In tutte le creature viventi la capacità di soffrire è direttamente proporzionale al loro livello nella scala evolutiva, e ciò vale soprattutto per le sofferenze psichiche. Un animale meno intelligente, come l’usignolo, il silvide o il criceto, in condizioni di severa prigionia soffre assai meno di una creatura più evoluta, come un corvide, un pappagallo grande o anche una mangosta, per tacere poi dei lemuri o delle scimmie. Per imparare a conoscere veramente bene un animale intelligente, di tanto in tanto lo si deve lasciare libero. A una considerazione superficiale sembrerebbe che non ci sia alcuna fondamentale differenza fra una prigionia permanente e una prigionia con poche occasionali vacanze dalla gabbia, e invece ciò ha un’importanza incalcolabile per il benessere psichico della creatura: rispetto alla prigionia permanente c’è la stessa incommensurabile differenza che passa fra la vita di un operaio, che è sempre «incatenato» al proprio lavoro, e la vita di un carcerato.
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K E Y W O R D S
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[] K. L o r e n z, ‹L’ a n e l l o d i R e S a l o m o n e› (1 9 4 9), A d e l p h i, 2 0 0 6²².
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