Nell’estate del 2014 il team di ecologi di Stanford coordinati da Rodolfo Dirzo ha pubblicato su “Science” (non propriamente una rivista di militanza ecologista radicale) un aggiornamento dei dati sull’estinzione antropica, questa volta misurati non soltanto al livello grezzo del numero di specie, ma anche al livello più fino dell’abbondanza di popolazioni all’interno di ciascuna specie. Risultato? Gli impatti umani sulla biodiversità animale sono diventati una forma di cambiamento ambientale globale che ben presto avrà ripercussioni sulla nostra salute. Il pianeta non è più lo stesso e i parametri peggiorano. 322 specie di vertebrati terrestri si sono estinte dal 1500 a oggi, altre centinaia sono in via di estinzione (circa un terzo del totale) e per tutte, mediamente, si assiste a un calo del 28% nelle popolazioni. Inaspettatamente, va ancora peggio per gli invertebrati, due terzi dei quali hanno subito un declino del 45% nella loro abbondanza negli ultimi 40 anni. Gli insetti, per noi icona di diversità e di resistenza, si associano al crollo: un terzo sono in calo; farfalle e falene sono diminuite del 35%; per api e coleotteri va anche peggio.
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K E Y W O R D S
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[] T. P i e v a n i, ‹H o m o s a p i e n s e a l t r e c a t a s t o f i›, M e l t e m i, 2 0 1 8³ (r i v.).
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