Di fronte alle minacce di un cane, o in genere di un grosso animale da preda, il gatto notoriamente risponde inarcando la schiena: la gobba, assieme al pelo arruffato del dorso e della coda (che viene tenuta un po’ obliqua), lo fanno apparire al nemico più grosso di quanto non sia in realtà, tanto più che esso offre un poco il fianco all’avversario, in un atteggiamento che è simile a quello di «imposizione» di alcuni pesci. Le orecchie sono appiattite, gli angoli della bocca tirati indietro, il naso arricciato. Dal petto della bestia sale un lieve brontolio metallico che suona terribilmente minaccioso, e che di tanto in tanto, mentre si fanno più profonde le increspature del naso, si trasforma in quel caratteristico «soffiare», fatto di sbuffi emessi a fauci spalancate e con i canini bene in evidenza. In sé questa mimica minacciosa ha intenzioni indubbiamente ‹difensive›, e la si osserva per lo più quando un gatto si trova di fronte a un grosso cane, ‹inaspettatamente›, cioè senza aver avuto la possibilità di fuggire. Se però questo continua ad avvicinarsi nonostante l’avvertimento, il gatto non fugge, e se viene superata una determinata «distanza critica», si avventa sul cane aggredendolo al muso, e cerca di colpirlo con le grinfie e coi denti nei punti più delicati, possibilmente agli occhi e al naso. Se l’avversario retrocede anche per un solo istante, di solito il gatto approfitta di questa minima pausa per fuggire, e quindi il breve assalto non è che un mezzo per togliersi dai pasticci.
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K E Y W O R D S
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[] K. L o r e n z, ‹L’ a n e l l o d i R e S a l o m o n e› (1 9 4 9), A d e l p h i, 2 0 0 6²².
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