Origine delle specie… • 15. Ricapitolazione e conclusione (b6)

  •  D a r w i n  (1 8 5 9,  1 8 7 2⁶)  •  15.  R i c a p i t o l a z i o n e  e  c o n c l u s i o n e  •  √en

Se dunque gli animali e le piante variano, sia pure leggermente e lentamente, perché le variazioni o le differenze individuali, che sono in qualsiasi modo vantaggiose, non dovrebbero essere conservate e accumulate per mezzo della selezione naturale, o della sopravvivenza del più adatto? Se l’uomo può con pazienza selezionare le variazioni che gli sono utili, perché, in mutevoli e complesse condizioni di vita, non dovrebbero prodursi spesso variazioni vantaggiose per i prodotti viventi della natura, ed essere conservate o selezionate? Quale limite si può fissare a questa forza che agisce durante lunghe epoche, vagliando severamente l’intera costituzione, la struttura e le abitudini di ciascun individuo, favorendo il buono e scartando il cattivo? Non vedo nessun limite a questo potere di adattare lentamente e magnificamente ciascuna forma alle più complesse relazioni della vita. La teoria della selezione naturale, anche senza guardare più lontano, mi sembra essere probabile al più alto grado. Ho già ricapitolato, quanto meglio ho potuto, le difficoltà e le obiezioni: vediamo ora i fatti e gli argomenti particolari a favore della teoria.

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Origine delle specie… • 15. Ricapitolazione e conclusione (b5)

  •  D a r w i n  (1 8 5 9,  1 8 7 2⁶)  •  15.  R i c a p i t o l a z i o n e  e  c o n c l u s i o n e  •  √en

Poiché la geologia chiaramente afferma che ogni terra ha subìto grandi cambiamenti fisici, dovremmo aspettarci di trovare che gli esseri viventi sono variati, allo stato naturale, nello stesso modo come essi sono variati allo stato domestico. E se vi è stata una qualsiasi variabilità in natura, ciò sarebbe inspiegabile se la selezione naturale non fosse intervenuta. È stato spesso sostenuto, ma l’asserzione non può essere provata, che la quantità delle variazioni allo stato di natura è molto limitata. L’uomo, pur agendo soltanto sui caratteri esterni e spesso in modo capriccioso, può ottenere in breve tempo un grande risultato accumulando mere differenze individuali nelle sue produzioni domestiche; e ognuno ammette che le specie presentano differenze individuali. Ma, oltre tali differenze, tutti i naturalisti ammettono che esistono varietà naturali, che sono considerate abbastanza distinte da poter essere ricordate nei lavori di sistematica. Nessuno ha tracciato una chiara distinzione tra differenze individuali e lievi varietà; o tra varietà più nettamente marcate e sottospecie, e specie. Su continenti separati e su parti differenti dello stesso continente, quando siano separate da qualsiasi tipo di barriera, e sulle isole al largo delle coste, quale moltitudine di forme esiste, che alcuni esperti naturalisti classificano come varietà, e altri come razze geografiche o sottospecie, e altri ancora come specie distinte, sebbene strettamente affini!

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Origine delle specie… • 15. Ricapitolazione e conclusione (b4)

  •  D a r w i n  (1 8 5 9,  1 8 7 2⁶)  •  15.  R i c a p i t o l a z i o n e  e  c o n c l u s i o n e  •  √en

Negli animali a sessi separati, vi sarà nella maggior parte dei casi una lotta fra i maschi per il possesso della femmina. I maschi più vigorosi, o quelli che hanno lottato con il massimo successo con le loro condizioni di vita, generalmente lasceranno un maggior numero di discendenti. Ma il successo spesso dipenderà dal fatto che i maschi possiedono speciali strumenti, o mezzi di difesa, o attrattive; e un lieve vantaggio condurrà alla vittoria.

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Origine delle specie… • 15. Ricapitolazione e conclusione (b3)

  •  D a r w i n  (1 8 5 9,  1 8 7 2⁶)  •  15.  R i c a p i t o l a z i o n e  e  c o n c l u s i o n e  •  √en

Non v’è alcuna ragione perché i princìpi che hanno così efficacemente agito allo stato domestico non debbano aver agito allo stato di natura. Nella sopravvivenza di individui e razze favorite, durante la lotta, costantemente ricorrente, per l’esistenza, vediamo una potente e perpetua forma di selezione. La lotta per l’esistenza inevitabilmente consegue dall’elevata progressione geometrica di aumento che è comune a tutti gli esseri viventi. Questo elevato ritmo di aumento è provato dal calcolo: dal rapido aumento di molti animali e piante durante una successione di peculiari stagioni, e quando siano naturalizzati in nuovi paesi. Nascono più individui di quanti possano sopravvivere. Un grano sulla bilancia può determinare quali individui vivranno e quali moriranno; quali varietà o specie aumenteranno numericamente; e quali diminuiranno o alfine si estingueranno. Siccome gli individui della stessa specie entrano sotto tutti i rapporti nella più stretta concorrenza gli uni con gli altri, la lotta sarà generalmente più serrata tra loro; sarà quasi ugualmente serrata fra le varietà della stessa specie, e un po’ meno fra le specie dello stesso genere. D’altra parte la lotta sarà spesso severa fra esseri remoti nella scala della natura. Il più piccolo vantaggio in alcuni individui — a una qualunque età o in una qualunque stagione — su quelli con cui entrano in concorrenza, o un migliore adattamento, per quanto in lieve misura, alle condizioni ambientali, faranno, nel corso del tempo, spostare l’equilibrio.

