lescienze (30/10/2009) • Se il Neanderthal (8-9)

  •  r e d  (2 0 1 2)  •  … s i  s c o p r e  v a n i t o s o  •

Per dirimere la questione della contaminazione è fondamentale ricorrere alla datazione dei materiali rinvenuti. Purtroppo, questi si trovano al limite dell’intervallo di applicazione della tecnica del radiocarbonio, o carbonio 14.

In quest’ultimo studio, Hublin e colleghi riportano una serie di dati ottenuti con spettroscopia al radiocarbonio su collagene estratto da 40 frammenti ossei ben conservati ritrovati nel sito di Grotte du Renne e su uno scheletro neanderthaliano del sito di Saint-Césaire. I risultati corroborano l’attribuzione dei reperti del Châtelperroniano ai Neanderthal: questa conclusione, in particolare, porta a postdatare i primi resti degli esseri umani moderni in Europa occidentale.

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lescienze (30/10/2009) • Se il Neanderthal (6-7)

  •  r e d  (2 0 1 2)  •  … s i  s c o p r e  v a n i t o s o  •

Il punto centrale della questione è che i ritrovamenti del Châtelperroniano hanno caratteristiche ritenute finora proprie delle industrie litiche degli esseri umani successivi, come la presenza di lamette litiche, manufatti in osso e ornamenti per il corpo, quasi del tutto sconosciuti nel mondo dei Neanderthal. Nei casi in cui l’attribuzione del Châtelperroniano ai neanderthaliani viene accettata, inoltre, è accompagnata da una duplice interpretazione. Nella prima, si riconosce una genuina espressione degli stessi Neanderthal, nella seconda si ipotizza su di loro un impatto della cultura degli esseri umani moderni.

Una terza interpretazione è invece di segno opposto, perché basata sull’ipotesi che tutta la questione sia frutto di un errore, dovuto a un mescolamento fortuito di strati geologici: i resti degli insediamenti neanderthaliani, in sostanza, potrebbero aver subito la contaminazione di successivi insediamenti di umani moderni.

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lescienze (30/10/2009) • Se il Neanderthal (3-5)

  •  r e d  (2 0 1 2)  •  … s i  s c o p r e  v a n i t o s o  •

Com’è noto, tra 50.000 e 40.000 anni fa, in corrispondenza della transizione tra il Medio Paleolitico e il Paleolitico Superiore, il continente europeo è stato il teatro di un passaggio epocale per la storia filogenetica dell’uomo, ovvero la sostituzione dell’uomo di Neanderthal con gli esseri umani moderni.

A questo periodo data l’industria del periodo Châtelperroniano, una serie di assemblaggi litici ritrovati in alcuni siti nella Francia centrale e nella Spagna settentrionale, la cui interpretazione e attribuzione sono fondamentali per comprendere questa transizione fondamentale. Alcune frammentarie prove paleontologiche e argomentazioni cronologiche indirette hanno portato a ipotizzare che questa industria, così come altre, sia da attribuire ai neanderthaliani.

Il Châtelperroniano infatti ha fornito resti di Neanderthal relativamente abbondanti, in particolar modo in due siti che si trovano in territorio francese (La Grotte du Renne e Saint-Césaire). Ma i neanderthaliani erano in grado di produrre simili manufatti? La questione è stata vivacemente dibattuta negli ultimi anni.

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lescienze (30/10/2009) • Se il Neanderthal (1-2)

  •  r e d  (2 0 1 2)  •  … s i  s c o p r e  v a n i t o s o  •

Una nuova analisi al carbonio 14 conferma che alcuni resti di manufatti in osso e ornamenti per il corpo ritrovati in Francia vanno attribuiti alle ultime popolazioni neanderthaliane, rendendo così più complessa e moderna l’immagine che abbiamo dei nostri lontani cugini filogenetici. Poiché tra 50.000 e 40.000 anni fa, in Europa l’uomo di Neanderthal cedette il passo ai sapiens moderni, finora i reperti di quell’epoca erano rimasti di incerta attribuzione.

La produzione di manufatti e ornamenti per il corpo, che finora si riteneva comparsa soltanto con l’essere umano moderno, era già presente nell’uomo di Neanderthal. Lo affermano, sulle pagine dei “Proceedings of the National Academy of Sciences”, Jean-Jacques Hublin del Max-Planck-Institut per l’antropologia evoluzionistica a Leipzig e colleghi di un’ampia collaborazione internazionale, sulla base di nuove datazioni al carbonio 14 dei reperti dei siti di Grotte du Renne e di Saint-Césaire, in Francia.

