Non avrai altro dio… • Conclusione (1)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  C o n c l u s i o n e  • 

La nostra analisi genealogica sulle origini della violenza religiosa ci ha ricondotti alla sfera politica della violenza, cioè la violenza dello stato e la violenza giuridica. La violenza religiosa non è un sentimento originario, non è qualcosa di insito nella natura delle cose, anzi è piuttosto una ‹contradictio in adjecto›. Per questo motivo è arrivato il momento di tracciare finalmente una chiara linea divisoria tra il concetto di «religione» e il concetto di «violenza». La violenza pertiene all’ambito della politica, non a quello della religione, e una religione che si rifà alla violenza rimane bloccata nel campo della politica, mancando al suo specifico compito in questo mondo. Bisognerebbe fare in modo che le religioni monoteiste, nate dallo spirito della politica e della legislazione, fossero radicalmente depoliticizzate, così che all’ordine del politico, inconcepibile senza la violenza, si possa contrapporre un altro ordine, il cui potere si fondi sulla non violenza. Solo allora si realizzerà l’impulso iniziale del monoteismo: quello di liberare l’uomo dall’onnipotenza del cosmo, dello stato, della società o di qualsiasi altro sistema avanzasse su di noi pretese totalizzanti.

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[]  J.  A s s m a n n,  ‹N o n  a v r a i  a l t r o  d i o›  (2 0 0 6),  i l  M u l i n o,  2 0 0 7.
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SdF (2012, n. 3) • La percezione delirante nei confronti… (7)

  •  M u r a r d - Y o v a n o v i t c h  &  F a g i o l i  (2 0 1 1)  •  … d e l  m i g r a n t e …  •

D.: È possibile una società di rapporti interumani nonviolenti?

R.: Certo, io ci provo, con la teoria della nascita. Bisogna scoprire la verità dell’identità umana. È nella verità dell’identità umana che c’è l’eliminazione di ogni razzismo e la sua cura; perché si riconosce la nascita uguale per tutti.

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[]  “I l  S o g n o  d e l l a  f a r f a l l a”,  n. 3,  L’ A s i n o  d’ o r o,  2 0 1 2.
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SdF (2012, n. 3) • La percezione delirante nei confronti… (6)

  •  M u r a r d - Y o v a n o v i t c h  &  F a g i o l i  (2 0 1 1)  •  … d e l  m i g r a n t e  •

D.: Come mai la storia umana è la lunga storia di istinto di morte?

R.: Ma perché non è mai stato conosciuto l’“istinto di morte”! Finché si è ridotta la “pulsione” alla fame e alla sete, all’organicismo, e non si è scoperto che è “pulsione” di una strana particolare violenza interumana, non poteva esistere la conoscenza e la cura della malattia. La pulsione di annullamento non esiste alla nascita, dove c’è la vitalità, ma si sviluppa nei rapporti. Bisogna conoscere l’inizio della vita umana, per poter fare un rifiuto dell’istinto di morte. In questo, la religione cristiana ha una gravissima responsabilità, professando che la vita umana inizia con lo zigote ed è solo biologica. Nel ridurre l’uomo a mera realtà fisica, il cristianesimo è la vera matrice culturale e storica del razzismo. Non dimentichiamo che nella Città di Dio i cristiani si pensavano come “razza privilegiata”, ammazzavano i non cristiani o li respingevano nei ghetti. È una lunga tragedia storica. Ma se persino un genio come Shakespeare inventa il nefando personaggio di Shylock nel ‹Mercante di Venezia›, bisogna immaginare il resto della nostra cultura cristiana che pervade tutto: il razzismo viene di conseguenza. Ma è un fatto che nessuno ha il coraggio di denunciare.

