L’illusione di Heidegger nel 1933 è stata che la Germania (quella di Hölderlin, del Nietzsche «tragico», e da ultimo quella di Hitler) potesse rappresentare una alternativa valida (umanamente) sia all’industrialismo americano sia al totalitarismo sovietico. Si ricordi che negli stessi anni altri filosofi di tutto rispetto facevano scelte altrettanto radicali di segno opposto: Gentile fascista in Italia, Lukács e Bloch a favore della Russia di Stalin. Ma Heidegger in più era razzista, direbbe Faye. Le evidenze testuali che porta per dimostrare questa tesi sono per lo più indirette, come le analogie, su cui insiste tanto, fra l’analitica esistenziale di ‹Essere e tempo› e le idee di Hitler.
E quanto all’atteggiamento di Heidegger nel dopoguerra, quando ci si sarebbe aspettati da lui una pubblica «conversione» ai valori «umani» dell’Occidente vincitore — ai quali Faye si ispira senza alcuna incertezza critica — non crediamo che sia riconducibile, come lui pensa, alla volontà di nascondere le vergogne del suo nazismo passato, per il quale del resto subì un processo di epurazione che gli costò il divieto di insegnare.
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K E Y W O R D S
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