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lescienze (30/10/2009) • Se il Neanderthal (0)

  •  r e d  (2 0 1 2)  •  … s i  s c o p r e  v a n i t o s o  •

Se il Neanderthal si scopre vanitoso


Una nuova analisi al carbonio 14 conferma che alcuni resti di manufatti in osso e ornamenti per il corpo ritrovati in Francia vanno attribuiti alle ultime popolazioni neanderthaliane, rendendo così più complessa e moderna l’immagine che abbiamo dei nostri lontani cugini filogenetici. Poiché tra 50.000 e 40.000 anni fa, in Europa l’uomo di Neanderthal cedette il passo ai sapiens moderni, finora i reperti di quell’epoca erano rimasti di incerta attribuzione (𝑟𝑒𝑑)

• Ricostruzione dell’aspetto e delle attività di ‹Homo neanderthalensis› presso il Neanderthal Museum di Mettmann, in Germania. (Ökologix/Neanderthal Museum)

(redazione)
Le Scienze — 30/10/2012 (martedì 30 ottobre 2012)

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babylonpost (19/12/2012) • Religione e ragione… (…3a)

  •  T u l l i  (2 0 1 2)  •  … c o m p l i c i  i n  u n  d e l i t t o  i m p e r f e t t o  •

[⇐]  E ancora: «Poi l’idea della morte; un tempo veniva constatata la cessazione del respiro e del battito cardiaco. Quarant’anni fa — osserva l’autore — si scoprì e si stabilì che la morte era la cessazione dell’attività cerebrale dimostrata dall’elettroenecefalogramma piatto. Ed ora è come se il pensiero logico si fermasse. La stessa frase di prima “non c’è più” chiama, è vero, la parola assenza ma questa, a sua volta, blocca il pensiero sulla domanda: qual è la differenza con l’assenza del pensiero prima della nascita? E le parole si legano l’una all’altra e fanno il girotondo. Alla nascita accade che qualcosa che non c’è, poi c’è. Alla morte qualcosa che c’è, poi non c’è. Ed io penso che quel poi, che sembra uguale tra la realtà prima della nascita e la morte, in verità è diverso. La parola assenza è diversa perché la nascita è qualcosa che non c’era ma si realizza poi, dopo l’assenza, perché il cervello inizia a funzionare. Nella morte — conclude Fagioli — l’assenza non ha avvenire, non emergerà più nulla dal corpo perché il cervello ha cessato di funzionare. E la parola biologia, insieme ai termini realtà materiale, riappare, ridendo agli uomini che hanno detto che la mente, non essendo materia, è spirito. Poi piange di fronte alla tragedia della scissione tra mente e corpo. Si dispera perché anche la biologia non sarà mai umana, se non scopre che l’essere umano diviene dalla realtà biologica quando, alla nascita, nel rapporto con l’energia, ovvero la luce, inizia la vita del corpo che è anche mente perché non c’è scissione tra “spirito” e materia».

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babylonpost (19/12/2012) • Religione e ragione… (3…)

  •  T u l l i  (2 0 1 2)  •  … c o m p l i c i  i n  u n  d e l i t t o  i m p e r f e t t o  •

Le tesi esposte dallo psichiatra in ‹Left 2009› aprono anche nuove possibilità di comprensione sull’inizio e la fine della vita umana, alimentando il dibattito bioetico e sui diritti civili con efficaci antidoti contro le tossine prodotte dall’ideologia cattolica e iniettate nel pensare comune dalla politica asservita ai diktat vaticani, ad esempio, con la legge sul testamento biologico formulata dopo la conclusione della vicenda di Eluana Englaro nel febbraio di quell’anno. «La possibilità di vita non c’è fin dallo zigote. Emerge nel tempo, dopo 24 settimane, quando la sostanza cerebrale può essere stimolata dalla luce perché si è formata la rétina», scrive Fagioli. «La luce, alla nascita, è cosa assolutamente nuova. La luce stimola la rétina ed il cervello inizia la sua attività; inizia la vita… che è “cosa” assolutamente nuova, perché nuovo è il pensiero che sorge dalla realtà biologica».  [⇒]

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babylonpost (19/12/2012) • Religione e ragione… (2)

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I due grandi nemici di questa realizzazione fondamentale nella vita di ogni singola persona, sono il pensiero religioso e il pensiero razionale. Religione e ragione, virus della malattia mentale che distrugge l’identità umana. «Soltanto arte e genialità si sono ribellati alla razionalità», e ancora, «non è stato mai pensato che le immagini del sogno siano linguaggio», afferma Fagioli rivendicando il rifiuto di quanto la cultura dominante e i media generalisti impongono: «Non pensare ma credere». Come l’autore stesso racconta, a muoverlo fin dall’adolescenza è la ribellione a queste due “R” che hanno sempre negato l’irrazionale, il pensiero senza coscienza, la capacità di elaborare pensieri per immagini, che è una caratteristica esclusiva dell’essere umano e che Fagioli pone alla base della sua Teoria della nascita, secondo la quale la natura umana non è affatto perversa. L’essere umano nasce sano, semmai può diventare distruttivo dopo la nascita e la causa va ricercata nella qualità dei rapporti interumani del primo, decisivo anno di vita. Una realtà umana violenta è in grado di intaccare la vitalità del bimbo inibendo la sua capacità di reazione e rifiuto di un rapporto, ad esempio, privo di reali affetti. Si tratta, scrive Fagioli, di quella «violenza nascosta nella realtà mentale» che può essere affrontata solo se si distingue la differenza radicale tra negazione (credenza in ciò che non è vero) e rifiuto (opposizione e rivolta a ciò che si è visto e conosciuto come non umano).