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[]  “I l  S o g n o  d e l l a  f a r f a l l a”,  n. 3,  L’ A s i n o  d’ o r o,  2 0 1 2.
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SdF (2012, n. 3) • La percezione delirante nei confronti… (5)

  •  M u r a r d - Y o v a n o v i t c h  &  F a g i o l i  (2 0 1 1)  •  … d e l  m i g r a n t e …  •

D.: Ai nostri confini avviene una quotidiana strage dei migranti che attraversano il Mediterraneo. Dietro quel lasciar naufragare… non c’è un lasciar “eliminare”? Il migrante non è ancora visto oggi in Occidente, con tutte le precauzioni dovute, come una specie di “essere inferiore”?

R.: Sì, c’è una violenza in atto che non è direttamente sadica, non distrugge, ma tende a voler rendere inesistente. Mi viene in mente l’immagine dei ‹desaparecidos› nella dittatura argentina di Videla, quei dissidenti gettati dagli aerei nell’oceano proprio per farli “sparire” (e nella storia il nazismo è stato il culmine di questo fare “sparire”). Per fortuna non credo che siamo a quel livello di violenza. Ci sono correnti aperte di sinistra e nella società che cercano con i migranti rapporti diversi da quelli della Lega.

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[]  “I l  S o g n o  d e l l a  f a r f a l l a”,  n. 3,  L’ A s i n o  d’ o r o,  2 0 1 2.
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SdF (2012, n. 3) • La percezione delirante nei confronti… (4)

  •  M u r a r d - Y o v a n o v i t c h  &  F a g i o l i  (2 0 1 1)  •  … d e l  m i g r a n t e …  •

D.: Perché — come scrive nel volume ‹Left 2008› — il pensiero come razionalità fallisce nel riuscire, «veramente, a comprendere che gli esseri umani nascono tutti uguali»? Perché non c’è mai stato «il coraggio di guardare l’irrazionale umano»? [2]

R.: Oltre alle interpretazioni dei politologi, ho anche scritto che «invisibile, nella paura degli zingari, romeni, omosessuali, immigrati, carcerati, ci sia l’angoscia della parola Irrazionale, di ciò che non è ragione cosciente» [3]. Nel logos occidentale, da Platone alla Bibbia, esiste una storica distorsione del significato della parola irrazionale, erroneamente vista come il “pericoloso”, “distruttivo”, “violento”; persino ancora oggi, per la religione cristiana, come il Male assoluto. Invece, il criminale, come Breivik o Casseri, è proprio colui il cui irrazionale si è ammalato. Un irrazionale sano ci dà Picasso, Caravaggio, l’artista: la creatività che è solo degli esseri umani; un’identità non verbale che spesso solo gli artisti riescono a conservare… Ma questa è una verità sulla realtà umana che è vietato dire e pensare.

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NOTE
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[2]. M. Fagioli, ‹La matrigna›, in ‹Left 2008›, L’Asino d’oro edizioni, Roma 2011, p. 240.

[3]. M. Fagioli, ‹La depressione›, ivi, p. 107.

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• Left_2008 (‹Left 2008›)ⁿ

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[]  “I l  S o g n o  d e l l a  f a r f a l l a”,  n. 3,  L’ A s i n o  d’ o r o,  2 0 1 2.
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SdF (2012, n. 3) • La percezione delirante nei confronti… (3)

  •  M u r a r d - Y o v a n o v i t c h  &  F a g i o l i  (2 0 1 1)  •  … d e l  m i g r a n t e …  •

D.: Per la psichiatria che cos’è il razzismo? Me ne può dare una definizione chiara?

R.: Il razzismo è legato alla visione superficiale dell’essere umano, come realtà percepibile solo nella veglia. In realtà queste cosiddette diversità di natura fisica (pelle, altezza, capelli e nasi tutti diversi) non costituiscono una “differenza”: siamo tutti uguali, perché c’è un’immagine fondamentale dell’identità umana data alla nascita. L’unica “differenza” che esiste tra gli esseri umani sta nella struttura del pensiero interno, non cosciente: nella realtà umana interna. Il cardine della differenza assoluta essendo il rapporto uomo-donna, dove il desiderio non nasce dalla carenza (come si dice spesso), bensì dalla diversità e dal rapporto-interesse-visione dell’altro. Per il resto, nel modo di essere coscienti, siamo tutti uguali: nel rapporto sociale deve esistere l’uguaglianza assoluta.

