Questo processo, peraltro, è ben lontano dall’esaurirsi. Sessanta millenni dopo il grande balzo noi siamo la prima specie capace di studiare il proprio corredo genetico, di mappare per esteso il proprio genoma, di esercitarsi nella delicata pratica dell’ingegneria genetica su altre forme viventi e sulla propria. Si instaura una differente relazione con la propria biologia: cosa succede quando una specie raggiunge questo livello di conoscenza? Come può evolvere ancora un primate di taglia larga, nato anatomicamente 200.000 anni fa e intellettualmente 60.000 anni fa, divenuto rapidamente capace di manipolare la propria identità biologica?
In senso strettamente evoluzionistico, noi ancora oggi stiamo esplorando le potenzialità della transizione paleolitica e ancora oggi facciamo i conti con le sue invenzioni maggiori: la diversità culturale, la tecnologia permeante, l’astrazione concettuale. Una definizione compiuta di cosa significhi essere “umani” e di cosa ci abbia resi così ambiguamente speciali ancora non ci è data. Siamo una giovane specie in divenire. Sarebbe più preciso se, anziché “esseri umani” (‹human beings›), usassimo il termine “divenienti umani” (‹human becomings›).
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K E Y W O R D S
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[] T. P i e v a n i, ‹H o m o s a p i e n s e a l t r e c a t a s t o f i›, M e l t e m i, 2 0 1 8³ (r i v.).
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