Manifesto (8/7/2012) • Nessuna svolta… (…4b)

  •  F e r r a r i s  (2 0 1 2)  •  N e s s u n a  s v o l t a  p e r  H e i d e g g e r  •

[⇐]  Malgrado questo Gianni Vattimo, recensendo il libro di Faye (Tuttolibri, 2/6/2012), sostiene che Heidegger era nazista ma non razzista. Vien quantomeno da chiedersi: ammesso e non concesso che si possa dare il caso di un nazista non razzista, non è già abbastanza grave essere stati nazisti e continuare a esserlo, come riconosce Vattimo quando con approvazione osserva che Heidegger non ha voluto essere un filosofo «democratico» (tra virgolette, e ci si chiede perché) e «disciplinatamente atlantico»? A occhio si direbbe che è grave, molto grave. A meno che non ci si ponga sulla stessa lunghezza d’onda di un volume citato da Faye, ‹Revolutionary Saints. Heidegger, National Socialism and Antinomian Politics› di Christopher Rickey (Pennsylvania, UP 2002), in cui legge: «Per quanto scioccante possa essere questa suggestione per la nostra sensibilità morale, la nostra integrità intellettuale ci obbliga a domandarci se il nazionalsocialismo non rappresenti la risposta autentica alla questione di come dovremmo vivere».

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Manifesto (8/7/2012) • Nessuna svolta… (…4a…)

  •  F e r r a r i s  (2 0 1 2)  •  N e s s u n a  s v o l t a  p e r  H e i d e g g e r  •

[⇐]  Ma c’è anche stata — e continua a esserci, per strano che possa apparire — una via mistico-allegorica, che traducendo in modo incomprensibile il gergo heideggeriano produce una denazificazione per confusione. Come ad esempio nel caso del brano riportato più sopra, che è stato reso non trent’anni fa, bensì l’anno scorso, come segue: «Questo interrogare, nel quale il nostro popolo aderge il suo geniturale adessere, ossia lo tiene erto per entro la tentazione e fa sì che esso si erga nell’extraneum della nobiltà del suo incarico, questo interrogare è il suo filosofare, la sua filosofia» (Che cos’è la verità? edizione italiana a cura di Carlo Gotz, Milano, Christian Marinotti edizioni, 2011). Con questa ermeneutica anche gli ordini di un Sonderkommando sul fronte orientale possono esser trasformati in poemi simbolisti o in ricette di cucina. A rompere le uova nel paniere fu però proprio Heidegger, che — come dimostra Faye con analisi rigorose e pazienti — reinserì brani compromettenti nell’edizione delle sue opere che incominciarono a uscire nel 1975, un anno prima della morte.  [⇒]

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Manifesto (8/7/2012) • Nessuna svolta… (4…)

  •  F e r r a r i s  (2 0 1 2)  •  N e s s u n a  s v o l t a  p e r  H e i d e g g e r  •

Ma l’esempio più clamoroso di cortocircuito tra l’eterno e il presente è la circostanza, segnalata da Faye, per cui il tempio greco di cui Heidegger parla in ‹L’origine dell’opera d’arte› sembra sia stato, nelle prime versioni pubbliche della conferenza, lo Zeppelinfeld di Norimberga, allestito in stile classicheggiante (si ispirava all’altare di Pergamo) per accogliere il discorso di Hitler, che evidentemente Heidegger identificava con il divino. Il che – sia detto di passaggio – getta una luce inquietante sulla sua dichiarazione del 1966 secondo cui «ormai solo un Dio ci può salvare». La denazificazione di Heidegger ha avuto tante vie. Anzitutto quella storicogrammaticale, per cui a leggerlo bene, a capirlo e a metterlo in contesto, si scioglierebbero tutti gli equivoci. Così François Fédier, che negli Scritti politici di Heidegger postilla la chiusa della allocuzione del 17 maggio 1933 in cui Heidegger scrive: «Alla nostra grande guida, Adolf Hitler, un Sieg Heil tedesco» con parole che sembrano uno scherzo di cattivo gusto: «Ancora oggi l’espressione ‘Ski Heil’ — senza la minima connotazione politica — viene impiegata, tra sciatori, per augurarsi una buona discesa» (p. 329 della traduzione italiana, Casale Monferrato, Piemme 1998).  [⇒]

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Manifesto (8/7/2012) • Nessuna svolta… (3)

  •  F e r r a r i s  (2 0 1 2)  •  N e s s u n a  s v o l t a  p e r  H e i d e g g e r  •

E il fatto che nella seconda metà degli anni Trenta i riferimenti politici si diradino non va interpretato come una presa di distanza ma, proprio al contrario, come l’ottemperanza a una direttiva dall’alto. Il Ministero, preoccupato di una università in cui la fedeltà politica sembrava contare più del merito e in cui si improvvisavano corsi iper-politici (è per l’appunto il caso del seminario di Heidegger su Hegel, di cui gli studenti si erano lamentati) aveva chiesto argomenti più accademici. Il che non impedì a Heidegger incresciose allusioni. Come quando, commentando Nietzsche nel 1940, Heidegger si infiammò per l’avanzata dei carri armati di Guderian nella Francia arresa che dimostravano l’indigenza metafisica della patria di Cartesio. O quando, durante l’operazione Barbarossa, l’attacco all’est, scelse di commentare Hölderlin, che racconta il movimento dei tedeschi verso il Danubio e dice che «lo spirito ama la colonia».

