Quando scriveva questa lettera, lo studioso romeno conduceva da più di dieci anni una vita agiata negli Stati Uniti, lavorando come docente di storia delle religioni presso l’Università di Chicago e tenendo conferenze e convegni in giro per il mondo. Il momento più difficile della sua esistenza, quando era stato esule a Parigi dopo la Seconda guerra mondiale, era ormai alle spalle. A partire dagli anni Cinquanta, Eliade era andato conquistando un pubblico sempre più vasto, anche al di fuori degli ambienti universitari; le sue opere più importanti [6] erano tradotte e apprezzate in un numero crescente di paesi.
Stupisce, nello sfogliare le pagine dell’epistolario, l’esiguità dei riferimenti al movimento del ’68 [7], sul quale pure Eliade doveva avere un punto di vista privilegiato. Stupisce in modo particolare se si considera che del ’68 statunitense, o meglio delle controculture di cui questo si nutrì, Eliade era stato un fondamentale ispiratore. Ma procediamo con ordine.
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NOTE
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[6]. Tra i suoi filoni di ricerca principali quello sullo yoga, che lo impegnò sin dalla tesi dottorale, e sullo sciamanesimo. Si vedano in particolare: M. Eliade, ‹Technique du Yoga›, Gallimard, Parigi 1948; Id., ‹Le chamanisme et les techniques archaïques de l’extase›, Payot, Parigi 1950 (2ª ed. 1968); Id., ‹Le Yoga. Immortalité et liberté›, Payot, Parigi 1954 (2ª ed. 1968).
[7]. E. Cioran, M. Eliade, ‹Una segreta complicità›, cit., pp. 117-120, 122-123, 127.
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