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[]  “I l  S o g n o  d e l l a  f a r f a l l a”,  n. 3,  L’ A s i n o  d’ o r o,  2 0 1 2.
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SdF (2012, n. 3) • La percezione delirante nei confronti… (2)

  •  M u r a r d - Y o v a n o v i t c h  &  F a g i o l i  (2 0 1 1)  •  … d e l  m i g r a n t e …  •

D.: Il razzismo è negazione, percezione delirante o “pulsione di annullamento”?

R.: Si può cercare di portare fenomeni sociali, storici, a un linguaggio psichiatrico, a un livello più profondo, che in generale nessuno coglie o vuole vedere. I termini che lei ricorda della mia teoria non sono nuovi ma lo è il loro significato, perché si tratta di intuire, sentire la realtà invisibile, psichica, senza coscienza. Di recente, il suicidio di Lucio Magri ha riportato al cuore del dibattito la ricerca sulla depressione, se sia normale tristezza o malattia. In questo caso la diagnosi è difficile, essendo il comportamento della persona con la realtà cosciente pressoché perfetto. Ma nel caso di Casseri, non è semplice abbassamento dell’umore, è depressione che ha in sé il delirio. Ho fatto questo nesso, perché il pazzo solitario è espressione della cultura che c’è dietro. In una vignetta di Staino, Bobo di fronte alla fanciulla che gli chiede se Casseri è un pazzo, le risponde che «studiava da “pazzo” in una tranquilla scuola di nazismo» [1]. La malattia mentale viene costantemente cancellata, sarebbe un modo di essere; e nella cultura di sinistra in particolare, la realtà umana è sempre stata pensata come normale pazzia, semplice scelta, libertà (vedi le terrificanti parole di Rossana Rossanda sulla scelta “coerente e libera” di Magri). Bisogna invece vedere la cultura di morte che si nasconde dietro gli anni Sessanta e l’esistenzialismo: la natura umana è pensata come naturalmente per la morte e per la distruzione. Ecco il contesto culturale in cui cresce la violenza.

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NOTE
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[1]. S. Staino, ‹Bobo›, in “L’Unità”, 15.12.11.

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• Lucio_Magri (Lucio Magri)
• percezione_delirante (percezione delirante)
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• Rossana_Rossanda (Rossana Rossanda)

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[]  “I l  S o g n o  d e l l a  f a r f a l l a”,  n. 3,  L’ A s i n o  d’ o r o,  2 0 1 2.
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SdF (2012, n. 3) • La percezione delirante nei confronti… (1)

  •  M u r a r d - Y o v a n o v i t c h  &  F a g i o l i  (2 0 1 1)  •  … d e l  m i g r a n t e …  •

Flore Murard-Yovanovitch: Professor Fagioli, gli ultimi episodi di violenza razzista a Torino e Firenze sono il segnale di un ritorno del razzismo in Italia?

Massimo Fagioli: Prima di tutto rifiuterei la parola “ritorno”, perché il razzismo è sempre esistito in modo latente nella storia. E nella destra, che sia “fascista”, “nazista” o “leghista”, c’è strutturalmente un pensiero fatto “a categorie”. Perché essa riduce la realtà umana a realtà fisica e si inventa, su semplici differenze fisiche, la stupidità delle razze, che in realtà sono inesistenti. Negli ultimi delitti efferati di Breivik a Oslo e di Casseri a Firenze, la recrudescenza del razzismo raggiunge livelli particolari. È una violenza lucida che va oltre il sadismo, che annulla la realtà umana dell’altro. Casseri uccide due senegalesi come si farebbe con i fagiani a una caccia: è il sintomo di un annullamento totale dell’umano. Purtroppo, nell’odierna analisi del razzismo è ancora difficile portare una nuova sapienza e parlare di malattia mentale; vogliono credere alla favola dei “buoni” e dei “cattivi”, senza vedere che si tratta di sani o malati.