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Manifesto (8/7/2012) • Nessuna svolta… (2)

  •  F e r r a r i s  (2 0 1 2)  •  N e s s u n a  s v o l t a  p e r  H e i d e g g e r  •

Un movimentismo filosofico che appare molto evidente nel seminario del ’34 omesso dalla «Opera completa» (che dunque, osserva giustamente Faye, è tale solo di nome) così come in un seminario su Hegel del medesimo periodo, dove l’intento fondamentale di Heidegger è politicizzare in massimo grado l’argomento, per cui, per illustrare la tesi della identità di razionale e reale, decreta che il Trattato di Versailles non è reale. L’insistenza sulla storicità, intesa come quel divenire che può giustificare qualunque cosa, è la chiave di volta del costruzionismo heideggeriano, che si traduce, in sostanza, in un trionfo della volontà di potenza. Quando i postmoderni hanno sostenuto che qualunque tesi e qualunque verità devono essere indicizzate alla loro epoca lo hanno fatto con intenti emancipativi, ma ripetevano l’argomento di Heidegger in difesa del Führerprinzip. Desideroso di trasferirsi a Monaco per stare più vicino a Hitler (come si legge nella corrispondenza con la Blochmann), forse almeno in una occasione ghost writer del Führer, Heidegger opera una continua trasposizione del presente nell’eterno, del politico nel metafisico, e viceversa.

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Manifesto (8/7/2012) • Nessuna svolta… (…1b)

  •  F e r r a r i s  (2 0 1 2)  •  N e s s u n a  s v o l t a  p e r  H e i d e g g e r  •

[⇐]  Diversamente andavano le cose in Francia e in Italia, ed è così che si spiega l’edizione di Nietzsche di Colli e Montanari, come pure il rilancio di Heidegger, prima in Francia (spesso in funzione anti-sartriana, a partire dalla ‹Lettera sull’umanismo›), poi in Italia. Questo sdoganamento (è il caso di dirlo, visto che comporta un passaggio di frontiere, e poi un ritorno in Germania attraverso la Francia e gli Stati Uniti) suscitava le ironie di un uomo di spirito come Jünger, che osservava di aver trovato tutte le sue opere nella biblioteca di Mitterand, ma che del resto c’erano già tutte nella biblioteca di Hitler. Tuttavia, a mio parere, c’è un secondo motivo più determinante. Nel dopoguerra, è come se la sinistra avesse avocato a sé il monopolio del politico. Politica e sinistra erano coestensive, dunque ogni pensatore del politico, fosse pure il giurista di Hitler, come Schmitt, diventava fruibile a sinistra. E quello che l’analisi di Faye ha il merito di illustrare con chiarezza e profondità è l’intima struttura politica del pensiero di Heidegger, che lo rendeva particolarmente riciclabile in un’epoca iper-politica come il Sessantotto. La storia e la decisione sono l’unica realtà (cosa che era in sintonia con quel funesto antirealista che è stato Hitler, ma anche con quegli antirealisti più benintenzionati che proclamavano la necessità della immaginazione al potere), si tratta di combattere l’oggettività in nome della solidarietà, il freddo intellettualismo in nome del radicamento in una comunità di popolo: «Questo interrogare, attraverso cui il nostro popolo sopporta il proprio essere storico, lo patisce nel pericolo, lo conduce sino alla grandezza del suo compito, questo interrogare è il suo filosofare, la sua filosofia».

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Manifesto (8/7/2012) • Nessuna svolta… (…1a…)

  •  F e r r a r i s  (2 0 1 2)  •  N e s s u n a  s v o l t a  p e r  H e i d e g g e r  •

[⇐]  È in questo clima di nuova consapevolezza che, nel 1944, uscì ‹Heidegger e il suo tempo› di Rüdiger Safranski, il cui titolo in italiano è anodino, mentre nell’originale tedesco (così come in molte traduzioni in altre lingue) è ben più eloquente, ossia ‹Un maestro tedesco›, con riferimento ai versi di ‹Fuga di morte› di Paul Celan: «la morte è un maestro tedesco il suo occhio è azzurro ti colpisce con palla di piombo». ‹Heidegger, l’introduzione del nazismo nella filosofia›, il monumentale libro di Emmanuel Faye (la cui edizione ampliata risale al 2007, e che viene ora proposta in italiano dall’Asino d’oro con l’eccellente cura e introduzione di Livia Profeti e una ricca prefazione dell’autore per l’edizione italiana, pp. 544 € 30) compie un ulteriore e decisivo passo in avanti per l’uscita dal mito, mostrandoci come Heidegger non solo fosse personalmente e convintamente nazista, ma come tutta la sua filosofia sia radicalmente inseparabile dal nazismo, e abbia realizzato — come una sorta di Lili Marlene speculativa — la singolare operazione di traghettare nella sinistra postmoderna parole d’ordine, termini e concetti che appartenevano alla visione del mondo nazista. Come si spiega che il massimo successo di quella che un contemporaneo, Lévinas, definiva «la filosofia dell’hitlerismo» abbia avuto luogo a sinistra e non a destra, e dopo la guerra? L’arcano si svela abbastanza facilmente. Da una parte, parlare nel dopoguerra, a destra e in Germania, di autori nazisti come Heidegger, Jünger, Schmitt (e di un loro riferimento comune, Nietzsche) sembrava implausibile, ne momento in cui la cultura tedesca era, comprensibilmente, interessata a voltare pagina.  [⇒]

