CorSera (3/11/1995) • Hannah e Martin… (8)

  •  C a r e t t o  (1 9 9 5)  •  … L’ a m o r e  o l t r e  l’ i d e a  •

Come non era riuscita a liberarsi dalla perversa magia personale di Heidegger, così la Arendt non sarebbe riuscita a liberarsi dell’eredità filosofica. Wolin sostiene che nel suo pensiero era rimasto un substrato elitista: la passione per l’attività rivoluzionaria e un certo scetticismo della prassi parlamentare. Ricorda che Hannah Arendt scrisse: «La mentalità democratica tende a ignorare la mancanza d’interesse di parte della popolazione nella politica… di rado il talento politico può imporsi in una società egualitaria».
Caretto Ennio

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CorSera (3/11/1995) • Hannah e Martin… (7)

  •  C a r e t t o  (1 9 9 5)  •  … L’ a m o r e  o l t r e  l’ i d e a  •

Secondo Richard Wolin, autore del libro “Il pensiero politico di Martin Heidegger”, il riavvicinamento al filosofo tedesco e la lotta per ripristinarne il prestigio finiranno per influire sul pensiero di Hannah Arendt. Il volumetto di Elzbieta Ettinger non ne sarebbe che una dimostrazione. Ciò non trasparirebbe tanto da “La condizione umana”, quanto dal controverso “Eichmann a Gerusalemme”. La pubblicazione di quel libro causò scandalo per le sue critiche della leadership ebraica e la tesi che il nazismo aveva «portato al crollo della moralità non solo in Germania ma in quasi tutti i Paesi e tra le sue vittime».

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CorSera (3/11/1995) • Hannah e Martin… (6)

  •  C a r e t t o  (1 9 9 5)  •  … L’ a m o r e  o l t r e  l’ i d e a  •

Per Hannah Arendt è la rinascita dell’amore. Il nuovo incontro, nel ’50, la sublima: «Quella sera e la mattina successiva — confida — sono la conferma di tutta una vita, una conferma inaspettata». Ma Elzbieta Ettinger non dubita che Martin sia mosso da altre considerazioni: «Ha bisogno di un ambasciatore, e Hannah è la più adatta… è un’ebrea famosa, e il suo appoggio lo può scagionare dall’accusa di antisemitismo». Presto Heidegger pone alcune condizioni: Hannah deve diventare amica della moglie, e gli incontri, solo più platonici, devono avvenire a tre. La Arendt non si rassegna: difendendo l’ex amante, ne responsabilizza la consorte. È stata lei a spingerlo al nazismo, Heidegger «ha rimediato al proprio errore più in fretta persino di chi lo ha condannato».

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CorSera (3/11/1995) • Hannah e Martin… (5)

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Sono gli anni della rottura. Nella mente della Arendt martellano passi dei discorsi di Heidegger: «Non lasciatevi governare dalle dottrine e dalle idee, il Fuhrer [=Führer!] è il presente e il futuro della Germania ed è la sua legge». È il momento dell’autonomia, la quale sfocia nella stampa del capolavoro della Arendt, “Le origini del totalitarismo” nel 1951. Ma di un’autonomia temporanea. La notizia che Heidegger è stato processato per collaborazionismo e spogliato dell’insegnamento, della pensione, e financo della sua biblioteca personale, che anche gli amici lo hanno abbandonato («Non si può presentare un simile maestro ai giovani di oggi» testimonia il filosofo Karl Jaspers), risuscita il passato, commuove Hannah e la spinge a riprendere i contatti.

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CorSera (3/11/1995) • Hannah e Martin… (4)

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Gli incontri finiranno nel ’28. È il professore a troncare il rapporto con l’allieva. Lei ne è distrutta: «Ti amerò per sempre — gli scrive — e se c’è un Dio ti amerò ancora meglio da morta». Ma si sposa con un discepolo di Heidegger, Gunter Stern, da cui divorzierà nel ’37 per risposarsi, dopo essersi rifugiata in Francia, con Heirich Bluecher. Le strade dei due amanti divergono: Martin, assurto a celebrità mondiale con “Essere e tempo”, pubblicato nel ’27, diventa l’ispiratore e il cantore del nazismo, e Hannah prende coscienza della propria etnia. Pubblica una biografia di Rahel Varnhagen, la famosa “maitresse de salon” di Berlino dell’inizio Ottocento, dal significativo sottotitolo di “La vita di una ebrea”, e si adopera per il trasferimento degli ebrei in Palestina. Nel ’41, si stabilirà in America.

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CorSera (3/11/1995) • Hannah e Martin… (3)

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Hannah Arendt e Martin Heidegger s’incontrano all’università di Marburgo nell’autunno del 1924. Lei è una ricca ebrea baltica, viene da Koenigsberg, la città di Kant. Devastato dalla sifilide, il padre è morto undici anni prima, la madre s’è rimaritata dandole due sorelle, una delle quali si suiciderà nel 1930: Hannah ha scritto un saggio, “Ombre”, in cui lamenta la «giovinezza tradita, senza più speranza». Lui invece è già un mostro sacro della filosofia. «È amore a prima vista — scrive Ettinger — e Hannah ne sarà travolta». I primi incontri hanno luogo nello studio di Heidegger, quelli successivi a casa sua (lui le segnala via libera con una lampada), infine in un appartamento presso l’università. Quando la moglie, Elfride Petri, ne ha sentore, Martin induce Hannah a spostarsi a Heidelberg.

