  (1 9 9 8)  •  5.  D i v e n t a r e  u o m i n i  •

La nostra linea di discendenza si è originata molto più di cinque milioni di anni or sono in un evento evolutivo che non fu un’estrapolazione da tendenze precedenti, ma piuttosto il prodotto di un imprevedibile mutamento climatico, quando gli habitat ancestrali di foresta cominciarono a ridursi. I nostri più lontani progenitori non furono né antropomorfe così come le conosciamo oggi né esseri umani, sebbene le capacità cognitive delle antropomorfe attuali ci permettano di ipotizzare quali potessero essere le loro. Questi antichi ominidi possedevano un insieme di adattamenti fisici estranei a qualunque modello attuale, perché, mentre conservavano l’attitudine all’arrampicamento, avevano cominciato ad acquisire quella a spostarsi abitualmente sugli arti posteriori quando erano al suolo. Questo non fu un modo di vita «di transizione», eccetto che in retrospettiva. Certamente gli australopiteci non erano a loro agio sugli alberi come lo sono le antropomorfe, né lo erano al suolo come lo siamo noi, ma i loro adattamenti erano proficui, come testimonia la stabilità anatomica del gruppo nel corso di milioni di anni.

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Il cammino… • 5.11. Riepilogo (1)

  •  T a t t e r s a l l  (1 9 9 8)  •  5.  D i v e n t a r e  u o m i n i  •

Che cosa, dunque, abbiamo imparato sulle nostre origini e sulla nostra evoluzione? La conclusione più importante è che la storia evolutiva degli ominidi non è stata un susseguirsi di continui progressi. Inoltre, ‹Homo sapiens›, nonostante tutte le sue sorprendenti capacità, è solo uno dei numerosi ramoscelli del grande cespuglio evolutivo, e non può certamente collocarsi alla sommità di un pinnacolo che tutte le altre specie avrebbero tentato invano di scalare. Poiché in questo libro non ero interessato a soffermarmi sugli aspetti sistematici dell’evoluzione umana, il mio resoconto dell’acquisizione dell’unicità che ci contraddistingue ha inevitabilmente assunto un andamento lineare. In effetti, anche se specie discendenti si sono trovate a coesistere — e a competere — con la specie parentale, nello stesso modo in cui vecchie tecnologie e vecchi comportamenti hanno perdurato accanto ai nuovi, nella nostra linea di discendenza diretta una sola specie e un solo modello di innovazione culturale sono riusciti a succedere a un’altra specie e a un altro modello. Ciononostante non dovremmo mai dimenticare come la storia della famiglia umana abbia dimostrato chiaramente che vi sono molti modi di essere ominide, e che il nostro è solo uno dei tanti. La storia ominide è stata caratterizzata sin dall’inizio dalla costante sperimentazione, e ‹Homo sapiens› è diverso dagli altri ominidi perché è rimasto il solo sulla Terra.

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Il cammino… • 5.10. La comparsa dell’uomo… moderno (13)

  •  T a t t e r s a l l  (1 9 9 8)  •  5.  D i v e n t a r e  u o m i n i  •

Anche in Australia esistono tracce di tali comportamenti in periodi molto antichi. Semplicemente in termini di occupazione, l’uomo cominciò a essere presente nell’Australasia già a partire da 60 kyr fa, o forse prima. Si tratta di un dato di importanza tutt’altro che locale perché per arrivare in Australia egli dovette compiere la formidabile impresa di navigare per 60 miglia di oceano aperto. Ciò che più conta è che sono state trovate indicazioni indirette di attività artistiche svolte 50 kyr fa o più, e recentemente è stato riferito il ritrovamento di curiosi graffiti circolari su roccia riferibili a un periodo molto precedente, anche se la datazione rimane fortemente controversa. In sintesi, sebbene fuori dell’Europa tutto ciò di cui attualmente disponiamo siano solo vaghe indicazioni di comportamenti simbolici, è evidente che al momento attuale la nostra percezione è pesantemente condizionata dalla ricchezza della documentazione europea, relativamente tarda. Non c’è dubbio che nell’origine e nella diffusione dei comportamenti di tipo moderno vi sia stata molta più effervescenza di quanto ora possiamo vedere con i nostri occhi. Torneremo su questo punto nelle ultime pagine del prossimo capitolo.

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Il cammino… • 5.10. La comparsa dell’uomo… moderno (12)

  •  T a t t e r s a l l  (1 9 9 8)  •  5.  D i v e n t a r e  u o m i n i  •

Tutto ciò si correla più ai progressi tecnologici che a comportamenti apertamente simbolici ma, come ho già detto, questi ultimi non sono sempre del tipo che può conservarsi nella documentazione archeologica. Prese nell’insieme, le indicazioni di precoci modelli di comportamento «moderno» individuate nei siti africani sono dunque suggestive. In quel continente, le testimonianze dirette di simbolismo sono più frammentarie delle testimonianze di innovazioni tecnologiche, ma non sono del tutto assenti: frammenti incisi di guscio di uovo di struzzo sono noti da località che potrebbero forse risalire a 100 kyr or sono, e perline dello stesso materiale sono note da parecchi siti molto lontani fra loro, la cui datazione può variare da 60 a 50 kyr. Frammenti di osso con tacche, forse interpretabili come sistemi di notazione, sono stati trovati in siti anteriori a 40 kyr or sono. Ne consegue che le popolazioni della Middle Stone Age [sic!] africana (approssimativamente equivalente, sul piano cronologico e tecnologico, al Musteriano) sebbene non fossero così propense alla produzione di oggetti simbolici quanto lo erano i Cro-Magnon, mostravano ugualmente interessanti indizi di modelli comportamentali più «moderni» di quelli dei Neandertaliani.