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[]  “I l  S o g n o  d e l l a  f a r f a l l a”,  n. 3,  L’ A s i n o  d’ o r o,  2 0 1 2.
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SdF (2012, n. 3) • La percezione delirante nei confronti… (0)

  •  M u r a r d - Y o v a n o v i t c h  &  F a g i o l i  (2 0 1 1)  •  … d e l  m i g r a n t e …  •

La percezione delirante nei confronti del migrante. Razzismo e malattia mentale

[*]

Intervista di Flore Murard-Yovanovitch a Massimo Fagioli
SdF, anno 2012, n. 3 (luglio 2012).

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NOTE
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[*]. Intervista pubblicata su “Agenzia radicale” il 28.12.2012 [=2011; ARS].

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• malattia_mentale (malattia mentale)
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[]  “I l  S o g n o  d e l l a  f a r f a l l a”,  n. 3,  L’ A s i n o  d’ o r o,  2 0 1 2.
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Non avrai altro dio… • Introduzione (…4a-5)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  I n t r o d u z i o n e  • 

[⇐]   Le nuove religioni si basano — e anche quest’altra mia tesi è stata ampiamente criticata dai teologi — su un concetto di verità, nuovo ed empatico, che si collega all’idea della rivelazione e impedisce l’antica traducibilità [5]. Quest’ultima si basava di fatto su un concetto debole di verità, secondo il quale tutti gli dèi — i propri esattamente come quelli degli altri — sono veri. Non era una questione di fede, ma solo di conoscenza e di articolazione iconica, linguistica e teologica, dal momento che non veniva messa in discussione l’esistenza delle divinità in questione, con le loro competenze cosmiche e sociali (sole e luna, cielo e terra, guerra e amore, scrittura, calendari, tempo e morte, inverno ed estate, luce e tenebre, acqua e siccità, vento e condizioni atmosferiche, concordia e discordia ecc.). Le nuove religioni rivelate posero fine a tale sistema, rappresentando se stesse come portatrici di una verità che pone automaticamente tutto il resto in una relazione di non verità. A questo punto non c’è più traduzione ma soltanto conversione, da ottenere con la violenza, come nell’Islam, oppure con la comunicazione, come nel cristianesimo, o ancora, come nell’ebraismo, con la venuta definitiva del Messia. Posso tradurre ciò che è estraneo in ciò che mi è proprio, ma non posso tradurre il falso nel vero.

Fu solamente sulla base di questa nuova costruzione dei rapporti fondamentali tra Dio, tra uomo e mondo che sorse il fenomeno al quale mi dedicherò nelle pagine seguenti: la violenza religiosa.

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NOTE
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[5]. J. Assmann, ‹The Mosaic Distinction: Israel, Egypt, and the Invention of Paganism›, in «Representations», 56, 1996, pp. 48-67; e Id., ‹Die Mosaische Unterscheidung oder Der Preis des Monotheismus›, München, Hanser, 2003.

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[]  J.  A s s m a n n,  ‹N o n  a v r a i  a l t r o  d i o›  (2 0 0 6),  i l  M u l i n o,  2 0 0 7.
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Non avrai altro dio… • Introduzione (4…)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  I n t r o d u z i o n e  • 

Ho esposto questo sistema in numerosi saggi e articoli e non è mia intenzione tornare a proporlo anche qui [4]. Nel contesto attuale, infatti, l’unica tesi a risultare decisiva è quella che ha suscitato tanta indignazione nei miei confronti da parte dei teologi: la tesi secondo cui il monoteismo ha posto fine a tale traducibilità reciproca. Alla luce di questa nuovissima forma di religione è proprio la religione dell’altro che diventa l’elemento estraneo e nemico, per l’esattezza nemico di Dio. Nella religione dell’altro si coglie la quintessenza dell’estraneità. A questo proposito è sufficiente ricordare i passi biblici sui sacrifici infantili, sull’idolatria, la magia, la divinazione e altre «atrocità». La religione diventa quindi il generatore più importante di estraneità e odio, e la distinzione tra ebrei e gentili, pagani e cristiani, musulmani e infedeli, cioè la «casa dell’Islam» e la «casa della guerra», dà vita a una forma completamente nuova di differenziazione culturale. È ovvio e assodato che la diffusione delle religioni universali procede di pari passo con la demolizione di altre differenze, per esempio nazionali. Ed è altrettanto chiaro che senza una religione comune non si sarebbe potuta creare tra malesi, pakistani, pashtun, sauditi, libici, sudanesi e marocchini quella solidarietà politica per un’unica e medesima causa cui di fatto assistiamo.   [⇒]