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CorSera (3/11/1995) • Hannah e Martin… (2)

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La chiave di lettura di Hannah Arendt e di Martin Heidegger fornita da Elzbieta Ettinger ha suscitato polemiche roventi. Il libro intacca il mito femminista della pensatrice ebrea, e illustra l’influenza che Heidegger esercitò sul suo lavoro. Di riflesso, riduce la statura del filosofo tedesco, «una strana mescolanza di razzismo, di romanticismo e corruzione», come commenta il critico Richard Cohen. E, in particolare, spiega perché la Arendt abbia dedicato un terzo della sua esistenza, dal ’50 fino alla morte, a riabilitare il suo Pigmalione. Lo stesso da lei accusato, in una lettera del 1933, di essere corresponsabile, in quanto rettore dell’università di Friburgo, delle leggi antisemite; e definito, in un’altra del 1946, “un potenziale assassino” per avere rifiutato di aiutare i colleghi ebrei.

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CorSera (3/11/1995) • Hannah e Martin… (1)

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WASHINGTON — L’autrice, Elzbieta Ettinger del Massachusetts Institute of Technology, gli ha dato un titolo volutamente umile: “Hannah Arendt e Martin Heidegger”. Ma a vent’anni dalla morte di due dei più grandi filosofi del secolo (spirarono a cinque mesi di distanza l’uno dall’altro) il suo volumetto di 150 pagine è stato una bomba culturale, a parere di Alfred Kazin, «un documento storico che desterà scalpore». Per due ragioni: che racconta per la prima volta nei dettagli la loro tragica storia d’amore di ragazza ebrea e d’ideologo nazista, durata mezzo secolo; e che propone un riesame critico dei loro caratteri e delle loro opere, della Arendt, innanzitutto. Basato sulla corrispondenza inedita di questi due giganti del pensiero, che divennero amanti nel 1924, lei studentessa diciottenne, lui professore trentacinquenne, sposato e con due figli, il libretto sottolinea il tormentato rapporto di dipendenza intellettuale ed emotiva che Hannah formò con l’arrogante “piccolo mago di Friburgo” fin dal primo incontro. Rapporto, ha osservato lo storico della filosofia Richard Wolin, da “Portiere di notte”, di cui la Arendt non riuscì più a liberarsi.

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CorSera (3/11/1995) • Hannah e Martin… (0)

  •  C a r e t t o  (1 9 9 5)  •  … L’ a m o r e  o l t r e  l’ i d e a  •

Hannah e Martin – L’amore oltre l’idea


BIOGRAFIE. Nuovi particolari sulla tormentata relazione fra Heidegger, il filosofo vicino ai nazisti, e l’ebrea Arendt, la teorica della democrazia morta 20 anni fa

Il legame fra l’ex studentessa e il professore continuò anche nel dopoguerra, quando lei cercò di riabilitarlo. Si erano conosciuti all’università nel ’24. Era fuggita negli Usa nel ’41 ma si commosse quando tutti lo condannarono

di Ennio Caretto
Corriere della Sera - Archivio — 3/11/1995 (3 novembre 1995), p. 33.

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L’anello… • 10. Armi e morale (32)

  •  L o r e n z  (1 9 4 9)  •  10.  A r m i  e  m o r a l e  •

Or sono quattordici anni, nel novembre 1935, concludevo con queste parole un saggio intitolato ‹Armi e morale negli animali›: «Verrà il giorno in cui ognuna delle due parti in guerra avrà la possibilità di annientare completamente l’altra. Forse verrà il giorno in cui tutta l’umanità sarà divisa in due campi. Ci comporteremo allora come le colombe o come i lupi? Sarà la risposta a questa domanda a decidere del destino dell’umanità»… C’è veramente di che stare in ansia!

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L’anello… • 10. Armi e morale (31)

  •  L o r e n z  (1 9 4 9)  •  10.  A r m i  e  m o r a l e  •

Una sola creatura possiede armi che non sono cresciute sul suo corpo, che non rientrano nella struttura funzionale dei suoi comportamenti innati, e il cui uso non è regolato da una corrispondente forza di inibizione: questa creatura è l’uomo. Le armi dell’uomo divengono sempre più micidiali, e la loro potenza si è moltiplicata paurosamente nel corso di pochi decenni. Invece perché si sviluppino impulsi e inibizioni innati, così come si sviluppa un organo corporeo, occorrono lassi di tempo che rientrano in un ordine di grandezza familiare ai geologi e agli astronomi, non certo agli storici. Le nostre armi noi non le abbiamo ricevute dalla natura, le abbiamo liberamente create. E che cosa ci sarà più facile, la creazione di nuove armi o quella di un senso di responsabilità, di un sistema di inibizioni, senza i quali la nostra razza può perire ad opera di ciò che essa stessa ha creato? Ma anche queste inibizioni dobbiamo crearcele liberamente, poiché sui nostri istinti non possiamo proprio contare.