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Il cammino… • 5.10. La comparsa dell’uomo… moderno (11)

  •  T a t t e r s a l l  (1 9 9 8)  •  5.  D i v e n t a r e  u o m i n i  •

Tuttavia, sebbene la documentazione lasciataci dai Cro-Magnon sia la testimonianza qualitativamente più affidabile, oltre che quantitativamente più ricca, della loro creatività, non è certamente la più antica. Vi sono indicazioni che, particolarmente in Africa e in Australia, modelli di comportamento di tipo moderno si erano consolidati già parecchio tempo prima. Gli strumenti su lama, per esempio, compaiono in Africa prima (probabilmente molto prima) di 80 kyr or sono; e mentre un singolo caso non può essere generalizzato, può essere considerato significativo che le punte di armi da getto siano normalmente presenti in siti africani datati a oltre 100 kyr. Recentemente, un sito dello Zaire ha restituito punte in osso munite di denti che sono state datate (non unanimemente) a 60-80 kyr fa, e in siti dell’Africa meridionale di età confrontabile sono state trovate indicazioni di lavorazione dell’osso. L’Africa, inoltre, ha offerto testimonianze di estrazione della selce e del trasporto di materie prime su lunghe distanze, mentre in Europa non vi è traccia di simili comportamenti se non nel Paleolitico superiore. Anche la differenziazione locale nelle tecnologie litiche, associata in Europa con i Cro-Magnon, si è manifestata in Africa in tempi molto antichi.

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Il cammino… • 5.10. La comparsa dell’uomo… moderno (10)

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È interessante osservare che mentre una parte dell’arte dei primi Cro-Magnon fu fra le loro più grandi manifestazioni, con il trascorrere del tempo possiamo facilmente individuare nella documentazione del Paleolitico superiore le prove di progresso (in quanto contrapposto al semplice cambiamento) a livello tecnologico. I più antichi complessi litici aurignaziani, per esempio, sono relativamente grossolani, e le più sofisticate tecniche di pesca vennero adottate relativamente tardi nel Paleolitico superiore. Forse è ciò che dovremmo aspettarci, in quanto la tecnologia ha in sé qualcosa di assoluto e la sua efficienza può essere misurata con precisione. Gli uomini si disfano sistematicamente delle procedure inefficienti a favore delle più nuove ed efficaci, e la regolare innovazione tecnologica nel corso del Paleolitico superiore è solo il primo esempio documentato di una tendenza che perdura ancora oggi. Al contrario, l’arte esprime un fondamentale anelito dell’anima la cui efficacia non è direttamente misurabile. L’arte serve alla stessa funzione essenziale indipendentemente dalla sua qualità intrinseca, la sua eccellenza non ha a che vedere con la tecnologia, e infine cambia con la moda seguendo percorsi non lineari, dunque imprevedibili. È per questo che oggetti straordinari come il cavallino di Vogelherd annunciano la comparsa precoce di una sensibilità umana pienamente moderna come una lama aurignaziana non potrebbe mai fare, e questo oggetto squisito e immensamente antico la testimonierà in modo eloquente fino a quando la Terra sarà popolata di esseri umani che potranno apprezzarlo.

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• _comparsa
• _moderno
• _uomo
• moderno ± (m o d e r n a)
• uomo ± (u m a n a,  u m a n i)

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[]  I.  T a t t e r s a l l,  ‹I l  c a m m i n o  d e l l’ u o m o›,  B o l l a t i  B o r i n g h i e r i,  2 0 1 1.
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Il cammino… • 5.10. La comparsa dell’uomo… moderno (…9a)

  •  T a t t e r s a l l  (1 9 9 8)  •  5.  D i v e n t a r e  u o m i n i  •

[⇐]  I siti neandertaliani sono prevalentemente poco estesi (e quando sono vasti consistono in una successione di spazi abitativi di piccole dimensioni che implica una rigida limitazione delle dimensioni dei gruppi in qualsiasi momento); i siti dei Cro-Magnon abbracciano una gamma di dimensioni molto più ampia lasciando comprendere che, almeno stagionalmente, si riunivano gruppi numerosi. A livello economico, diversi filoni di testimonianze indicano l’esistenza di più approcci fondamentalmente differenti all’esplorazione dell’ambiente. Le punte di armi da getto sono rare nei siti neandertaliani, e indicano che essi attaccavano abitualmente le prede di grossa taglia a distanza ravvicinata (una tecnica estremamente pericolosa, che si riflette nelle tracce di traumi osservabili sui loro resti fossili e che qualcuno ha paragonato ai traumi tipici di coloro che praticano il rodeo); i Cro-Magnon, al contrario, lanciavano proiettili da una distanza di sicurezza.

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K E Y W O R D S
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[]  I.  T a t t e r s a l l,  ‹I l  c a m m i n o  d e l l’ u o m o›,  B o l l a t i  B o r i n g h i e r i,  2 0 1 1.
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