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Manifesto (8/7/2012) • Nessuna svolta… (1…)

  •  F e r r a r i s  (2 0 1 2)  •  N e s s u n a  s v o l t a  p e r  H e i d e g g e r  •

«C’era una svolta». Così per noi, studenti di filosofia negli anni Settanta del secolo scorso, incominciava la favola di Heidegger. Raccontava di un filosofo che dopo essere stato il padre dell’esistenzialismo, a un certo punto, negli anni Trenta o subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, con una svolta (Kehre) speculativa, si sarebbe «posto all’ascolto del linguaggio e dell’essere», avrebbe inventato una nuova ontologia basata sulla passività. La fiaba racchiudeva, in un involucro mitico, una allusione al rapporto di Heidegger con il nazismo, ma questo lo abbiamo capito solo tempo dopo. Sulla fine degli anni Ottanta se ne seppe molto di più, in senso non mitico, attraverso due libri, di Victor Farias e di Hugo Ott. Qui si apprendeva che Heidegger non era stato nazista occasionalmente e per ingenuità, durante il breve periodo del rettorato nel 1933, ma era stato precocemente antisemita, e poi organicamente nazista, sino alla fine della guerra, e dopo non aveva mai ammesso le proprie colpe, impegnandosi piuttosto nella stesura di testi di autodifesa che erano stati presi per oro colato dai suoi esegeti. La svolta, in parole povere, veniva a significare: prima una filosofia dell’impegno e dell’urto, della comunità nazionale; poi, dopo la guerra, una filosofia dell’abbandono e della pazienza (‹Abbandono›, uno dei testi chiave della svolta, è stato scritto nel 1944, dopo una conversazione con Ernst Jünger in cui Heidegger capì che la guerra era perduta).  [⇒]

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Manifesto (8/7/2012) • Nessuna svolta… (0)

  •  F e r r a r i s  (2 0 1 2)  •  N e s s u n a  s v o l t a  p e r  H e i d e g g e r  •

Nessuna svolta per Heidegger


Un saggio eloquente sfata il mito che ha nutrito le favole postmoderne «Heidegger, l’introduzione al nazismo nella filosofia» di Emmanuel Faye

Equilibrismi ermeneutici per tenere separati nazismo e razzismo

di Maurizio Ferraris
il Manifesto — 8/7/2012

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Homo sapiens… • a1. Epilogo… (18)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  a1.  … D i c h i a r a z i o n e  d i  i n t e r d i p e n d e n z a  •

Le cose potevano andare diversamente in passato e potranno andare diversamente in futuro. Quando i primi cacciatori della specie ‹Homo sapiens› cominciarono a uscire dalla loro culla africana un centinaio di millenni fa, il pianeta intero conobbe una nuova forma ominina, portatrice di un potenziale intellettivo così potente da risultare tremendamente ambiguo. Nelle sue mani si annidava il segreto delle più sublimi invenzioni e della più brutale sopraffazione. Oggi gli eredi di quei primi esploratori, mentre osservano commossi la navicella Pioneer 10 uscire dai confini del sistema solare, hanno i mezzi per comprendere di essere nati per buona sorte, al termine di una felice quanto improbabile sequenza di eventi contingenti. Tale consapevolezza dovrebbe accrescere al contempo i nostri sentimenti di libertà, di solidarietà e di responsabilità.

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[]  T.  P i e v a n i,  ‹H o m o  s a p i e n s  e  a l t r e  c a t a s t o f i›,  M e l t e m i,  2 0 1 8³  (r i v.).
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Homo sapiens… • a1. Epilogo… (17)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  a1.  … D i c h i a r a z i o n e  d i  i n t e r d i p e n d e n z a  •

I processi di cambiamento, i protagonisti della storia, i fattori molteplici che vi hanno concorso, i contesti mutevoli che hanno fatto da scenario, tutte queste dimensioni dell’evoluzione umana si sono rivelate fortemente interdipendenti. Ogni specie ominina, ogni ecosistema locale, ogni popolazione umana è invischiata da sempre in una fitta rete di interdipendenze evolutive, ecologiche, planetarie. Ciascuna traiettoria evolutiva rappresenta un destino aperto. Sarebbe un peccato, come notava nel 2001 Benjamin Barber, che la specie umana, e ciascun popolo al suo interno, dimenticasse il suo irrinunciabile legame di interdipendenza con l’ambiente e con i propri simili. Oggi avremmo bisogno di una grande Dichiarazione di Interdipendenza. Divisa in frammenti che chiamiamo nazioni, tribù o mercati, l’umanità non ce la può fare.

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[]  T.  P i e v a n i,  ‹H o m o  s a p i e n s  e  a l t r e  c a t a s t o f i›,  M e l t e m i,  2 0 1 8³  (r i v.).
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Homo sapiens… • a1. Epilogo… (16)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  a1.  … D i c h i a r a z i o n e  d i  i n t e r d i p e n d e n z a  •

Questi pattern, o concatenazioni di eventi ricorrenti, non sono leggi scritte a imperitura memoria sulle sacre pietre della scienza evoluzionistica. Sono piuttosto schemi esplicativi, regolarità emergenti. Per descriverli, nel testo abbiamo intrecciato la paleoantropologia e la biologia evolutiva, poiché l’ipotesi epistemologica di fondo che ha mosso questa ricerca si fonda proprio su questa connessione. Le conversazioni con alcuni protagonisti della ricerca, in particolare Niles Eldredge e Ian Tattersall, ci hanno convinto di questa transizione epistemologica in atto. Le evidenze della paleoantropologia aiutano infatti ad apprezzare la fecondità di un approccio neodarwiniano pluralista, non più ingessato sul riduzionismo genetico e sulle rigide assunzioni pan-selezioniste di vent’anni fa.