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L’anello… • 10. Armi e morale (30)

  •  L o r e n z  (1 9 4 9)  •  10.  A r m i  e  m o r a l e  •

Quando, nel corso dell’evoluzione, una specie animale sviluppa un mezzo aggressivo che potrebbe uccidere in un sol colpo un animale della stessa specie, deve svilupparsi parallelamente anche un’inibizione sociale, affinché l’esistenza della specie non ne venga messa in pericolo. Solo pochi animali da preda conducono una vita talmente asociale da non aver bisogno, generalmente, di tali inibizioni: sono animali che si incontrano fra loro solo all’epoca degli amori, quando l’istinto sessuale ha il sopravvento su tutti gli altri, anche sull’impulso guerriero, e quindi non occorrono certe particolari inibizioni di natura sociale. Sono eremiti di questo genere l’orso polare e il giaguaro, e non è un caso che nella storia del nostro giardino zoologico di Schönbrunn si registri un assassinio del coniuge proprio a carico di queste due specie. Per ogni specie animale il sistema degli impulsi e delle inibizioni ereditarie e le armi offensive fornite dalla natura stanno fra loro in delicato equilibrio e costituiscono un insieme autoregolantesi: lo stesso processo evolutivo che ha fornito a una creatura animale i suoi mezzi di aggressione ha anche plasmato i suoi impulsi e le sue inibizioni, e quindi la struttura somatica e la struttura funzionale dei comportamenti di una specie animale sono fra loro strettamente connesse.

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L’anello… • 10. Armi e morale (29)

  •  L o r e n z  (1 9 4 9)  •  10.  A r m i  e  m o r a l e  •

Naturalmente le inibizioni innate, rigidamente istintuali, che impediscono a un animale di usare senza ritegni i propri strumenti d’aggressione sono un equivalente soltanto funzionale, tutt’al più un primo bagliore che, per dir così, preannuncia, nella storia dell’evoluzione, la morale sociale umana. Lo studioso di etologia comparata dovrà andar molto cauto nell’emettere giudizi morali sul comportamento animale. Devo tuttavia confessare che, nel mio sentimentalismo, sono profondamente commosso e ammirato di fronte a quel lupo che ‹non può› azzannare la gola dell’avversario, e ancor più di fronte all’altro animale, che conta proprio su questa sua reazione! Un animale che affida la propria vita alla correttezza cavalleresca di un altro animale! C’è proprio qualcosa da imparare anche per noi uomini! Io per lo meno ne ho tratto una nuova e più profonda comprensione di un meraviglioso detto del Vangelo che spesso viene frainteso, e che finora aveva suscitato in me solo una forte resistenza istintiva: «Se qualcuno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra…». L’illuminazione mi è venuta da un lupo: non per ricevere un altro schiaffo devi offrire al nemico l’altra guancia, no, devi offrirgliela proprio per impedirgli di dartelo!

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L’anello… • 10. Armi e morale (28)

  •  L o r e n z  (1 9 4 9)  •  10.  A r m i  e  m o r a l e  •

E in fin dei conti non conosciamo situazioni del genere anche nel comportamento degli uomini? L’eroe omerico, che vuole arrendersi e invoca pietà, getta via elmo e scudo, cade in ginocchio e china la testa, in un atteggiamento che evidentemente faciliterebbe al nemico il compito di ucciderlo, mentre in realtà glielo rende più difficile. E ancor oggi in molti gesti di cortesia c’è un residuo simbolico di quegli atteggiamenti di sottomissione: l’inchino, la scappellata, il «presentatarm» nelle cerimonie militari. Sembra però che non sempre gli eroi omerici riuscissero nel loro intento quando inscenavano quell’atteggiamento di sottomissione per invocare pietà: non sempre l’avversario se ne lasciava influenzare, o per lo meno, sotto questo aspetto, egli aveva un cuore assai meno tenero dei lupi. In parecchi casi il poeta ci descrive l’uccisione spietata del vinto che invoca clemenza, o ci racconta come, nonostante la compassione, l’uccisore infliggesse la morte al nemico. Anche nelle antiche saghe germaniche vi sono parecchi esempi in cui il gesto di sottomissione non ottiene alcun risultato, e solo per i cavalieri medioevali è diventato un imperativo del codice guerresco l’obbligo di risparmiare colui che si arrende. Quindi soltanto il cavaliere cristiano, in virtù di una tradizione e di una morale religiosa, diviene così cavalleresco come lo è, visto obiettivamente, il lupo, in virtù dei suoi impulsi più profondi e delle sue inibizioni naturali. Che sorprendente paradosso!

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L’anello… • 10. Armi e morale (27)

  •  L o r e n z  (1 9 4 9)  •  10.  A r m i  e  m o r a l e  •

L’ipotesi che questi gesti di sottomissione siano di natura rigidamente istintuale e di origine assai lontana nella storia dell’evoluzione trova fra l’altro conferma nel fatto che molti uccelli hanno sviluppato speciali organi-segnali che servono appunto a sollecitare questo tipo di inibizione. Così ad esempio i giovani delle folaghe acquatiche hanno una zona rossa e calva sulla nuca, e quando la presentano, in modo più che significativo, a una folaga più vecchia e più forte, che li vuole aggredire, essa diviene di un rosso ancora più scuro. Tutte queste singolari cerimonie mirano dunque a ‹facilitare› all’avversario proprio quelle azioni contro le quali esso deve esercitare la propria inibizione. Naturalmente al cane non passa affatto il desiderio di mordere quando l’altro gli tende la gola invocando pietà; al contrario, abbiamo visto che esso ha una voglia terribile di farlo, ma semplicemente non può. Per ora ci è indifferente che questa inibizione abbia il carattere di un puro riflesso meccanico oppure no. Noi ci limitiamo a constatare su base puramente empirica che, quando si sente sopraffatto, un animale può far scattare l’inibizione a uccidere in un altro animale, più forte, della stessa specie, offrendosi inerme al suo attacco.