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NOTE
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[4]. J. Assmann, ‹Translating Gods. Religion as a Factor of Cultural (In)translatability›, in ‹Translatability of Cultures. Figurations of the Space Between›, a cura di S. Budick e W. Iser, Stanford (Calif.), Stanford University Press, 1996, pp. 25-36; Id., ‹Mosè l’egizio. Decifrazione di una traccia di memoria›, Milano, Adelphi, 2000.

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[]  J.  A s s m a n n,  ‹N o n  a v r a i  a l t r o  d i o›  (2 0 0 6),  i l  M u l i n o,  2 0 0 7.
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Non avrai altro dio… • Introduzione (3)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  I n t r o d u z i o n e  • 

Queste religioni ovviamente erano strutturate in maniera ben diversa da ciò che si intende oggi con questa definizione. Esse si basavano infatti sulla rappresentazione di una sorta di simbiosi tra l’uomo e il cosmo, articolato come mondo degli dèi, con il quale l’uomo poteva stabilire una relazione comunicativa attraverso il culto. La più elevata opera civilizzatrice delle religioni politeiste consistette nel classificare per forma, nome e funzione le forze alle quali l’uomo si credeva soggetto. Grazie a questo sistema le divinità di un gruppo potevano essere paragonate a quelle di un altro, anzi potevano essere «tradotte» le une nelle altre. E ciò rese a sua volta possibili patti «internazionali» basati sul reciproco riconoscimento dei rispettivi dèi sui quali si giurava. Fintantoché l’altro credeva negli dèi, si poteva concedergli fiducia.

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[]  J.  A s s m a n n,  ‹N o n  a v r a i  a l t r o  d i o›  (2 0 0 6),  i l  M u l i n o,  2 0 0 7.
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Non avrai altro dio… • Introduzione (2)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  I n t r o d u z i o n e  • 

Attraverso questo processo all’interno della specie umana nascono gruppi che ci [=si?] contrappongono a vicenda, che parlano lingue diverse e reciprocamente incomprensibili, si differenziano per abiti tradizionali, pittura, gestualità, usi e costumi. Tale contrapposizione può essere superata attraverso la comunicazione — fatto, questo, che richiede tecniche culturali di traduzione — o può crescere in ostilità più o meno violenta. Il mestiere di interprete è uno dei più antichi fra quelli documentati nella storia della divisione del lavoro, e il termine ‹dragoman›, «interprete», conserva ancora il ricordo dell’accadico ‹ragamu›, «chiamare, parlare ad alta voce», e dell’aramaico ‹targum›, «traduzione», da esso derivato [3]. Una delle più antiche e importanti tecniche culturali di traduzione, intesa come creazione di trasparenza e comprensione reciproca, è proprio la religione. Ben lungi dal considerare la religione dell’altro la quintessenza della sua estraneità, come fa Huntington, si vide in essa il punto di partenza più importante per giungere a uno scambio comunicativo con l’altro su una base contrattualmente sicura di comprensione reciproca, anzi, a uno scambio ‹tout court›.

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NOTE
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[3]. W. von Soden, ‹Dolmetscher und Dolmetschen im Alten Orient›, in ‹Aus Sprache, Geschichte und Religion Babyloniens. Gesammelte Aufsätze›, a cura di L. Cagni e H.-P. Müller, Napoli, Giannini, 1989, pp. 343-351.