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babylonpost (19/12/2012) • Religione e ragione… (…1a)

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[⇐]  Nella premessa inedita, pubblicata nella calligrafia autografa dell’autore, dal titolo “Immagine di donna”, Fagioli parla della Sinistra, propone la sua idea di Sinistra, da uomo di Sinistra, rifiutando i radicalismi di derivazione sessantottesca e il cosiddetto cattocomunismo e indicando la scoperta della nascita umana come possibile matrice di nuove idealità per la ricerca della libertà e dell’uguaglianza tra gli esseri umani. Superando e sostituendo l’idea illuminista di “fraternitè”, peraltro ereditata dall’ideologia cattolica, con il fine della realizzazione, per ciascuno, della propria identità. «Avevano, certamente, visto il ribelle alla prosopopea vuota della psicoanalisi, avevano sperato di non morire per lo smarrimento che aveva dissolto la mente» scrive ancora Fagioli in premessa riferendosi alle persone che per prime parteciparono all’Analisi collettiva a metà anni ’70. «Avevano, forse, sognato l’abbraccio tra la parola libertà e il termine rivolta. E vidi le reazioni dissociate di fronte al termine identità. Certamente annullarono il termine verbale, distrutto dalla cultura degli anni ’60».

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babylonpost (19/12/2012) • Religione e ragione… (1…)

  •  T u l l i  (2 0 1 2)  •  … c o m p l i c i  i n  u n  d e l i t t o  i m p e r f e t t o  •

«Realizzammo una diversità dalla cultura del ’60, ’68. Scomparve la percezione delirante della donna-strega. Comparve l’immagine femminile perché c’era la ricerca di una identità di donna senza scissione tra coscienza e pensiero senza coscienza». Un’opportunità di riflessione, oltre ogni pensiero e luogo comune. ‹Left 2009› è il quarto libro dedicato dalla casa editrice L’Asino d’oro agli articoli che lo psichiatra dell’Analisi collettiva e teorico della nascita umana, Massimo Fagioli, firma ogni settimana dal 2006 sul settimanale ‹left Avvenimenti› (che da quest’anno esce in edicola con ‹L’Unità›), nella sua rubrica “Trasformazione”. Il saggio, composto dai 50 articoli scritti nel 2009, è una summa di intuizioni poetiche e rigorose analisi filosofiche, memorie personali e raffinate elaborazioni di scoperte scientifiche sulla realtà umana, che si intrecciano all’attualità della politica e della cultura.  [⇒]

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babylonpost (19/12/2012) • Religione e ragione… (0)

  •  T u l l i  (2 0 1 2)  •  … c o m p l i c i  i n  u n  d e l i t t o  i m p e r f e t t o  •

Religione e ragione, complici in un delitto imperfetto


Massimo Fagioli firma “Left 2009”, il nuovo volume de L’Asino d’oro dedicato agli scritti dello psichiatra pubblicati sul settimanale della nuova cultura di Sinistra

• Lo psichiatra Massimo Fagioli (foto di Salvatore Contino)

di Federico Tulli
BabylonPost — 2012/12/19 (mercoledì 19 dicembre 2012)

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Homo sapiens… • 9.6. Che cosa si proverebbe… (8-9)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  9.6.  … a  e s s e r e  u n  N e a n d e r t h a l ?  •

Le strutture dell’intelligenza ‹sapiens› sarebbero, in questo senso, il frutto di una deriva evolutiva singolare, l’esito di una sequenza di eventi contingenti, un’innovazione tardiva innescata da cambiamenti exattativi o cooptazioni funzionali. Fra due forme di intelligenza contigue nel cespuglio del genere ‹Homo›, quindi, vi saranno certamente molti elementi comuni derivanti da analoghi vincoli ambientali, da pressioni selettive convergenti e da una parentela genetica strettissima, ma sapere “che cosa si proverebbe a essere un Neanderthal” è un compito impossibile. Non erano intelligenti quasi come noi, erano un’altra forma di intelligenza.

Le ragioni di queste svolte storiche mostrano come sia fuorviante interpretare l’esito attuale come l’unico possibile, come il solo approdo necessario di una storia prevedibile di progresso e di presunta emancipazione dalla condizione animale. La nostra solitudine di specie e il nostro invasivo successo sono un dato di fatto contingente, non la causa ultima della storia naturale: non abbiamo vinto perché eravamo i più forti; semplicemente, ci consideriamo più forti perché abbiamo vinto.