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[]  K.  L o r e n z,  ‹L’ a n e l l o  d i  R e  S a l o m o n e›  (1 9 4 9),  A d e l p h i,  2 0 0 6²².
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L’anello… • 10. Armi e morale (26)

  •  L o r e n z  (1 9 4 9)  •  10.  A r m i  e  m o r a l e  •

La situazione è tragica quando un tacchino viene alle prese con un pavone, cosa che accade non di rado, perché queste due specie affini sono anche abbastanza simili fra loro per comprendersi reciprocamente nelle loro manifestazioni di virilità. Pur essendo più forte e più pesante, il tacchino ha quasi sempre la peggio, perché il pavone è più abile nel volo e ha una diversa strategia. Mentre l’americano rossiccio si sta ancora preparando alla lotta, l’azzurro asiatico si è già levato in volo e lo colpisce con i suoi acuminati speroni. Il pellerossa, con ragione, risente come una scorrettezza questo colpo contrario al codice di guerra della sua specie, e quindi, pur essendo ancora bene in forze e non avendo alcun bisogno di arrendersi, inalbera bandiera bianca assumendo la posizione sopra descritta. E ora accade una cosa orrenda: il pavone ‹non comprende› questo gesto di resa del tacchino, che non gli dice nulla e non provoca in lui alcuna inibizione. Esso quindi continua a colpire col becco e con le zampe l’indifeso avversario, e se per caso non sopraggiunge qualcuno, per lui è finita, perché quante più zampate e colpi riceve, tanto più saldamente esso si attiene alla propria reazione di umiltà. Non gli passa neppure per la testa l’idea di svignarsela con un balzo.

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[]  K.  L o r e n z,  ‹L’ a n e l l o  d i  R e  S a l o m o n e›  (1 9 4 9),  A d e l p h i,  2 0 0 6²².
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L’anello… • 10. Armi e morale (25)

  •  L o r e n z  (1 9 4 9)  •  10.  A r m i  e  m o r a l e  •

In molti gallinacei la lotta fra maschi termina quando uno dei due contendenti viene buttato a terra, inchiodato al suolo e scotennato dal vincitore, come accade tra le tortore. Solo il tacchino, in questa situazione, mostra pietà per l’avversario, e quindi solo lui ricorre a uno specifico gesto di sottomissione, che anche in questo caso consiste nel presentare la parte cui mirano gli attacchi dell’aggressore. Se un tacchino ne ha prese abbastanza nella lotta selvaggia e grottesca cui indulgono questi volatili, si sdraia completamente a terra, con il collo proteso orizzontalmente, e in questo caso il vincitore si comporta in modo assai simile a quello da me descritto nei cani e nei lupi: vorrebbe infierire ma non può, e continua a girare in atteggiamento minaccioso attorno all’avversario immobile, senza decidersi a beccare o a calpestare l’indifeso.

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[]  K.  L o r e n z,  ‹L’ a n e l l o  d i  R e  S a l o m o n e›  (1 9 4 9),  A d e l p h i,  2 0 0 6²².
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L’anello… • 10. Armi e morale (24)

  •  L o r e n z  (1 9 4 9)  •  10.  A r m i  e  m o r a l e  •

Qual è dunque il vero senso dei gesti di sottomissione, dell’appello all’inibizione sociale del vincitore? Ma sì, il loro vero senso sta proprio nel facilitare il ferimento o addirittura l’uccisione dello sconfitto, che accantona improvvisamente tutte le difese cui fin poco prima ricorreva disperatamente! Tutti i gesti e tutte le posizioni di sottomissione che conosciamo finora si fondano sullo stesso principio: colui che invoca pietà offre sempre all’aggressore la parte più vulnerabile del suo corpo, o meglio proprio la parte alla quale mirava l’aggressore con intenzioni micidiali. Nella maggior parte degli uccelli questa parte è la nuca: se una taccola vuole esprimere la propria sottomissione, si inchina un poco offrendo all’altra taccola, che vuole placare, la nuca, come per invitarla a beccare. Invece i gabbiani, o anche gli aironi, presentano al vincitore la parte superiore del capo, tenendo il collo in una posizione orizzontale che li rende particolarmente indifesi.

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L’anello… • 10. Armi e morale (22-23)

  •  L o r e n z  (1 9 4 9)  •  10.  A r m i  e  m o r a l e  •

Quando, dunque, vi vedete venire incontro un capriolo mite e grazioso con il suo caratteristico passo di parata, che muove leziosamente le corna con aria amichevole e giocosa, colpitelo con un bastone da passeggio, con una pietra o semplicemente col pugno, ma comunque con un bel colpo violento assestato, lateralmente, sul muso, prima che esso vi conficchi le corna in corpo.

E ora siate onesti: qual è veramente l’animale ‹buono›, il mio amico Roa, alle cui inibizioni sociali posso affidare la luce dei miei occhi senza la minima ansietà e preoccupazione, oppure quella dolce colombella che ha martoriato a morte il suo compagno con ore e ore di faticoso lavorio? Qual è l’animale ‹cattivo›, il capriolo capace di sventrare anche le femmine e i piccoli della sua specie che non riescono a sottrarglisi, o il lupo, che ‹mai riuscirà a mordere› l’odiato nemico che si appella alla sua pietà?