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[]  J.  A s s m a n n,  ‹N o n  a v r a i  a l t r o  d i o›  (2 0 0 6),  i l  M u l i n o,  2 0 0 7.
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Non avrai altro dio… • Introduzione (1)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  I n t r o d u z i o n e  • 

Sono finiti i tempi in cui si poteva interpretare la religione come oppio dei popoli. Oggi la religione si presenta piuttosto come dinamite dei popoli. Tanto in Oriente quanto in Occidente i partiti interessati recuperano la religione per creare nemici immaginari e mobilitare le masse. Finita la guerra fredda e scomparso il loro secolare nemico, gli Stati Uniti ne hanno trovato uno nuovo, l’Islam, orientando la propria politica verso un confronto religioso secondo la dottrina neoconservatrice dello scontro di civiltà [1]. Oswald Spengler, un precursore di Samuel Huntington, aveva diviso il mondo in otto culture, tra le quali — era questa la sua tesi — regna un’assoluta intraducibilità reciproca [2]. Secondo tale teoria le culture sono monadi prive di finestre e isolate l’una dall’altra, e si possono perciò descrivere nel senso della morfologia di Goethe. In questo Spengler aveva ragione, dal momento che le culture indubbiamente rendono gli uomini diversi da come sono per natura. Dal punto di vista biologico, infatti, tutti gli uomini sono uguali, perché appartengono alla stessa specie ‹Homo sapiens sapiens›. La diversificazione deve dunque essere un prodotto culturale.

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NOTE
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[1]. S. Huntington, ‹Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale›, Milano, Garzanti, 1997.

[2]. O. Spengler, ‹Il tramonto dell’Occidente. Lineamenti di una morfologia della storia mondiale›, Parma, Guanda, 1999.

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[]  J.  A s s m a n n,  ‹N o n  a v r a i  a l t r o  d i o›  (2 0 0 6),  i l  M u l i n o,  2 0 0 7.
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Il cammino… • Introduzione (6)

  •  T a t t e r s a l l  (1 9 9 8)  •  … d e l l’ u o m o  •  I n t r o d u z i o n e  •

Nel più ampio schema delle cose, tuttavia, noi e le antropomorfe non siamo imparentati molto strettamente. Possediamo un progenitore comune a noi e a una (o più) delle specie antropomorfe. Questo progenitore comune è vissuto almeno sei o sette milioni di anni fa, ma molto è avvenuto da allora, sia nella loro filogenesi sia nella nostra. Gli archivi di quei lontani avvenimenti sono i fossili e la documentazione archeologica, che contengono informazioni sulla struttura fisica e sui comportamenti di almeno una dozzina di specie umane e preumane, alcune strettamente imparentate con noi, altre meno. Ciò che possiamo immaginare sulle capacità cognitive di queste specie basandoci su fattori quali il volume cerebrale o la struttura di un sito archeologico è, ovviamente, del tutto congetturale. Non possediamo informazioni dirette sul comportamento o sul modo di pensare dei nostri progenitori o dei nostri parenti estinti. Tuttavia, avvalendoci degli studi sui nostri parenti attuali e delle testimonianze lasciate da quelli estinti, possiamo sperare di migliorare la conoscenza di ciò che ci ha resi speciali, e come abbiamo acquisito la nostra unicità. Ma, ancora più importante, la conoscenza dei processi che ci hanno condotti a essere quali siamo ci aiuterà a comprendere non solo il nostro passato ma che cosa ci riserva il futuro. Di tutto ciò mi propongo di parlare in questo libro.

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K E Y W O R D S
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[]  I.  T a t t e r s a l l,  ‹I l  c a m m i n o  d e l l’ u o m o›,  B o l l a t i  B o r i n g h i e r i,  2 0 1 1.
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Il cammino… • Introduzione (5)

  •  T a t t e r s a l l  (1 9 9 8)  •  … d e l l’ u o m o  •  I n t r o d u z i o n e  •