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[]  T.  P i e v a n i,  ‹H o m o  s a p i e n s  e  a l t r e  c a t a s t o f i›,  M e l t e m i,  2 0 1 8³  (r i v.).
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Homo sapiens… • 9.6. Che cosa si proverebbe… (7)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  9.6.  … a  e s s e r e  u n  N e a n d e r t h a l ?  •

Benché sia soltanto un’ipotesi, è possibile che, dopo una lunghissima convivenza fra le due specie, nell’umanità bicefala del Paleolitico medio si evolvano due universi simbolici, cognitivi e sociali diversi, e solo uno dei due avrà la meglio. In termini cronologici questo modello implica che in ‹Homo sapiens› si fosse sviluppato fin dalle origini l’exaptation anatomico per il linguaggio articolato, ma che soltanto molto tempo dopo la nascita della nostra specie si sia prodotto l’innesco necessario a sfruttarlo. Per quasi 80.000 anni siamo stati una specie exattativa, cioè dotata di una riserva di strutture anatomiche e neurali che, intorno a 75mila anni fa, abbiamo cooptato per dare avvio alla rivoluzione dell’intelligenza simbolica, del linguaggio articolato e del ragionamento astratto. Questo potrebbe spiegare l’evoluzione a scarto differenziato dell’anatomia e dei comportamenti simbolici di ‹Homo sapiens›, nato una prima volta nell’anatomia e nato una seconda volta nell’intelligenza.

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[]  T.  P i e v a n i,  ‹H o m o  s a p i e n s  e  a l t r e  c a t a s t o f i›,  M e l t e m i,  2 0 1 8³  (r i v.).
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Homo sapiens… • 9.6. Che cosa si proverebbe… (5-6)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  9.6.  … a  e s s e r e  u n  N e a n d e r t h a l ?  •

Alcuni scienziati ritengono, come abbiamo visto, che la morfologia della gola di Neanderthal, più orientata in orizzontale rispetto a ‹Homo sapiens› e più funzionale alla protezione dal freddo, non permettesse l’emissione di alcuni suoni fondamentali per l’evoluzione del linguaggio articolato e che questa differenza sia stata all’origine del divario creatosi fra ‹Homo sapiens› e ‹Homo neanderthalensis› intorno a 50-40mila anni fa.

L’assenza del linguaggio pienamente articolato giustificherebbe la relativa povertà dell’universo simbolico dei Neanderthal, in contrapposizione alla valanga di novità comportamentali introdotte da ‹Homo sapiens› con la transizione del Paleolitico superiore. La competizione per le risorse che spinse Neanderthal ai margini occidentali del vecchio mondo troverebbe allora una spiegazione nella maggiore complessità sociale che il linguaggio articolato indubbiamente ha consentito a ‹Homo sapiens›.

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[]  T.  P i e v a n i,  ‹H o m o  s a p i e n s  e  a l t r e  c a t a s t o f i›,  M e l t e m i,  2 0 1 8³  (r i v.).
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Homo sapiens… • 9.6. Che cosa si proverebbe… (4)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  9.6.  … a  e s s e r e  u n  N e a n d e r t h a l ?  •

Come ha notato l’anatomista Jeffrey Laitman, la discesa della laringe sarà stata motivata inizialmente da esigenze respiratorie (forse connesse all’adattamento a climi secchi e caldi) oppure da esigenze di espressione vocale non articolata e si sarà poi trasformata in un ottimo exaptation per l’emissione modulata della voce. Questa struttura, acquisita originariamente in un contesto respiratorio o fonatorio, si è resa disponibile come exaptation per il linguaggio articolato tempo dopo, cioè solo al momento in cui furono disponibili i meccanismi neurologici necessari per il linguaggio.

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[]  T.  P i e v a n i,  ‹H o m o  s a p i e n s  e  a l t r e  c a t a s t o f i›,  M e l t e m i,  2 0 1 8³  (r i v.).
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Homo sapiens… • 9.6. Che cosa si proverebbe… (3)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  9.6.  … a  e s s e r e  u n  N e a n d e r t h a l ?  •

Le strutture dell’apparato vocale non si sono conservate nella documentazione archeologica, ma la sommità del tratto sopralaringeo potrebbe avere un corrispettivo nella forma assunta dalla base del cranio, che si può invece osservare nei fossili. La retrocessione del palato produrrebbe infatti una piccola flessione della base cranica. Se la laringe si è abbassata, aprendo lo spazio faringeo necessario per l’articolazione del suono, la base del cranio risulta più arrotondata per poter accogliere la faringe più alta. Questo processo avviene in ogni essere umano dopo i due anni: la laringe si abbassa, la faringe si allunga e si inarca, la base del cranio si arrotonda per accoglierla. È la magia anatomica che predispone alla parola.

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[]  T.  P i e v a n i,  ‹H o m o  s a p i e n s  e  a l t r e  c a t a s t o f i›,  M e l t e m i,  2 0 1 8³  (r i v.).
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Homo sapiens… • 9.6. Che cosa si proverebbe… (2)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  9.6.  … a  e s s e r e  u n  N e a n d e r t h a l ?  •

L’abbassamento della laringe (già presente nei cervidi e in altri mammiferi) comporta un allungamento dello spazio faringeo, all’interno del quale avviene la modificazione del suono proveniente dalle corde vocali. È una trasformazione anatomica rischiosa per una specie, perché la discesa della laringe impedisce all’animale di deglutire e di respirare allo stesso tempo, esponendolo al rischio continuo di soffocamento. I cuccioli umani, fino all’età di due anni, rimangono con la laringe alta per poter succhiare il latte e respirare contemporaneamente. Il linguaggio articolato (come anche la neotenia) nasce dunque con il marchio del rischio: per godere dei suoi vantaggi dobbiamo correre il pericolo del soffocamento. L’indizio è interessante perché il genere ‹Homo› deve il suo successo a una sequenza di adattamenti costosi, che prima evidentemente non erano tollerabili dalla selezione naturale e che poi invece lo sono diventati (forse a causa di un rilassamento delle pressioni selettive stesse a partire da 2,5 milioni di anni fa).

