Abito in un piccolo appartamento alto, all’ultimo piano e spesso i gabbiani mi danno l’angoscia perché si gettano a corpo morto sulla copertura di lamiera della veranda. È un tonfo che risuona come qualcuno che cade per aver fatto un salto nel vuoto.
Allora con le voci, che si confondono con lo stridio dei gabbiani, compare l’immagine di donna che sembra un fantasma. Risale dal selciato lontano cento metri, forse risale da cento anni di illuminismo e comunismo.
Ma, come a Enea che voleva abbracciare Creusa, a Ulisse che, nell’Ade, voleva abbracciare la madre, le braccia ricadono sul mio corpo: “ter conatus ibi collo dare brachia circum”.
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K E Y W O R D S
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