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[]  T.  P i e v a n i,  ‹H o m o  s a p i e n s  e  a l t r e  c a t a s t o f i›,  M e l t e m i,  2 0 1 8³  (r i v.).
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Homo sapiens… • a1. Epilogo… (15)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  a1.  … D i c h i a r a z i o n e  d i  i n t e r d i p e n d e n z a  •

La ragnatela dei processi e delle fitte interconnessioni che legano l’evoluzione della vita, l’evoluzione degli ecosistemi terrestri e, oggi, l’evoluzione della nostra “specie catastrofica” presenta infatti alcuni disegni ricorrenti, alcune forme stabili. Il paleontologo Niles Eldredge ha proposto di chiamare queste sequenze di eventi storici ripetuti “i pattern dell’evoluzione”, come le speciazioni geografiche, gli exaptation, i turnover di specie dettati dai cambiamenti climatici, le estinzioni di massa, e così via.

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[]  T.  P i e v a n i,  ‹H o m o  s a p i e n s  e  a l t r e  c a t a s t o f i›,  M e l t e m i,  2 0 1 8³  (r i v.).
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Homo sapiens… • a1. Epilogo… (14)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  a1.  … D i c h i a r a z i o n e  d i  i n t e r d i p e n d e n z a  •

Ma l’evoluzione umana è davvero il frutto della sola azione del caso? Qualsiasi cosa poteva succedere in qualsiasi momento, come in un moto browniano di particelle che si scontrano nel più assoluto disordine? Naturalmente, no. Nel flusso caleidoscopico dei cambiamenti che hanno prodotto l’evoluzione naturale di quel glorioso accidente della storia che chiamiamo ‹Homo sapiens›, le leggi del cambiamento hanno agito senza sosta. Contingenza evolutiva significa “potere causale del singolo evento”, significa che ogni evento è generatore di molte storie alternative ed equivalenti e che solo una alla fine prevale per ragioni non sempre stringenti. Significa imprevedibilità, non assenza di regole né oscurità.

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[]  T.  P i e v a n i,  ‹H o m o  s a p i e n s  e  a l t r e  c a t a s t o f i›,  M e l t e m i,  2 0 1 8³  (r i v.).
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Homo sapiens… • a1. Epilogo… (13)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  a1.  … D i c h i a r a z i o n e  d i  i n t e r d i p e n d e n z a  •

Un vecchio adagio ammonisce che la storia non si fa con i “se”. Questi esercizi di “storia sperimentale” valgono per ciò che sono, giochi di fantasia. Tuttavia, i “se” hanno fatto davvero la storia. Se la tettonica a placche non avesse formato la Rift Valley, forse gorilla e scimpanzé avrebbero continuato a popolare l’Africa orientale senza bisogno di inventarsi il bipedismo. Se il raffreddamento globale di due milioni e mezzo di anni fa non avesse prodotto il ‹turnover pulse› da cui scaturì il genere ‹Homo›, forse oggi avremmo sulla Terra un cespuglio di australopitecine con una capacità cranica di poco superiore a quella di uno scimpanzé. Se non si fosse creata una leggera disparità fra ‹Homo sapiens› e ‹Homo neanderthalensis› e le altre specie umane recenti, oggi il pianeta sarebbe abitato da una moltitudine di specie umane anziché da una. Se noi siamo qui, in tutta la nostra indecifrabile unicità, lo dobbiamo a questi “se”.

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[]  T.  P i e v a n i,  ‹H o m o  s a p i e n s  e  a l t r e  c a t a s t o f i›,  M e l t e m i,  2 0 1 8³  (r i v.).
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Homo sapiens… • a1. Epilogo… (12)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  a1.  … D i c h i a r a z i o n e  d i  i n t e r d i p e n d e n z a  •

Nel 2000 in ‹The Riddled Chain› il paleoantropologo Jeffrey McKee dipinse l’evoluzione umana come una catena “bucherellata” da eventi contingenti, da interferenze casuali, da coincidenze improbabili. Il caso, le coincidenze e il caos sono stati, a parere di McKee, fattori decisivi quanto la selezione naturale nella determinazione della traiettoria evolutiva della nostra specie. Se noi riavvolgessimo e ripetessimo il film dell’evoluzione umana, nota McKee citando il celebre esperimento mentale suggerito da Stephen J. Gould, otterremmo presumibilmente una sceneggiatura e una trama completamente diverse. In questo ipotetico “rewind” evoluzionistico, potremmo far ripartire la storia dalla situazione della Terra e del continente africano sei milioni di anni fa e stare a vedere cosa succede. Le sceneggiature possibili del film dell’evoluzione umana sarebbero pressoché infinite e ogni biforcazione cruciale aprirebbe un ventaglio di scenari alternativi.