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L’anello… • 10. Armi e morale (21)

  •  L o r e n z  (1 9 4 9)  •  10.  A r m i  e  m o r a l e  •

L’unica «assicurazione» contro l’assassinio che abbia un capriolo aggredito da un suo simile consiste nel fatto che l’attacco dell’aggressore si svolge con una certa lentezza. Il capriolo non si lancia contro l’avversario a testa bassa, con balzi selvaggi, come fa ad esempio il montone, ma procede prudentemente, quasi a tastoni, cercando con le corna le corna dell’avversario, e solo quando si sente opporre una ferma resistenza si scatena l’attacco micidiale. Secondo le statistiche dell’americano Hornaday, direttore di uno zoo, i caprioli domestici causano ogni anno più incidenti che non i leoni e le tigri, soprattutto perché la persona inesperta non riconosce una seria intenzione aggressiva nel lento incedere del capriolo, e spesso non lo prende sul serio neppure quando le è già pericolosamente vicino e la tasta con le corna. Poi all’improvviso incominciano a piovere i colpi di quell’arma acuminata, con forza sorprendente, e siete fortunati se riuscite in tempo ad afferrare con le mani le corna dell’aggressore. Segue allora un estenuante corpo a corpo che vi fa grondare di sudore, vi lacera le mani, e nel quale anche per una persona forte è difficile avere la meglio sul capriolo, se non le riesce di affiancarsi alla bestia e piegarle il collo all’indietro. Ma naturalmente ci si vergogna di chiamare aiuto… finché ci si trova la punta del corno nella pancia.

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L’anello… • 10. Armi e morale (20)

  •  L o r e n z  (1 9 4 9)  •  10.  A r m i  e  m o r a l e  •

Questa bestia malevola oltretutto possiede un’arma, le corna, e le sue inibizioni a servirsene sono dannatamente scarse: la specie «si può permettere» una tale mancanza di controllo, perché, grazie alla grande velocità, anche il capriolo più debole può sottrarsi all’attacco del più forte. Ma per tenere un grosso maschio accanto a esemplari femminili della stessa specie occorre un recinto molto spazioso, altrimenti esso finisce per spingere in un angolo tutti i suoi simili, giovani e «signore», sopprimendoli poi spietatamente.

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L’anello… • 10. Armi e morale (19)

  •  L o r e n z  (1 9 4 9)  •  10.  A r m i  e  m o r a l e  •

La tortora invece non ha bisogno di una simile inibizione, perché la sua capacità di nuocere è molto più limitata, mentre per contro essa è talmente abile nel volo da potersi difendere dai nemici provvisti di ben altri strumenti di aggressione, lei che col suo beccuccio non riesce quasi neppure a strappare una minuscola piuma: la tortora, quando si sente sopraffatta, vola via lontano prima di farsi appioppare un secondo colpo. Solo nelle condizioni innaturali della prigionia, che tolgono alla tortora vinta la possibilità di una rapida fuga, viene in luce come a questa specie manchi ogni inibizione che le impedisca di nuocere ai suoi simili e di martirizzarli. E altrettanto privi di inibizioni risultano parecchi erbivori apparentemente «innocui», quando vengono ammassati in condizioni di rigida prigionia. E uno degli assassini più disgustosi, disinibiti e crudeli è l’animale che subito dopo la colomba è un simbolo proverbiale della mitezza, il capriolo Bambi, esaltato fino alla nausea da Felix Salten.

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L’anello… • 10. Armi e morale (18)

  •  L o r e n z  (1 9 4 9)  •  10.  A r m i  e  m o r a l e  •

Perché questa inibizione del cane a mordere il collo del nemico, questa inibizione del corvo a beccare gli occhi dell’amico? E perché la tortora non è ugualmente «assicurata» contro il pericolo di un volgare assassinio? Non siamo in grado di fornire una vera risposta motivata a questi perché, risposta che certamente implicherebbe una spiegazione storica del processo attraverso il quale nel corso dell’evoluzione si sono formate tali inibizioni, parallelamente all’evolversi dei pericolosi strumenti aggressivi degli animali da preda. Ma è senz’altro chiaro lo ‹scopo› a cui servono queste inibizioni negli animali da preda dotati di pericolosi mezzi di aggressione. Se il corvo, così come becca qualunque oggetto che si muove o che luccica, beccasse senza inibizioni anche gli occhi dei suoi fratelli, di sua moglie o dei suoi piccoli, da molto tempo non vi sarebbero più corvi sulla terra. Lo stesso accadrebbe per il lupo o per il cane se potessero azzannare senza inibizioni e imprevedibilmente la gola dei compagni di branco, scrollandoli poi a morte con quel movimento che compiono volentieri su qualsiasi oggetto che si presti ai loro morsi, così come ogni giovane bassotto scuote la pantofola del suo padrone.

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L’anello… • 10. Armi e morale (17)

  •  L o r e n z  (1 9 4 9)  •  10.  A r m i  e  m o r a l e  •

La vista del gigantesco becco adunco di un corvide che opera nei dintorni dell’occhio aperto di un uomo può dare l’impressione di un grave pericolo: quante volte non mi sono sentito dire da chi assisteva all’operazione di stare attento, perché non si sa mai… gli animali rapaci sono pur sempre animali rapaci… e altri simili saggi ammonimenti. Io solevo ribattere paradossalmente che il mio ben intenzionato interlocutore poteva costituire per me un pericolo maggiore del corvo: accade pure, ogni tanto, che una persona sia improvvisamente trucidata da un individuo affetto da delirio di persecuzione, che aveva mascherato le sue idee deliranti con la pericolosa scaltrezza e la capacità di simulare caratteristiche di molti di questi malati; e c’era pure sempre una benché minima possibilità che proprio chi mi metteva in guardia contro il corvo fosse forse uno di questi pericolosi individui. E se era enormemente improbabile un’improvvisa aggressione da parte del mio ben intenzionato consigliere, era ancora infinitamente meno probabile che un corvo adulto e sano perdesse improvvisamente, per motivi imprevedibili, quell’inibizione che gli impedisce di beccare gli occhi a un altro animale.