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Homo sapiens… • 9.6. Che cosa si proverebbe… (1)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  9.6.  … a  e s s e r e  u n  N e a n d e r t h a l ?  •

In accordo con questa ricostruzione (peraltro ancora speculativa e viziata da un certo progressionismo stadiale) di Steven Mithen, oggi molti scienziati, fra i quali Ian Tattersall e Jeffrey Lieberman, lavorano all’ipotesi per cui l’innesco cruciale dell’intelligenza simbolica sia connesso all’emergenza del linguaggio pienamente articolato, che non è da intendersi come un tratto evolutivo unico bensì, come ha proposto il biologo cognitivo Tecumseh Fitch, come un mosaico di tratti, alcuni molto antichi come l’abbassamento della laringe e altri molto recenti come la struttura sintattica.

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[]  T.  P i e v a n i,  ‹H o m o  s a p i e n s  e  a l t r e  c a t a s t o f i›,  M e l t e m i,  2 0 1 8³  (r i v.).
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Homo sapiens… • 9.5. Latenza e innesco… (12)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  9.5.  … g l i  e x a p t a t i o n  d e l l’ i n t e l l i g e n z a  u m a n a  •

Nella sua interessante opera del 1996 dal titolo ‹The Prehistory of the Mind›, Steven Mithen ha proposto una teoria dell’evoluzione della mente umana che riprende l’idea secondo cui l’emergenza dell’intelligenza simbolica in ‹Homo sapiens› sia stata il frutto di una riorganizzazione di elementi o “moduli” cognitivi preesistenti. Mithen ritiene che la preistoria della mente abbia attraversato quattro fasi, caratterizzate dall’avanzamento spaiato di diverse “intelligenze”: nella fase delle australopitecine riscontriamo una buona intelligenza generale (sviluppata per la soluzione di problemi di sopravvivenza quotidiana), unita all’intelligenza sociale e a una discreta curiosità per i fenomeni naturali (pur in assenza di una coscienza individuale); nel genere ‹Homo› viene integrata l’intelligenza tecnologica e gli ominini producono strumenti in uno stato di “attenzione incosciente”; con ‹Homo heidelbergensis› e ‹Homo neanderthalensis› le quattro intelligenze (generale, sociale, ecologica e tecnologica) vengono raffinate, ma restano disgiunte l’una dall’altra. In queste prime tre fasi il linguaggio e la coscienza si sviluppano gradualmente, mantenendo una funzione esclusivamente sociale, senza l’uso di simboli. Soltanto nella quarta fase, corrispondente alla versione avanzata di ‹Homo sapiens›, i quattro moduli cognitivi si intrecciano, si riorganizzano e producono una forma di intelligenza integrata nella quale il linguaggio e l’articolazione cosciente vengono per la prima volta estesi a tutte le funzioni intellettive.

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Homo sapiens… • 9.5. Latenza e innesco… (11)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  9.5.  … g l i  e x a p t a t i o n  d e l l’ i n t e l l i g e n z a  u m a n a  •

La capacità dei circuiti neurali di acquisire con estrema flessibilità e rapidità funzioni per le quali non erano stati “programmati” nel corso dell’evoluzione, caratteristica definita “plasticità neurale”, potrebbe essere da un lato un ottimo adattamento (la plasticità neurale, così come la plasticità di altri tessuti, garantirebbe una buona coordinazione dello sviluppo neurale, in sostanza la possibilità di espandere adattativamente alcune aree a scapito di altre nel corso dello sviluppo), dall’altro un’utilissima riserva di exaptation possibili. Nel corso dell’evoluzione circuiti inizialmente dedicati a determinate funzioni adattative (per esempio, di natura senso-motoria) vennero cooptati per funzioni differenti (utilizzo di strumenti, comunicazione, comprensione simbolica…) al mutare del contesto ecologico.

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Homo sapiens… • 9.5. Latenza e innesco… (9-10)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  9.5.  … g l i  e x a p t a t i o n  d e l l’ i n t e l l i g e n z a  u m a n a  •

In tal senso, l’espansione del cervello neotenico a partire dalle prime forme del genere ‹Homo› in Africa orientale e meridionale non si è sviluppata “in vista” delle sue utilizzazioni future. Se l’evoluzione della coscienza e della soggettività parlante fosse stata “costruita” passo dopo passo dalla selezione naturale operante sul corredo genetico, amplificando gradualmente i piccoli vantaggi comportamentali derivanti dall’esperienza cosciente, perché gli indizi certi della presenza di un’intelligenza simbolica e concettuale appaiono così tardivamente?

La storia naturale della mente è forse una storia di exaptation ben riusciti. Molti comportamenti umani e molte proprietà del nostro cervello (frutto di un bricolage evolutivo, come sostenne François Jacob) potrebbero non essere adattamenti diretti, ma conseguenze collaterali, riadattamenti, cooptazioni funzionali.

