CaffèEuropa (set/ott 1998) • Marcuse-Heidegger… (a3)

  •  C a l l o n i  (1 9 9 8)  •  … l e  l e t t e r e  d e l l’ a n n o  z e r o  •

Lei mi ha detto di essersi pienamente dissociato dal regime nazista dal 1934, di aver fatto nel corso delle sue lezioni osservazioni oltremodo critiche e di essere stato anche sorvegliato dalla Gestapo. Io non voglio dubitare delle Sue parole. Ma rimane comunque consistente il fatto che Lei nel 1933-34 [2] si è così fortemente identificato col regime, al punto da apparirne a tutt’oggi agli occhi di molti come uno dei più assoluti sostenitori spirituali. I Suoi discorsi, scritti ed azioni di tale periodo, ne sono la prova. Lei non li ha mai ritrattati pubblicamente, nemmeno dopo il 1945 [3]. Nè ha mai dichiarato pubblicamente di essere giunto a conclusioni diverse da quelle da Lei espresse nel 1933-34 e realizzate mediante le Sue azioni. Lei è rimasto in Germania anche dopo il 1934, nonostante avesse la possibilità di trovare ovunque all’estero un luogo che l’accogliesse. Lei non ha mai pubblicamente denunciato nessuna delle azioni e delle ideologie del regime. In tali circostanze, Lei viene ancor oggi identificato col regime nazista.

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N O T E
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[2]. Marcuse si riferisce all’attività di Heidegger come rettore dell’Università di Friburgo e in particolare al suo discorso inaugurale su: ‹Die Selbstbehauptung der deutschen Universität›, pronunciato il 27-5-1933 (‹L’autoaffermazione dell’università tedesca. Il discorso di Rettorato 1933-34›, il Melangolo, Genova 1988). Qui aveva affermato che: “Il mondo spirituale di un popolo non è la sovrastruttura di una cultura, tantomeno l’arsenale per conoscenze utilizzabili e valori, bensì è il potere della più profonda conservazione delle sue forze legate al sangue e alla terra, come potere della più interiore agitazione e del più grande sommovimento del suo Esserci”.

[3]. Nel corso delle sue lezioni, tenute nel 1935 e note sotto il titolo di ‹Introduzione alla metafisica› (Mursia, Milano 1979), Heidegger aveva ancora affermato. “Ciò che oggi qua e là si gabella come filosofia del nazionalsocialismo — e che non ha minimamente a che fare con l’intima verità e grandezza di questo movimento (cioè con l’incontro tra la tecnica planetaria e l’uomo moderno) — non fa che pescare nel torbido di questi ‘valori’ e di queste ‘totalità’” (p.203). Tale opera venne ripubblicata nel 1953 nella stessa versione del 1935, senza alcun commento rispetto al riferimento al nazismo. Ciò suscitò un grande scalpore in Germania e sollevò pesanti critiche da parte di intellettuali democratici che si battevano per un chiaro distanziamento dal passato nazista. È questo il caso del giovane Habermas che scrisse un duro atttacco contro Heidegger sulle colonne del quotidiano “Frankfurter Allgemeine Zeitung” (ora raccolto in ‹Philosophisch-politische Prophile›, Suhrkamp, Frankfurt 1971). La critica a Heidegger sarà in ogni caso una costante dell’intera produzione habermasiana, ripresa tanto nel dibattito politico sulla “colpa che non passa” e su “il filosofo e il nazista” (‹Testi filosofici e contesti storici›, Laterza, Bari-Roma 1990, pp. 49-84), quanto nella discussione filosofica soprattutto a proposito del discorso filosofico della modernità. L’attacco a Heidegger è in ogni caso un elemento distintivo di tutta la Scuola di Francoforte, compreso Horkheimer e Adorno con la sua critica al “gergo dell’autenticità”.

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K E Y W O R D S
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