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L’anello… • 10. Armi e morale (16)

  •  L o r e n z  (1 9 4 9)  •  10.  A r m i  e  m o r a l e  •

In una sola situazione Roa si avvicinava col becco ai miei occhi: quando mi faceva la cosiddetta «cura sociale della pelle». Molti animali sociali, uccelli e mammiferi, e soprattutto le scimmie, hanno la cortese abitudine di pulire la pelle dei loro simili in quelle parti del corpo che non sono accessibili direttamente all’interessato. Gli uccelli dipendono dai loro simili soprattutto per la pulizia della testa e delle zone attorno agli occhi. Parlando delle taccole, avevo accennato ai gesti con cui un uccello invita un suo simile a pulirgli le piume della testa: se io protendevo lateralmente il capo verso Roa con gli occhi semichiusi, come fanno i corvidi fra loro, esso comprendeva immediatamente il mio gesto, nonostante non avessi sul capo piume arruffate, e incominciava subito a pulirmi. Nel corso di questa operazione non gli accadeva mai di pizzicarmi la pelle: i corvi infatti hanno una pelle assai delicata, che non sopporterebbe un trattamento rude. Con meravigliosa precisione esso afferrava isolatamente ogni singolo peluzzo che riusciva a raggiungere e lo puliva facendolo passare attraverso il becco, accudendo a questa mansione con la seria diligenza che contraddistingue le scimmie quando si spidocchiano o i chirurghi quando operano. E non dico per scherzo: con questa reciproca prestazione gli antropoidi non mirano tanto a liberare il loro compagno dai parassiti (che, incidentalmente, sono rari tra le scimmie), né si limitano a una generica pulizia della pelle, ma riescono anche a togliere spine e altre piccole impurità con una maestria tutt’altro che trascurabile.

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L’anello… • 10. Armi e morale (15)

  •  L o r e n z  (1 9 4 9)  •  10.  A r m i  e  m o r a l e  •

Come spesso accade, anche qui un’osservazione casuale ci rende consapevoli di un problema che ci si pone quotidianamente in molte situazioni e nelle vesti più diverse. Le ‹inibizioni sociali› di questo tipo non sono una cosa rara, e sono anzi così frequenti che spesso le diamo per scontate e non ci soffermiamo troppo a riflettervi. Secondo un proverbio, un corvo non becca l’occhio di un altro corvo, e una volta tanto il proverbio ha ragione. Se siete amici di un corvo, non gli salterà mai in mente di beccare il vostro occhio, l’occhio del suo amico uomo, più di quanto non pensi a beccare l’occhio di un suo simile. Quando il corvo imperiale Roa era appollaiato sul mio braccio e io accostavo intenzionalmente il mio viso al suo becco, in modo che il mio occhio aperto veniva a trovarsi vicino a quella punta adunca e pericolosa, Roa faceva un gesto proprio commovente: con una mossa nervosa, quasi angosciata, distoglieva il becco dal mio occhio, così come un padre che si sta rasando bada a che la lama del rasoio stia ben lontana dalle manine goffe della sua figlioletta che vogliono afferrarla.

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L’anello… • 10. Armi e morale (…14a)

  •  L o r e n z  (1 9 4 9)  •  10.  A r m i  e  m o r a l e  •

[⇐]  Se però si allontana anche solo di pochi passi, spesso il vinto cerca lestamente di prendere il largo, ma per lo più, in un primo momento, non ci riesce, perché, appena abbandona la sua immobile posa di sottomissione, l’altro gli è subito sopra come un fulmine, e il misero sconfitto deve di nuovo pietrificarsi nella posizione di prima, con la testa scostata e il collo proteso. Sembra che il vincitore aspetti soltanto che l’avversario abbandoni quella sua posizione sottomessa, permettendogli così di soddisfare il suo ardente desiderio di mordere. Ma, per fortuna dello sconfitto, a battaglia finita il vincitore è colto dall’impulso irresistibile di imprimere un odoroso marchio di fabbrica sul luogo delle sue gesta vittoriose, in modo da contrassegnare la proprietà: cioè, in altre parole, di sollevare al più presto la gamba presso il più vicino oggetto verticale. E di solito il cane sconfitto approfitta di questa cerimonia della presa di possesso per svignarsela.

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L’anello… • 10. Armi e morale (14…)

  •  L o r e n z  (1 9 4 9)  •  10.  A r m i  e  m o r a l e  •

Invece possiamo stare sicuri che in questa situazione il lupo o il cane vincitore non morde. È chiaro che lo farebbero volentieri, ma semplicemente non possono. Un cane o un lupo che offra la gola all’avversario nel modo sopra descritto non viene mai gravemente morsicato: l’altro ringhia rabbiosamente, apre e richiude la bocca e, senza aver inflitto neppure un morso, compie dei movimenti nell’aria, come per scrollare a morte qualcosa. Però questa strana inibizione che impedisce di mordere sussiste solo finché il cane sconfitto si mantiene nel suo atteggiamento di sottomissione. Poiché la lotta è cessata in modo così improvviso, spesso il vincitore si trova in una posizione assai scomoda sopra al vinto, e a poco a poco per il detentore di quella «vittoria morale», che non sa decidersi a mordere, diviene sempre più noioso mantenersi in quella posizione, con il muso sul collo dello sconfitto.  [⇒]

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L’anello… • 10. Armi e morale (12-13)

  •  L o r e n z  (1 9 4 9)  •  10.  A r m i  e  m o r a l e  •

A una scena del genere, come si è detto, si può assistere ogni volta che due cagnacci si incontrano per strada. Ho scelto a esempio i lupi di Whipsnade perché questo comportamento ci fa più impressione e ha maggior forza di persuasione se visto presso degli animali selvaggi divenuti simbolo di crudeltà che non presso i cani domestici con cui abbiamo tanta confidenza.