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[]  T.  P i e v a n i,  ‹H o m o  s a p i e n s  e  a l t r e  c a t a s t o f i›,  M e l t e m i,  2 0 1 8³  (r i v.).
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Homo sapiens… • a1. Epilogo… (11)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  a1.  … D i c h i a r a z i o n e  d i  i n t e r d i p e n d e n z a  •

Concepire ‹Homo sapiens› come una specie biologica in mezzo a tante altre, costituita da un mosaico di popolazioni geneticamente omogenee, ospite di un pianeta che ne ha viste di tutti i colori e immersa in un flusso evolutivo ricco di svolte e di sorprese, corrisponde a un esercizio di umiltà epistemologica. Significa spogliarsi per un attimo dei panni del dominatore e, nudi come mamma evoluzione ci ha fatti, indossare gli occhiali del tempo profondo.

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[]  T.  P i e v a n i,  ‹H o m o  s a p i e n s  e  a l t r e  c a t a s t o f i›,  M e l t e m i,  2 0 1 8³  (r i v.).
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Homo sapiens… • a1. Epilogo… (10)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  a1.  … D i c h i a r a z i o n e  d i  i n t e r d i p e n d e n z a  •

L’ordine della creazione, il disegno costitutivo dell’universo non sembra essere all’insegna della progressiva conquista della perfezione umana. Nel 1799 il fisico britannico Charles White proponeva una scala del progresso universale, con gradazioni progressive di tutte le forme viventi dagli uccelli ai mammiferi, fino alle varie razze umane. La scienza “antropometrica” ottocentesca del medico e antropologo parigino Paul Broca ci ha insegnato che il modello della scala naturale è stato uno degli strumenti privilegiati anche per la classificazione razzista dei gruppi umani. Dietro queste immagini progressioniste si nascondeva il desiderio di dare un ordine al tempo, un senso al cambiamento, una giustificazione scientifica e “perbene” all’oppressione e alla discriminazione. Negli ultimi trent’anni la paleontologia, la biologia evoluzionista e l’antropologia fisica hanno deluso tali aspettative.

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[]  T.  P i e v a n i,  ‹H o m o  s a p i e n s  e  a l t r e  c a t a s t o f i›,  M e l t e m i,  2 0 1 8³  (r i v.).
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Homo sapiens… • a1. Epilogo… (9)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  a1.  … D i c h i a r a z i o n e  d i  i n t e r d i p e n d e n z a  •

Certo, non è facile liberarsi dall’icona rassicurante del progresso, dall’idea aristotelica che nella natura vi sia una pienezza dotata di senso compiuto, dall’immagine confortevole dell’inevitabilità e della superiorità umana. Si corre sempre il rischio di contrapporvi un rifiuto altrettanto ideologico, invocando ritorni nostalgici a equilibri passati ed età dell’oro che non sono mai esistiti. La ricerca degli “anelli mancanti”, come abbiamo visto, ci aveva spinti fino a un passo dagli angeli. Immanuel Kant sostenne che il pianeta Giove avrebbe dovuto ospitare un genere particolare di creature superiori che fungessero da punto di congiunzione fra l’uomo e gli angeli. Ma la madrina della nostra storia, Pioneer 10, non li ha incontrati quando è passata nelle vicinanze. Ora l’iconografia della “grande catena dell’essere”, che aveva accomunato sotto le sue ali protettrici concezioni pre-evoluzionistiche e concezioni evoluzionistiche (come aveva già notato lo storico della scienza Arthur Lovejoy nel 1936), è caduta sotto i colpi delle evidenze empiriche e con essa abbiamo perso uno dei presupposti fondamentali della filosofia della storia occidentale. Quando Herbert Spencer ed Henry Fairfield Osborn tradussero la dottrina darwiniana in una filosofia del progresso universale dimenticarono le iniziali perplessità dello stesso Darwin su tale impegnativa assunzione.

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[]  T.  P i e v a n i,  ‹H o m o  s a p i e n s  e  a l t r e  c a t a s t o f i›,  M e l t e m i,  2 0 1 8³  (r i v.).
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Homo sapiens… • a1. Epilogo… (8)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  a1.  … D i c h i a r a z i o n e  d i  i n t e r d i p e n d e n z a  •

Vi è tuttavia una concezione “forte” di progresso che non si accontenta di registrare questo fatto, ma pretende di fornire una teoria dell’evoluzione come miglioramento costante e cumulativo. In tal modo si è portati ad affermare che tale progresso era necessario e inevitabile in quanto esito di una tendenza evolutiva inscritta nel corso della storia. Questa concezione di progresso intrinseco, e non la prima, è entrata in crisi. Se la nostra presenza terrena è il risultato fortunato di una lunga sequenza di biforcazioni capricciose e di eventi contingenti significa che il progresso attuale è soltanto uno dei molti esiti possibili. Se dunque il progresso non era necessario, vorrà dire che nemmeno in futuro lo sarà. Le scelte della specie ‹Homo sapiens›, l’unica dotata di un cervello così complesso, costituiranno le future biforcazioni verso direzioni imprevedibili e non garantite.

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Homo sapiens… • a1. Epilogo… (7)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  a1.  … D i c h i a r a z i o n e  d i  i n t e r d i p e n d e n z a  •

La storia naturale di ‹Homo sapiens› non esclude l’idea di un progresso verso la diversità e non dice nulla riguardo al fatto, piuttosto inconfutabile, che oggi miliardi di persone vivano in condizioni migliori dei loro predecessori e con aspettative di vita mai raggiunte prima. Esiste infatti una concezione “debole” di progresso che si limita a constatare il fatto che ‹Homo sapiens›, dopo essere diventato la sola specie dotata di intelligenza autocosciente, di elaborazione simbolica, di ragionamento astratto, di percezione estetica della realtà, di curiosità intellettuale disinteressata, di manipolazione tecnologica di artefatti, sia stato protagonista negli ultimi secoli di avanzamenti straordinari in campo medico, sociale, scientifico ed economico. Gli eventi di cui abbiamo trattato qui non mettono in discussione questo dato evidente, anche se è sempre bene ricordare che i miglioramenti nella qualità della vita e nel benessere diffuso riguardano ancora oggi soltanto una parte minoritaria dell’umanità.

