[⇐] Inoltre, per capire meglio la questione del divieto di raffigurazione, bisogna considerare il livello antropologico, per osservare che questa cultura di rifiuto della personificazione iconica corrisponde anche a un rifiuto del corpo nelle società islamiche. D’altra parte, sin dall’inizio l’islam si è opposto a tutte le forme di idolatria, e ai culti delle diverse divinità che venivano rappresentate con immagini o statue; vietando la rappresentazione, l’islam nascente si distingueva dal cristianesimo e da altre religioni. Ma, come già detto, a livello giuridico non esiste un vero e proprio divieto. Perciò la questione è sempre stata molto dibattuta nella storia dell’islam, e ancor oggi il dibattito è aperto. Il wahabismo — la dottrina puritana dell’islam, nata alla fine del XVIII secolo nell’attuale Arabia Saudita — ha ulteriormente irrigidito quel divieto, considerando la sua trasgressione come infedeltà all’islam. All’epoca il wahabismo distrusse ad esempio le tombe di importanti santi musulmani, perché considerava blasfemo [sic!] qualunque rappresentazione iconica o culto che non fosse quello del Dio unico. Anche oggi un segmento del mondo musulmano è attraversato dal wahabismo, sotto diverse forme. Ciò spiega in parte le vivaci reazioni di molti musulmani alle vignette satiriche comparse su alcuni quotidiani europei. Questo episodio porta alla questione del rapporto fra sensibilità musulmana e democrazia come libertà di espressione. E in questo caso sono ambedue penalizzate.
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K E Y W O R D S
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