Ma c’è altro. Egli trova i mezzi per argomentare contro l’epistemologia che si fa largo nella teologia del primo ’900, contro le contaminazioni tra piano logico e psichico. Nella prima risposta «al filosofo del Grenzbote» (7 aprile 1911), che resta anonimo, Heidegger nota che come lo Stato punisce ciò che minaccia la sua esistenza e il buon costume, allo stesso modo la «Chiesa ha il diritto e il dovere di tutelare i credenti, mettendo in guardia dai pericoli che minacciano fede e morale; può perciò chiedere che i più alti beni dell’uomo possano non venire umiliati, derisi ed esposti al ridicolo da chiunque, in discorsi e scritti, liberamente e senza ostacolo». Tra l’altro, rimanda a un testo del reverendo Heiner, uscito in terza edizione a Mainz nel 1905, dove si difende il Sillabo di Pio IX. Roba da causare, già in quell’epoca, l’orticaria ai liberali (o a coloro che tali si credevano e credono). È ancora Heidegger in questa prima polemica a ricordare all’avversario di conoscere poco e male la logica: «Una cosa è il concetto di tolleranza dogmatica, un’altra quello di tolleranza borghese e un’altra ancora quello di tolleranza statale. In linea di principio, la Chiesa, come custode della verità, deve respingere l’idea secondo cui tutte le religioni sarebbero vere allo stesso modo; infatti c’è solo una verità». Di più: la frase «extra ecclesiam nulla salus» (al di fuori della Chiesa non c’è salvezza), Heidegger sottolinea che «non è enunciazione di fatto, ma un principio. Resta quindi sempre la possibilità di partecipare alla grazia della redenzione per chi si trovi nell’errore senza colpa».
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K E Y W O R D S
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