Potremmo chiederci, cinicamente: se la vita prospera nell’instabilità, perché preoccuparsi degli effetti perturbatori indotti dalle attività umane? Esse producono una frammentazione degli habitat, quindi estinzioni e nuove speciazioni, né più né meno che il solito gioco dell’evoluzione. Non è così: a differenza delle Big Five, questa estinzione di massa è troppo veloce per permettere agli ecosistemi di reagire. Il tasso di estinzione non è in alcun modo bilanciato da quello di speciazione. Ma soprattutto noi dobbiamo chiederci se alla fine di questo processo figureremo fra i sopravvissuti o fra gli estinti. Questo è il punto, come per l’inverno nucleare: la nostra sopravvivenza, non quella della biosfera che se la cava comunque. L’impegno ecologista oggi, oltre che di difesa e di conservazione di specie che non abbiamo alcun diritto di sterminare, è un impegno umanista. Ne va del futuro delle prossime generazioni e quindi non c’è reale contraddizione tra eco-centrismo e antropocentrismo.
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K E Y W O R D S
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[] T. P i e v a n i, ‹H o m o s a p i e n s e a l t r e c a t a s t o f i›, M e l t e m i, 2 0 1 8³ (r i v.).
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