In un’altra celebre grotta francese l’artista, la cui identità rimarrà per sempre sepolta nelle profondità di quella che un tempo chiamavamo pre-istoria, al termine della sua opera ha appoggiato una mano sulla parete di roccia e soffiandoci sopra la sua saliva impastata di pigmento l’ha coperta di pittura, lasciandone l’immagine in negativo. Quella mano stampata sulla grotta racconta più storie di un intero poema epico. ‘Sono io’, ha scritto l’artista. “Sono io l’artefice, cosciente, di queste meravigliose scene di vita selvaggia”. È una specie di testamento, una rivendicazione di autenticità, la firma della prima opera di un essere consapevole di sé e del proprio universo simbolico. In un’altra raffigurazione la mano adulta dell’artista è accompagnata da una mano più piccola, una mano di cucciolo d’uomo che voleva giocare con la pittura del padre e della madre, e lasciare la propria impronta accanto alla sua.
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K E Y W O R D S
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[] T. P i e v a n i, ‹H o m o s a p i e n s e a l t r e c a t a s t o f i›, M e l t e m i, 2 0 1 8³ (r i v.).
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