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Homo sapiens… • a1. Epilogo… (6)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  a1.  … D i c h i a r a z i o n e  d i  i n t e r d i p e n d e n z a  •

Homo› sedicente “‹sapiens›” dovrà onorare fino in fondo l’aggettivo che Linneo gli attribuì nel 1758, altrimenti Pioneer 10, dalle sue distanze siderali, assisterà a un pessimo spettacolo sulla Terra. La biosfera continuerà nel frattempo a osservare sbigottita questo mammifero di grossa taglia arrampicatosi fortunosamente in cima a un cespuglio lussureggiante di cugini ominini che ora, quasi pervicacemente, insiste nel tagliare il ramoscello su cui poggia.

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Homo sapiens… • a1. Epilogo… (5)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  a1.  … D i c h i a r a z i o n e  d i  i n t e r d i p e n d e n z a  •

I primi anni del nuovo millennio hanno peraltro annunciato un’ulteriore svolta evolutiva le cui conseguenze sono difficilmente immaginabili. Grazie alla mappatura del genoma umano e di molte altre specie biologiche nonché allo sviluppo di sofisticate tecniche di ingegneria genetica e di editing genetico come CRISPR-Cas9, per la prima volta sulla Terra una specie biologica è capace di porre mano al proprio materiale genetico, di alterare i processi ereditari propri e di altre specie vegetali e animali. Tra qualche anno, con il ‹gene drive›, potremo programmare l’estinzione di specie che non vogliamo, come le zanzare portatrici di terribili malattie. In altre parole, ha fatto la sua comparsa nella storia naturale una specie in grado di modificare deliberatamente la propria e l’altrui identità biologica. Siamo diventati anche per questo un nuovo fattore evolutivo sulla Terra, il che richiede saggezza e buon senso.

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Homo sapiens… • a1. Epilogo… (4)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  a1.  … D i c h i a r a z i o n e  d i  i n t e r d i p e n d e n z a  •

Oggi una specie biologica come tante altre, bipede e dotata di un grosso cervello, la cui anatomia è la stessa di quella degli uomini di Cro-Magnon da decine di migliaia di anni, è in possesso di strumenti tecnologici la cui portata, creativa e distruttiva, non ha precedenti. Essi comprendono la possibilità dell’estinzione di massa di gran parte della biodiversità terrestre e, non ultimo, il suicidio della specie. Quali effetti potrà avere l’allargamento progressivo di questa forbice fra evoluzione culturale ed evoluzione biologica è difficile prevedere.

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Homo sapiens… • a1. Epilogo… (3)

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Come abbiamo visto, scorgere nell’evoluzione un preannuncio della nostra futura venuta diventa molto difficile sulla base delle evidenze scientifiche in nostro possesso. Siamo un ramoscello alla periferia della biodiversità terrestre e il mondo ha funzionato per il 99,9% del suo tempo senza di noi. Non solo, in molte occasioni le cose avrebbero potuto girare diversamente e ora avrebbe potuto esserci al nostro posto un’altra specie dominante, magari una società di veloci e astuti ‹Velociraptor› a sangue tiepido intenta a dimostrare la propria superiorità evolutiva. Faremmo bene ad adottare una certa umiltà evoluzionistica.

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Homo sapiens… • a1. Epilogo… (2)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  a1.  … D i c h i a r a z i o n e  d i  i n t e r d i p e n d e n z a  •

Questa specie bambina si è rivelata prodigiosa nel conquistare gli spazi terrestri. Li ha sottomessi in una manciata di millenni. Da alcuni anni ha raggiunto anche l’orbita della Terra, fotografando il globo dall’esterno. Alcuni suoi fortunati e coraggiosi esponenti hanno raggiunto il nostro unico satellite e hanno visto sorgere l’alba della Terra all’orizzonte lunare. La specie bambina ha già fatto esperienza della propria compiutezza territoriale, del proprio limite per ora invalicabile, del proprio isolamento cosmico. Ha lanciato Pioneer 10 ai confini del sistema solare. Ha deciso di costruire una stazione orbitante, abitata in modo permanente. Sta preparando la prima missione umana su Marte, il pianeta fratello lontano sei mesi di navigazione cosmica. Vagheggiamo di migrare su altri pianeti o di “terraformarli”. Tuttavia, ci vorrà moltissimo tempo e la Terra rimane la sola oasi di vita che sappiamo abitare. Per ora non c’è un pianeta di ricambio e per moltissimo tempo non ci sarà.

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Homo sapiens… • a1. Epilogo… (1)

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La durata media della sopravvivenza di una specie animale sulla Terra si aggira intorno ai cinque milioni di anni. ‹Homo sapiens› ne ha compiuti appena 200.000. Quindi abbiamo trascorso il 4% dell’esistenza media che la natura concede a specie come la nostra. Se la vita di una specie fosse come la vita di un essere umano, noi avremmo da poco compiuto il terzo anno d’età. Agli occhi della biosfera ‹Homo sapiens› è quindi una specie bambina che ha cominciato appena a balbettare qualche parola ma che già procura danni irreparabili e scherza con il fuoco: un autentico monello. Saremo così previdenti da raggiungere l’età adulta?