Noi esseri umani siamo animali enigmatici. Siamo imparentati con il resto del vivente, ma ci distinguiamo per le nostre capacità cognitive. Gran parte del nostro comportamento è condizionato dall’interesse per concetti astratti e simbolici. Ciò non significa che non condividiamo con altri animali alcuni comportamenti, inclinazioni e strutture fisiche: questa verità non è nemmeno in discussione. Anzi, è proprio attraverso l’osservazione delle somiglianze che sappiamo di essere parte integrante della natura, ed è proprio studiando come sono distribuite tali somiglianze fra le numerose specie della Terra che possiamo conoscere con precisione il nostro posto nel grande albero della vita. Fare ipotesi sulla struttura di questo albero va oltre i propositi del mio libro, poiché intendo piuttosto affrontare la questione dell’‹unicità› umana, analizzando ciò che ci differenzia dai nostri «parenti» più prossimi. La nostra parentela può essere considerata sotto due diversi aspetti. Fra tutti gli organismi viventi noi siamo senza dubbio i più strettamente imparentati con le grandi antropomorfe, e parte di questo libro verrà dedicata a stabilire l’ampiezza del divario cognitivo fra loro e noi, in quanto è possibile condurre in modo diretto questo tipo di indagine solo sugli animali viventi.

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[]  I.  T a t t e r s a l l,  ‹I l  c a m m i n o  d e l l’ u o m o›,  B o l l a t i  B o r i n g h i e r i,  2 0 1 1.
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Il cammino… • Introduzione (3-4)

  •  T a t t e r s a l l  (1 9 9 8)  •  … d e l l’ u o m o  •  I n t r o d u z i o n e  •

Uscendo dalla grotta si viene divorati dai «perché». Perché infilarsi in un cunicolo stretto, senz’aria, buio, scomodo e potenzialmente pericoloso, che si addentra nella roccia terminando in un antro cieco dove c’è a malapena lo spazio per rigirarsi? Perché creare un’arte che può essere vista solo affrontando grandi difficoltà? Perché ignorare la parte più esterna della grotta, per eseguire le incisioni solo nei suoi recessi più profondi? Perché sovrapporle e perché disseminare immagini così vive di disegni geometrici e di una profusione di segni dall’oscuro significato e apparentemente superflui?

In tutta franchezza, non saremo mai in grado di dare una risposta certa ad alcuno di questi interrogativi: ma tentare di farlo è interessantissimo. Quest’arte sorprendente è l’espressione simbolica, miracolosamente ben conservata, dei racconti e dei valori di una cultura scomparsa da lungo tempo, che ci ha lasciato solo qualche riflesso indiretto e indistinto di un insieme certamente ricco di miti, credenze e tradizioni. Ma qualunque fosse l’urgenza oscura che spingeva gli artisti fino nei più profondi e inquietanti recessi di Les Combarelles e di molte altre grotte della Francia e della Spagna tanti millenni or sono, possiamo istintivamente riconoscerla come un’esigenza profondamente umana. Non solo siamo noi esseri umani, e solo noi, ad avere creato arte, ma siamo anche le uniche creature capaci di comportamenti misteriosi e imperscrutabili come questo.

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[]  I.  T a t t e r s a l l,  ‹I l  c a m m i n o  d e l l’ u o m o›,  B o l l a t i  B o r i n g h i e r i,  2 0 1 1.
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Il cammino… • Introduzione (…2a)

  •  T a t t e r s a l l  (1 9 9 8)  •  … d e l l’ u o m o  •  I n t r o d u z i o n e  •

[⇐]  Dopo aver scelto un punto distante dall’entrata per eseguire le incisioni e avere strisciato quasi un’ora per raggiungerlo, avevano a malapena lo spazio per muovere le braccia, per non parlare del resto del corpo. Al contempo dovevano aver trasportato all’interno non solo gli strumenti di selce utilizzati per incidere, ma anche una sorgente di luce, spesso poco maneggevole e scarsamente affidabile. L’illuminazione, come sappiamo dallo studio di altri siti di età confrontabile, era fornita da lampade ottenute scavando una pietra, a cui talvolta veniva data una forma molto elaborata con ricche decorazioni. La cavità veniva riempita di grasso animale e la combustione era assicurata da un rametto di ginepro che faceva da stoppino. Sebbene la luce fosse debole e si spegnesse facilmente, queste lampade gocciolanti dovevano aggiungere, nella percezione dell’artista, un effetto notevole alle incisioni. Nella luce guizzante le immagini sembrano prendere vita: danno l’impressione che gli animali corrano a balzi lungo le pareti, anche perché gli artisti ebbero sempre cura di raffigurarli in movimento.