Avevamo lasciato i nostri due lupi in un momento di estrema tensione sia per loro sia per lo spettatore, il mio però non è stato un artificio stilistico, perché anche nella realtà questa singolare situazione si protrae per alcuni secondi, che allo spettatore sembrano minuti, e al lupo soccombente probabilmente sembrano ore. Ci si aspetta a ogni istante che il lupo più forte morda, che infigga i suoi denti nella vena giugulare dello sconfitto.

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L’anello… • 10. Armi e morale (11)

  •  L o r e n z  (1 9 4 9)  •  10.  A r m i  e  m o r a l e  •

D’un tratto il groviglio dei corpi si allenta, e i due animali rimangono immobili, spalla contro spalla, ma ora le due teste sono dalla stessa parte. Entrambi ringhiano rabbiosamente, il vecchio in tono basso, profondo, il giovane in tono più acuto. Ma si osservi l’atteggiamento dei due animali: il vecchio tiene il muso vicinissimo al collo del giovane, e questo volge via la testa, offrendo inerme al nemico la concavità del collo, cioè proprio la parte più vulnerabile del suo corpo. A non più di tre centimetri dal suo collo teso, là dove la vena giugulare scorre a fior di pelle, scintillano i denti dell’avversario sotto le labbra atteggiate a un ghigno cattivo. E mentre prima, durante la lotta, tutti gli sforzi dei due avversari tendevano a offrire ai morsi dell’altro solo i denti, l’unica parte del corpo insensibile alle ferite, e a proteggere appunto il collo dall’aggressione nemica, ora sembra che l’animale soccombente offra ‹intenzionalmente› proprio quella parte del corpo in cui ogni morso può essere mortale. E l’apparenza non inganna: è strano, ma le cose stanno proprio così.

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L’anello… • 10. Armi e morale (10)

  •  L o r e n z  (1 9 4 9)  •  10.  A r m i  e  m o r a l e  •

Così si svolse a Whipsnade la lotta tra i due lupi maschi di cui ho parlato sopra. Ciò che attrasse la mia attenzione fu il ringhio rabbioso ma trattenuto dei lupi, più sommesso, eppure assai più minaccioso di quello dei cani. Un gigantesco vecchio lupo grigio chiaro e un altro lupo non molto più piccolo ma evidentemente più giovane si fronteggiavano e si rincorrevano in piccoli cerchi serrati con un’ammirevole «tecnica di gambe». L’occhio non riusciva a tener dietro allo scambio fulmineo dei colpi di zanne; però non era accaduto ancora nulla di serio, e le mascelle di un lupo si chiudevano sempre sui bianchi denti dell’altro, che parava il colpo; solo le labbra dei due animali sembravano averne riportato qualche taglio. Però il lupo più piccolo veniva rigettato sempre più indietro, e penso che il suo più esperto avversario cercasse intenzionalmente di spingerlo contro la rete del recinto. Ecco infatti che il giovane urta contro il filo metallico, inciampa, e il vecchio gli è subito sopra. E ora accade una cosa incredibile, proprio il contrario di quello che ci si sarebbe aspettato.

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L’anello… • 10. Armi e morale (9)

  •  L o r e n z  (1 9 4 9)  •  10.  A r m i  e  m o r a l e  •

Se invece non si giunge a questa soluzione, la situazione diviene sempre più tesa e minacciosa. I nasi incominciano a raggrinzarsi e a voltarsi in su con una disgustante espressione di brutalità, le labbra si increspano e mostrano i denti canini, dalla parte solamente che ciascun animale rivolge al proprio avversario; poi le zampe incominciano a grattare rabbiosamente la terra, un profondo astio sale su dal petto, e un istante dopo scoppia la lotta fra urli alti e laceranti.

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L’anello… • 10. Armi e morale (8)

  •  L o r e n z  (1 9 4 9)  •  10.  A r m i  e  m o r a l e  •

Dunque due cani, due vecchi maschi, si vedono per strada e si vanno incontro con le gambe rigide, la coda alta e tesa, il pelo del collo e del dorso un poco irto. Quanto più si avvicinano, tanto più appaiono alti, rigidi e ispidi, e tanto più rallentano l’andatura; poi non si arrestano l’uno di fronte all’altro, come fanno i galli nei loro duelli, ma si sorpassano, in modo che infine vengono a trovarsi fianco a fianco, la testa dell’uno vicinissima alla coda dell’altro. Un rigido cerimoniale prescrive allora che i due avversari si annusino a vicenda la regione posteriore. Se in questo stadio uno dei due cani viene sopraffatto dalla paura, abbassa subitamente la coda fra le gambe e fa una rapida e delicata giravolta di 180 gradi, in modo da sottrarre all’altro la possibilità di fiutargli il deretano. Se invece i due si mantengono nell’atteggiamento di «imposizione», se le due code rimangono ritte e alte come stendardi, l’annusamento dei deretani può protrarsi per parecchio tempo. Tuttavia è ancora possibile che le cose si risolvano amichevolmente, che dapprima una coda e poi entrambe incomincino ad agitarsi sempre più in fretta, e che da questa situazione, penosa e snervante per lo spettatore, non nasca una lotta crudele ma solo uno scoppio di giocosa allegria canina.