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Homo sapiens… • a1. Epilogo… (0)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  a1.  … D i c h i a r a z i o n e  d i  i n t e r d i p e n d e n z a  •

Io temo che ‹Homo sapiens› sia una cosa tanto piccola in un vasto universo, un evento evolutivo estremamente improbabile nell’ambito della contingenza evolutiva. Il lettore può prendere questa conclusione come gli pare. Alcuni troveranno questa prospettiva deprimente; io l’ho sempre considerata esaltante: una fonte insieme di libertà e di conseguente responsabilità morale.
Stephen J. Gould, 1989

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[]  T.  P i e v a n i,  ‹H o m o  s a p i e n s  e  a l t r e  c a t a s t o f i›,  M e l t e m i,  2 0 1 8³  (r i v.).
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Homo sapiens… • 11.7. La Sesta Estinzione… (16)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  11.7.  … s t i a m o  s p o l p a n d o  i l  p i a n e t a  •

Per ‹Homo sapiens› dovremo quindi coniare una nuova categoria conservazionista, quella di un organismo che distrugge gli ambienti con cui viene in contatto al punto tale da mettere a repentaglio la sua stessa sopravvivenza. Non è una categoria molto onorevole. Si dice che l’alce irlandese (che poi non era alce e non era irlandese) si sia estinto anche a causa della crescita abnorme dei suoi palchi di corna: la selezione sessuale prese troppo il sopravvento sulla sopravvivenza ecologica. Sarà, ma l’alce irlandese non si era auto-proclamato ‹sapiens› e non si è accorto di estinguersi. Noi invece siamo la prima specie auto-minacciata e consapevole di esserlo.

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[]  T.  P i e v a n i,  ‹H o m o  s a p i e n s  e  a l t r e  c a t a s t o f i›,  M e l t e m i,  2 0 1 8³  (r i v.).
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Homo sapiens… • 11.7. La Sesta Estinzione… (15)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  11.7.  … s t i a m o  s p o l p a n d o  i l  p i a n e t a  •

Dai pochi milioni di cacciatori raccoglitori paleolitici, l’umanità ha raggiunto in una dozzina di millenni la cifra di sette miliardi di individui. Siamo così diventati un unico grande sistema planetario di sfruttamento delle risorse e di organizzazione economica, capace di alterare gli equilibri della biosfera nella sua interezza. Da solo, questo sistema economico consuma il 40% di tutta l’energia prodotta dalla Terra per il sostentamento della biodiversità. L’adattamento biologico cede il passo all’evoluzione culturale e tecnologica. Ma noi rimaniamo pur sempre il ramoscello di un cespuglio africano di scimmie antropomorfe. Se estirpiamo direttamente questo ramoscello con un inverno nucleare, o se perdiamo tanti altri ramoscelli al punto che anche il nostro alla fine seccherà, allora sarà cancellato un esperimento di vita assai peculiare generato tra vari miliardi di altri rami: la nascita, attraverso la coscienza, di un virgulto che potesse scoprire la propria storia e apprezzarne l’unicità. Possiamo scommettere che la biosfera rimarrà del tutto indifferente alla nostra auto-soppressione. Ma il cordone ombelicale con la natura non è affatto reciso, poiché la nostra sopravvivenza è ancora affidata al tessuto di interdipendenze con l’ecosistema globale.

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Homo sapiens… • 11.7. La Sesta Estinzione… (14)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  11.7.  … s t i a m o  s p o l p a n d o  i l  p i a n e t a  •

In cima al cespuglio degli ominini, rimasti soli nell’ultimo miglio dell’evoluzione umana, l’Antropocene rappresenta quindi una soglia evolutiva inedita: per la prima volta, una specie biologica ha cominciato a sfruttare la terra intensivamente, ricavando risorse in sovrappiù che hanno permesso di infrangere il limite malthusiano di crescita della popolazione. La specie umana è passata da una dimensione di appartenenza e di dipendenza dagli ecosistemi a una dimensione di sfruttamento e di manipolazione degli ecosistemi.

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[]  T.  P i e v a n i,  ‹H o m o  s a p i e n s  e  a l t r e  c a t a s t o f i›,  M e l t e m i,  2 0 1 8³  (r i v.).
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Homo sapiens… • 11.7. La Sesta Estinzione… (13)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  11.7.  … s t i a m o  s p o l p a n d o  i l  p i a n e t a  •

Quando abbattiamo un pezzo di foresta amazzonica per ricavarne un po’ di legname da parquet stiamo non soltanto sottraendo agli indigeni e alle specie che vi abitano il loro futuro, ma stiamo letteralmente divorando il nostro stesso futuro. Inoltre, conosciamo soltanto una piccola parte della biodiversità, giacché le specie attualmente classificate e studiate non sono più di due milioni. Quindi non soltanto stiamo portando all’estinzione una parte consistente della diversità biologica, la stessa che ha offerto cibo e sostanze medicinali all’umanità per migliaia di anni, ma lo stiamo facendo ancor prima di conoscerla. Sterminiamo qualcosa che nemmeno conosciamo.