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[]  I.  T a t t e r s a l l,  ‹I l  c a m m i n o  d e l l’ u o m o›,  B o l l a t i  B o r i n g h i e r i,  2 0 1 1.
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Il cammino… • Introduzione (2…)

  •  T a t t e r s a l l  (1 9 9 8)  •  … d e l l’ u o m o  •  I n t r o d u z i o n e  •

Non affascina solo la maestria rivelata da queste meravigliose incisioni, eseguite in un’epoca in cui il paesaggio intorno a Les Combarelles — ora una foresta di querce — era una vasta steppa percorsa dal mammut, dal rinoceronte lanoso e dal leone delle caverne: la cosa più sorprendente è che siano così antiche. Perché questa non è certo arte rozza: nel suo genere è raffinata quanto ogni altra arte finora espressa dall’umanità, e non è certamente meno vigorosa. Qualsiasi pregiudizio sulla «primitività» degli «uomini delle caverne», si dissolve all’istante. E quando finalmente si riesce a distogliere lo sguardo da queste superbe reliquie di un passato dell’umanità inconcepibilmente remoto e ci si volta per riprendere il cammino verso l’entrata della grotta, si nota qualcos’altro. A mezza altezza, la superficie delle pareti cambia. Il pavimento della grotta è stato scavato in questo secolo per facilitare l’accesso ai visitatori, ma durante l’Era glaciale la volta, in certi punti, era a una sessantina di centimetri dal suolo. Gli artisti che la decorarono dovevano farsi strada sdraiati sul ventre, schiacciati fra il suolo e il soffitto, respirando faticosamente in un ambiente povero di ossigeno.  [⇒]

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[]  I.  T a t t e r s a l l,  ‹I l  c a m m i n o  d e l l’ u o m o›,  B o l l a t i  B o r i n g h i e r i,  2 0 1 1.
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Il cammino… • Introduzione (1)

  •  T a t t e r s a l l  (1 9 9 8)  •  … d e l l’ u o m o  •  I n t r o d u z i o n e  •

A una mezz’oretta a piedi da Les Eyzies-de-Tayac, una sonnolenta cittadina della Francia sudoccidentale, una stretta fessura penetra in profondità all’interno di una parete di calcare. Questo passaggio serpeggiante un tempo era il letto di un corso d’acqua sotterraneo. Oggi è la grotta di Les Combarelles I. All’entrata una guida apre con una chiave la vecchia cancellata di ferro e la spalanca. Un corridoio lungo, stretto e tortuoso scompare nell’oscurità. L’altezza e la larghezza mi permettono appena di stare in piedi, schiacciato contro il mio vicino. Procediamo tastoni, scansando le sporgenze di roccia, e ci inoltriamo per circa centocinquanta metri lungo quel passaggio tenebroso, domandandoci perché mai ci siamo cacciati in questa strettoia impervia e buia, nonostante la presenza dell’illuminazione elettrica a intervalli regolari. All’improvviso la guida si ferma e tutte le domande si dissolvono. Alla luce radente e filtrata delle lampade, le pareti della grotta si animano all’improvviso di figure incise, alcune quasi cancellate dallo strato di calcite che si è depositato nel corso dei millenni. Le raffigurazioni di trecento fra cavalli, mammut, renne, bisonti, stambecchi, leoni e molti altri mammiferi si affollano lungo le pareti della grotta per quasi un centinaio di metri. Eseguite con estrema delicatezza dopo una meticolosa osservazione dell’animale, queste figure così varie, che talora si sovrappongono, sono opera di popolazioni dell’Era glaciale, e forse risalgono a 13000 anni or sono.

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