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Homo sapiens… • 9.5. Latenza e innesco… (7-8)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  9.5.  … g l i  e x a p t a t i o n  d e l l’ i n t e l l i g e n z a  u m a n a  •

Il modello di Humphrey non esclude la gradualità: è un modello che potremmo definire per “latenza e innesco”. Dopo una fase anche molto lunga di trasformazioni fisiche e anatomiche latenti, si raggiunge una soglia oltre la quale si innesca un processo di riorganizzazione repentina. Il fatto sorprendente è che un modello simile, come abbiamo visto, sta avendo in questi anni riscontri importanti nel campo della paleoantropologia. La comparsa degli indizi tipici di un’intelligenza simbolica e cosciente sembra avvenire rapidamente intorno a 75mila anni fa.

Gli strumenti di pietra e le morfologie anatomiche della fase “pionieristica” del genere ‹Homo› non preannunciano la rivoluzione comportamentale successiva, a cui seguirà un’ondata di nuove espansioni. È come se l’intelligenza fosse a un certo punto “decollata”, come se avesse improvvisamente acquisito la portanza necessaria per sollevarsi dopo una lunga rincorsa a terra.

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Homo sapiens… • 9.5. Latenza e innesco… (4-6)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  9.5.  … g l i  e x a p t a t i o n  d e l l’ i n t e l l i g e n z a  u m a n a  •

Nella specie ‹Homo sapiens› si avrebbe un terzo stadio evolutivo, corrispondente alla prima scintilla della coscienza introspettiva: l’efferenza sensoriale, questa attività quasi corporea di modulazione delle sensazioni, anziché ritornare verso l’area periferica del corpo interessata sarebbe gradualmente ricaduta all’interno del cervello medesimo. L’anello sensoriale attivo/passivo si sarebbe cioè chiuso su se stesso.

Questa ricaduta all’interno, che Humphrey chiama suggestivamente “riverbero sensoriale”, produrrebbe allora la sensazione di essere un corpo e la sensazione di essere un’identità soggettiva permanente. L’evoluzione della coscienza sarebbe, in altri termini, una riorganizzazione del sistema sensoriale nella quale il ritorno delle sensazioni si riverbera all’interno, come un “occhio interiore”.

Questa ipotesi sull’origine della coscienza (come altre possibili) avrà senz’altro bisogno di nuove sperimentazioni e verifiche (peraltro molto delicate, difficili e necessariamente interdisciplinari, trattandosi di un’ipotesi storico-evoluzionistica). Una domanda rimane tuttavia inevasa: quando ha avuto origine la coscienza? E più precisamente, l’emergenza della coscienza è stata un evento graduale o repentino?

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Homo sapiens… • 9.5. Latenza e innesco… (3)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  9.5.  … g l i  e x a p t a t i o n  d e l l’ i n t e l l i g e n z a  u m a n a  •

Se le sensazioni non sono soltanto una registrazione di stimoli ma anche una particolare forma di attività “quasi corporea” soggettiva e localizzata, la coscienza introspettiva potrebbe essersi evoluta come una chiusura dell’anello attivo/passivo innescato dall’esperienza sensoriale. In un essere vivente privo di sistema nervoso centrale come l’ameba, la sensazione inizia e finisce sulla membrana esterna, come in un anello cortissimo. In un animale dotato di sistema nervoso centrale la sensazione si realizza sotto forma di un anello allungato di afferenza (dalla periferia al cervello) ed efferenza (dal cervello alla periferia), dove per efferenza non si intende la risposta allo stimolo ma l’attivazione quasi istantanea dello stimolo stesso: le sensazioni, seguendo l’antico tracciato evolutivo dell’ameba, ritornano verso il punto della stimolazione. Il cervello non si limita ad ascoltare passivamente la musica delle sensazioni, le dirige come un maestro d’orchestra.

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Homo sapiens… • 9.5. Latenza e innesco… (2)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  9.5.  … g l i  e x a p t a t i o n  d e l l’ i n t e l l i g e n z a  u m a n a  •

Secondo Humphrey, l’evoluzione avrebbe selezionato una strategia sistematica di controllo dell’attendibilità dell’immagine percettiva: il cervello ricostruirebbe per ogni percezione lo stimolo sensoriale corrispondente e lo invierebbe al centro sensoriale per verificarne la congruenza con lo stimolo reale. Se la ricostruzione non combacia con la sensazione effettiva viene scartata in quanto “errore” percettivo. L’immaginazione e il sogno nascerebbero dal canale percettivo (in assenza di alcuna sensazione reale) e produrrebbero comunque la ricostruzione di uno stimolo sensoriale corrispondente nei centri sensoriali del cervello. L’immaginazione e il sogno, dunque, se considerati dal punto di vista interno del cervello, sarebbero a tutti gli effetti “reali” quanto le sensazioni provenienti da uno stimolo esterno. Anche i pensieri coscienti, le idee e le credenze avrebbero un richiamo sensoriale (di tipo uditivo): intuitivamente, essi sarebbero come “immagini di voci” nella testa.