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Homo sapiens… • 11.7. La Sesta Estinzione… (12)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  11.7.  … s t i a m o  s p o l p a n d o  i l  p i a n e t a  •

Molti ecologi stanno cominciando a porsi una domanda inquietante riguardo alla relazione fra esseri umani e ambiente: e se lo sviluppo in quanto tale, per come è organizzato nei sistemi economici contemporanei, fosse di per sé “insostenibile”? In altri termini, può esistere uno sfruttamento “intelligente” delle risorse senza che le direttrici espansive dell’attuale economia capitalistica e predatoria, che garantisce la crescita solo al prezzo di insostenibili diseguaglianze, siano messe in discussione nei loro meccanismi più profondi?

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Homo sapiens… • 11.7. La Sesta Estinzione… (11)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  11.7.  … s t i a m o  s p o l p a n d o  i l  p i a n e t a  •

Il tempo profondo insegna che l’estinzione di massa dei dinosauri non aviani fu una straordinaria occasione per i mammiferi, che ereditarono il pianeta e si diversificarono in nuove forme, compresi i primati e fra loro ‹Homo sapiens›. Siamo i figli della fine del mondo degli altri. Ora rischiamo di creare le stesse condizioni critiche di allora. È un paradosso la cui soluzione è resa ardua da due ostacoli, uno politico e uno psicologico: la difficoltà di coordinamento e l’incapacità di lungimiranza. Una singola nazione può fare poco, se quelle attorno non collaborano (o eleggono presidenti imbarazzanti). Le dinamiche ecologiche non rispettano i tempi stretti delle campagne elettorali e del consenso, ma potrebbero poi presentare il conto senza preavviso. Se non vogliamo lasciare il pianeta più povero di come lo abbiamo trovato, una buona pratica di salvaguardia messa in opera oggi darà i suoi frutti fra un paio di generazioni. Certo, non è facile investire denaro e prendere un impegno etico a favore di qualcuno che ancora non esiste, ma bisognerà armarsi di immaginazione e provarci. Tutto sommato, potrebbe essere un modo intelligente per differenziarci dai dinosauri.

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Homo sapiens… • 11.7. La Sesta Estinzione… (10)

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Un esempio fra tanti: il 75% delle colture alimentari del mondo dipende da insetti impollinatori. La sparizione di una popolazione di pipistrelli, predatori naturali degli insetti nocivi, può creare localmente danni economici enormi. In quanto mammiferi di grossa taglia, ci commuoviamo giustamente dinanzi all’estinzione di tigri, rinoceronti e panda, ma è la silenziosa moria degli invertebrati e delle microfaune invisibili a occhio nudo a doverci preoccupare ancor di più. Dai più carismatici come leoni ed elefanti (il cui tracollo procede a velocità drammatica) a una minuscola ranocchia (gli anfibi sono i più sensibili, con il 41% di specie minacciate), la perdita complessiva di animali altera la struttura e le funzioni degli ecosistemi dai quali dipende il nostro benessere. Intervenire dopo sarà molto più dispendioso. Quindi anche in una prospettiva meramente economistica e liberistica, ci stiamo comportando da imprevidenti.

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Homo sapiens… • 11.7. La Sesta Estinzione… (9)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  11.7.  … s t i a m o  s p o l p a n d o  i l  p i a n e t a  •

Perdiamo complessivamente ogni anno dalle 11.000 alle 58.000 specie, concentrate soprattutto nelle regioni tropicali. Il termine tecnico coniato per questo fenomeno è “de-faunazione dell’Antropocene”. Stiamo spolpando il pianeta, il che denota un atteggiamento di predatoria idiozia. Vediamo perché. Molti dicono: quelli ambientali sono interventi costosi e in tempi di crisi è irrealistico pensare di intervenire per salvare ogni creatura in pericolo e ripopolare foreste e savane. Il calcolo economico andrebbe però rivisto, poiché dalla biodiversità dipende la salute degli ecosistemi, e dagli ecosistemi derivano beni e servizi che sono essenziali per la nostra sopravvivenza oltreché gratuiti (dispersione dei semi, cicli dei nutrienti, fertilità dei suoli, decomposizione, qualità dell’acqua e dell’aria).

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Homo sapiens… • 11.7. La Sesta Estinzione… (8)

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Nell’estate del 2014 il team di ecologi di Stanford coordinati da Rodolfo Dirzo ha pubblicato su “Science” (non propriamente una rivista di militanza ecologista radicale) un aggiornamento dei dati sull’estinzione antropica, questa volta misurati non soltanto al livello grezzo del numero di specie, ma anche al livello più fino dell’abbondanza di popolazioni all’interno di ciascuna specie. Risultato? Gli impatti umani sulla biodiversità animale sono diventati una forma di cambiamento ambientale globale che ben presto avrà ripercussioni sulla nostra salute. Il pianeta non è più lo stesso e i parametri peggiorano. 322 specie di vertebrati terrestri si sono estinte dal 1500 a oggi, altre centinaia sono in via di estinzione (circa un terzo del totale) e per tutte, mediamente, si assiste a un calo del 28% nelle popolazioni. Inaspettatamente, va ancora peggio per gli invertebrati, due terzi dei quali hanno subito un declino del 45% nella loro abbondanza negli ultimi 40 anni. Gli insetti, per noi icona di diversità e di resistenza, si associano al crollo: un terzo sono in calo; farfalle e falene sono diminuite del 35%; per api e coleotteri va anche peggio.

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