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L’anello… • 10. Armi e morale (6-7)

  •  L o r e n z  (1 9 4 9)  •  10.  A r m i  e  m o r a l e  •

Ma allora, mi direte, chissà com’è crudele la lotta fra due animali da preda, fra quelle bestie sanguinarie dotate dalla natura di strumenti aggressivi così potenti! Come deve essere terribile la lotta fra due lupi, se anche un erbivoro quasi inerme riesce a scorticare un suo simile.

Sì, si sarebbe portati a crederlo, ma forse il lettore sa già che non si devono mai fare delle supposizioni quando è possibile rendersi conto direttamente di come stanno le cose. Quindi da bravi naturalisti guardiamo un po’ che cosa succede quando due lupi grossi, selvaggi, rabbiosi, due prototipi della più spietata crudeltà ingaggiano tra loro una vera lotta. Per assistere a uno spettacolo del genere non occorre andare in Alaska tra i cani da slitta e i lupi di Jack London, e non occorre neppure seguirmi nel magnifico zoo di Whipsnade presso Londra, dove in una stupenda pineta cintata un grosso branco di lupi vive come se fosse in libertà, e dove una volta ebbi occasione di osservare una vera battaglia fra due maschi. Non occorre che andiate lontano, basta solo che ripensiate a uno spettacolo cui senza dubbio avete assistito decine di volte: la lotta fra due cani, poiché i cani si attengono ancora immancabilmente allo stesso codice guerresco dei loro progenitori selvaggi, i lupi e gli sciacalli.

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L’anello… • 10. Armi e morale (5)

  •  L o r e n z  (1 9 4 9)  •  10.  A r m i  e  m o r a l e  •

Me ne andai quindi a Vienna tutto tranquillo, ma rincasando il giorno dopo mi trovai di fronte a uno spettacolo orrendo. La tortora nostrana giaceva a terra in un angolo della gabbia, e aveva la nuca, il collo e tutto il dorso fino alla radice della coda non solo completamente spennati, ma anche talmente martoriati che formavano un’unica sanguinolenta ferita. Ritta nel mezzo di questa piaga, come un’aquila china sulla preda, stava l’altra colombella della pace, che con quell’espressione trasognata che la fa apparire tanto simpatica all’osservatore con tendenze antropomorfiche, continuava senza posa a frugare col becco nelle ferite del suo povero, soggiogante compagno. Se questo con le sue ultime forze tentava di risollevarsi e di reagire, essa subito lo aggrediva di nuovo, sbattendolo al suolo con le tenere alucce, e proseguiva poi implacabile nel suo lento e micidiale lavorio, pur essendone già così stanca da non riuscire a tener aperti gli occhi. Eccettuati alcuni pesci, che nella lotta giungono addirittura a scorticarsi, non ho mai visto sul corpo di un vertebrato piaghe così orribili provocate da ‹un membro della sua stessa specie›.

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L’anello… • 10. Armi e morale (4)

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Prima però voglio raccontarvi un’altra storia. Ancora molto più innocuo che un duello fra due lepri sembrerebbe a prima vista un duello fra due tortore comuni o fra due tortore dal collare: quei dolci colpetti dei piccoli becchi, quel lieve schiaffetto delle tenere alucce fanno un’impressione addirittura commovente, e nessuno mai penserebbe che possano far male per davvero. Una volta, per certi miei motivi, mi proposi di ottenere un incrocio fra la tortora dal collare africano e la tortora comune che è un poco più fragile; presi quindi una tortora maschio che avevo allevato in casa fin da giovane e la misi in un’ampia gabbia con una tortora dal collare femmina. All’inizio non presi molto sul serio le piccole baruffe che scoppiavano tra i due futuri sposi: come avrebbero potuto farsi male l’un l’altro questi prototipi dell’amore e della mitezza?

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L’anello… • 10. Armi e morale (3)

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E non è soltanto comico, ma quasi commovente questo scontro fra inermi, quest’ira furibonda di due creature mansuete. Ma sono poi veramente tanto mansuete? Quando al giardino zoologico si vedono due aquile, due leoni o due lupi avventarsi l’uno contro l’altro non ci viene neppure in mente di ridere. Eppure quegli animali violenti non possono uscirne peggio di quanto ne escano le due lepri. In generale gli uomini tendono a giudicare gli animali carnivori ed erbivori secondo un criterio morale assolutamente sbagliato. Anche nelle fiabe, come per esempio in ‹Reinecke Fuchs› di Goethe, gli animali sono rappresentati come una comunità paragonabile alla società umana, quasi che «gli animali» appartenessero tutti a una stessa specie, come è effettivamente il caso per gli «uomini». Quindi l’animale che uccide un altro animale viene giudicato come un uomo che uccide un suo simile: se una volpe sbrana una lepre, non la si giudica come si giudicherebbe un cacciatore che sparasse alla lepre per motivi analoghi, ma come si giudicherebbe un guardaboschi che usasse uccidere i contadini friggendoseli poi per cena. E così il «cattivo» animale rapace è bollato come assassino: ma perché poi si parla di animali rapaci e non di animali cacciatori? Già in questa parola c’è un’intonazione antropomorfica e falsamente moralistica. In realtà i concetti di «rapacità» e di «assassinio» possono applicarsi solo a misfatti contro il prossimo, dell’uomo contro i suoi simili. E rispetto ai loro simili la maggior parte degli animali rapaci ha un comportamento non meno «sociale e corretto» di quello dei più innocui erbivori. Davvero? Osserviamo un po’ le cose da vicino.

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