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Homo sapiens… • 9.5. Latenza e innesco… (1)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  9.5.  … g l i  e x a p t a t i o n  d e l l’ i n t e l l i g e n z a  u m a n a  •

Un approccio evoluzionistico non ambisce a dedurre l’evoluzione della mente a partire da un suo modello precostituito (come in molta letteratura corrente), ma a scavare nella sua origine storica effettiva, inaugurando una sorta di “archeologia” della mente. Come ha sostenuto lo scienziato cognitivo inglese Nicholas Humphrey, l’evoluzione naturale dell’intelligenza deve in qualche modo radicarsi nel processo primario di contatto fra mondo interno e mondo esterno, cioè nell’esperienza sensoriale e nella reattività, anch’esse prodotti (ben più antichi della coscienza) dell’evoluzione naturale: tutto cominciò in superficie, nell’intersezione fra mondo interno e mondo esterno. In particolare, i processi affettivi e sensoriali sono considerati da Humphrey un canale cognitivo parallelo a quello della percezione oggettiva, e non antecedenti a esso: la sensazione riguarda eventi che stanno capitando sulla superficie del nostro corpo; la percezione riguarda eventi che stanno capitando nel mondo esterno.

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Homo sapiens… • 9.4. Una transizione in molteplici… (16)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  9.4.  … n i c c h i e  e c o - c u l t u r a l i  •

La colonizzazione di habitat vasti ed eterogenei richiede, inoltre, raffinate capacità di interpretazione dell’ambiente e di comunicazione intersoggettiva. Le proprietà adattative ed exattative del linguaggio emergono dunque in un contesto di diversificazione planetaria, mostrando la connessione imprescindibile fra l’ultima fase del processo evolutivo umano e la diffusione globale della specie umana. Se a un certo punto non fossimo diventati una specie “globalizzata”, con il nostro fenotipo da dispersione, fenotipo da migranti, l’evoluzione delle nostre facoltà superiori forse avrebbe preso un’altra strada, e viceversa. Comunque sia, le conseguenze di questo processo co-evolutivo si sono spinte ben presto al di là delle loro funzioni adattative originarie.

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Homo sapiens… • 9.4. Una transizione in molteplici… (15)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  9.4.  … n i c c h i e  e c o - c u l t u r a l i  •

In questo processo coevolutivo, la coscienza introspettiva, il linguaggio e la complessità della dimensione intersoggettiva umana si alimentano reciprocamente: la coscienza si evolve in un contesto sociale divenuto altamente competitivo; essa si sviluppa adattativamente al fine di prevedere, per proiezione di se stessi sugli altri, il comportamento degli altri. In questo contesto, già da sempre intersoggettivo, si evolve la capacità linguistica, che a sua volta accelera il processo di formazione di un’autocoscienza e di una vita sociale ulteriormente elaborate. Si tratta di un processo in cui evoluzione biologica ed evoluzione culturale interagiscono l’una con l’altra in entrambe le direzioni, e in cui geni e cultura coevolvono.

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Homo sapiens… • 9.4. Una transizione in molteplici… (14)

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Secondo il neurologo Harry Jerison, il linguaggio ha avuto naturalmente un ruolo decisivo nella comunicazione umana, ma questa potrebbe essere una conseguenza del suo sviluppo e non la sua causa. Secondo Jerison, il linguaggio è nato come effetto collaterale di una facoltà diversa che il cervello aveva cominciato a sviluppare come adattamento: la coscienza introspettiva e immaginativa. È nei dialoghi interiori dell’incipiente coscienza umana, impegnata a creare un modello e un’interpretazione attendibili della realtà, che il linguaggio troverebbe la sua origine.

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La questione cruciale è capire se l’evoluzione di un’intelligenza pienamente autocosciente sia strettamente dipendente dalla presenza del linguaggio articolato, come hanno sostenuto William Noble e Iain Davidson, oppure se sia possibile che le forme ominine più antiche possedessero comunque un embrione di pensiero cosciente, una sorta di “attenzione incosciente”, come è stata definita da Stephen Toulmin. Secondo Toulmin sarebbe infatti possibile costruire arnesi attivando una forma di attenzione automatica, non cosciente. Questa si sarebbe poi evoluta, attraverso una serie di stadi, fino all’attenzione cosciente (“ecco, io sto costruendo un arnese e lo sto facendo secondo un determinato modello”) e all’articolazione del comportamento autocosciente, organizzato secondo piani stabiliti e condiviso con altri attraverso il linguaggio articolato.

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Rimane però un indizio intrigante da considerare. Le capacità di elaborazione simbolica e di astrazione espresse dai ‹sapiens› dell’ultima ondata (quelli che portano l’arte rupestre a Sulawesi e a Chauvet) sembrano in qualche modo connesse sia allo sviluppo del linguaggio articolato sia all’emergenza di una forma nuova di intelligenza, un’intelligenza pienamente autocosciente. Alcuni “paleoneurologi” e paleoantropologi sono convinti che il grande balzo in avanti del Paleolitico superiore sia connesso all’innesco di un anello ricorsivo fra l’evoluzione del linguaggio articolato e l’evoluzione della coscienza introspettiva.

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La presenza di questa accelerazione finale è ancora più sconcertante se pensiamo che l’evoluzione cerebrale era cominciata nel genere ‹Homo› più di due milioni di anni prima e che il suo ritmo era stato molto graduale. In questo lasso di tempo il cervello ha raggiunto un volume (relativo alla massa corporea) tre volte maggiore rispetto a quello degli altri primati. Ma non è stata soltanto un’evoluzione quantitativa: le parti più giovani dell’encefalo (appartenenti alla cosiddetta “neocorteccia”) si sono aggiunte in modo non meccanico alle parti più primitive (sistema limbico, cervelletto, tronco encefalico), creando un’architettura anatomica complessa nella quale talvolta la coordinazione delle parti “superiori” è mediata da strutture presenti nelle parti più antiche.

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Se la complessità della comunicazione verbale è cresciuta gradualmente, sospinta dalla selezione naturale, perché il grande balzo in avanti si è prodotto così tardi nel corso dell’evoluzione? ‹Homo sapiens› possedeva il corredo anatomico, neurale e comportamentale necessario già 100.000 anni prima: perché ha aspettato tanto? Perché (ipotesi gradualista) non ci sono segni forti di un avvicinamento progressivo alla produzione simbolica, all’arte, alla spiritualità e alla diversità culturale? Né al contrario (ipotesi puntuazionista) segni di una partenza di questi comportamenti in coincidenza con la speciazione stessa di ‹Homo sapiens›, 200mila anni fa?

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Che tipo di storia ci racconta l’evoluzione del linguaggio? È stata forse una storia di accumuli lenti e graduali di competenze relazionali e comportamentali crescenti? In tal caso, dovremo supporre che la selezione naturale abbia “visto” nel linguaggio una risorsa adattativa della massima importanza e l’abbia favorita costantemente, facendo procedere l’evoluzione attraverso una sequenza di forme intermedie di comunicazione fino all’apice raggiunto da ‹Homo sapiens›. Questa spiegazione è in effetti molto plausibile, tenuto conto che anche piccoli miglioramenti nella comunicazione non verbale e poi verbale hanno senza dubbio offerto un vantaggio adattativo consistente ai loro possessori. Eppure qualcosa non quadra nella documentazione paleontologica.

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Ma cosa è successo, nella mente umana, per renderla così propensa all’innovazione e all’astrazione proprio nel periodo che va da 80 a 70mila anni fa e non prima? La rapidità e l’assenza di indizi biologici (non si riscontrano cambiamenti anatomici né genetici di rilievo) portano a pensare a un’evoluzione di tipo culturale. Ma cosa può averla innescata? L’indiziato numero uno è il linguaggio articolato, che non lascia fossili ma molte prove indirette sì. Come abbiamo visto, non ci è dato sapere che tipo di linguaggio avessero le specie ominine fino all’avvento di ‹Homo sapiens›. Anche la deduzione degli stadi di evoluzione del linguaggio a partire dall’evoluzione della complessità dell’organizzazione sociale nelle varie fasi dell’evoluzione umana è poco sicura: è stato provato che si può istituire, nel corso di centinaia o migliaia di generazioni, una complessa articolazione sociale senza possedere il linguaggio articolato. Inoltre, abbiamo visto con ‹Homo georgicus›, ‹Homo naledi› e ‹Homo floresiensis› che si possono avere buone tecnologie, si può essere mobili e ci si può adattare ad ambienti diversi senza avere un grosso cervello.

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Il processo denota una forte contingenza (se una crisi ecologica e un crollo demografico non avessero interrotto un dato esperimento culturale e tecnologico, chissà la storia successiva come sarebbe stata diversa) ed è ricorsivo, perché i vantaggi di una fiammata di innovazione rilassano le pressioni selettive e a loro volta favoriscono ulteriori innovazioni. Inoltre, questo modello va oltre la classica contrapposizione tra ipotesi gradualiste e ipotesi puntuazioniste, perché prevede l’una e l’altra dinamica a seconda dei casi.

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Secondo d’Errico la creatività umana non si è evoluta come un’abilità intellettiva individuale, bensì come la “quota di innovazione” che una data società umana poteva permettersi. In un equilibrio instabile tra adesione alle norme e libertà di sperimentare nuove soluzioni, le differenti condizioni ecologiche e demografiche hanno prodotto nell’evoluzione recente del genere ‹Homo› (e in più specie umane) talvolta società rigide, con poca tolleranza verso la devianza, e talaltra società più rilassate, con norme più deboli e tolleranza verso i devianti. È in queste ultime che si sarebbero prodotte — in modo plurale e punteggiato — le innovazioni culturali e tecnologiche tipicamente umane. Laddove invece le condizioni di vita erano più severe, la creatività poteva diventare un lusso troppo costoso sul piano adattativo. Quindi la capacità di innovazione sarebbe figlia della devianza, più precisamente della possibilità di tollerare sperimentazioni comportamentali e culturali in presenza di pressioni selettive rilassate.

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