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Origine delle specie… • 15. Ricapitolazione e conclusione (b2)

  •  D a r w i n  (1 8 5 9,  1 8 7 2⁶)  •  15.  R i c a p i t o l a z i o n e  e  c o n c l u s i o n e  •  √en

La variabilità non è in effetti causata dall’uomo; egli senza intenzione espone soltanto esseri viventi a nuove condizioni di vita, e quindi la natura agisce sulla loro organizzazione e fa sì che essa vari. Ma l’uomo può scegliere, e sceglie, le variazioni che la natura gli fornisce, e così le accumula nella maniera voluta. Egli così adatta animali e piante secondo il suo utile o piacere. Egli può farlo metodicamente o può farlo inconsciamente, conservando gli individui più utili o che più gli piacciono, senza alcuna intenzione di modificare la razza. È certo che egli può largamente influenzare il carattere di una razza selezionando, in ogni successiva generazione, differenze individuali così leggere da non essere avvertite se non da un occhio esercitato. Questo inconsapevole processo di selezione è stato il grande agente della formazione delle più distinte e utili razze domestiche. Che molte razze prodotte dall’uomo abbiano in larga misura il carattere di specie naturali, è dimostrato dagli inestricabili dubbi se molte di esse sono varietà o specie originariamente distinte.

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Origine delle specie… • 15. Ricapitolazione e conclusione (b1)

  •  D a r w i n  (1 8 5 9,  1 8 7 2⁶)  •  15.  R i c a p i t o l a z i o n e  e  c o n c l u s i o n e  •  √en

Esaminiamo ora l’altro aspetto della questione. Allo stato domestico osserviamo molta variabilità, causata, o per lo meno esaltata, da mutate condizioni di vita; ma spesso in modo così oscuro, che siamo tentati di considerare le variazioni come spontanee. La variabilità è governata da leggi molto complesse: della crescita correlata, della compensazione, dell’accresciuto uso o non uso delle parti, e della definita azione delle condizioni ambientali. Vi è molta difficoltà nell’accertare quanto largamente le nostre produzioni domestiche si siano modificate; ma possiamo sicuramente dedurre che la somma delle modificazioni è stata grande, e che le modificazioni possono essere ereditate per lunghi periodi. Fino a quando le condizioni di vita rimangono le stesse, abbiamo ragione di credere che una modificazione, la quale è già stata ereditata per molte generazioni, può continuare a essere ereditata per un numero quasi illimitato di generazioni. D’altra parte abbiamo la prova che la variabilità, una volta intervenuta, non cessa allo stato domestico per un periodo molto lungo; né sappiamo che essa cessi mai, poiché nuove varietà sono tuttora occasionalmente prodotte dalle nostre più vecchie produzioni domestiche.

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Origine delle specie… • 15. Ricapitolazione e conclusione (a13)

  •  D a r w i n  (1 8 5 9,  1 8 7 2⁶)  •  15.  R i c a p i t o l a z i o n e  e  c o n c l u s i o n e  •  √en

Tale è il riassunto delle varie principali obiezioni e difficoltà che possono giustamente essere avanzate contro la teoria; e ho testé ricapitolato brevemente le risposte e spiegazioni che, a mio giudizio, possono esser date. Ho avvertito per molti anni tutto il peso di queste difficoltà per poter dubitare della loro importanza. Ma merita speciale attenzione il fatto che le più serie obiezioni si riferiscono a questioni sulle quali abbiamo confessato la nostra ignoranza; né sappiamo bene quanto essa sia profonda. Non conosciamo tutte le possibili gradazioni intermedie fra gli organi più semplici e più perfetti; non possiamo pretendere di conoscere tutti i vari mezzi di distribuzione durante lunghi periodi di tempo, o di sapere quanto imperfetti sono i nostri documenti geologici. Per quanto serie possano essere queste diverse obiezioni, a mio giudizio esse non sono in alcun modo sufficienti a distruggere la teoria della discendenza con conseguente modificazione.

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Origine delle specie… • 15. Ricapitolazione e conclusione (a11-12)

  •  D a r w i n  (1 8 5 9,  1 8 7 2⁶)  •  15.  R i c a p i t o l a z i o n e  e  c o n c l u s i o n e  •  √en

Riguardo all’assenza di strati ricchi di fossili al di sotto della formazione del cambriano, posso soltanto far ricorso all’ipotesi formulata nel decimo capitolo, che cioè, sebbene gli oceani e i continenti abbiano mantenuto per un enorme periodo le loro attuali posizioni rispettive, non abbiamo nessuna ragione di ritenere che sia sempre stato così; di conseguenza può darsi che formazioni più antiche di quelle attualmente conosciute giacciano sepolte sotto i grandi oceani. Riguardo al fatto che il lasso di tempo, da quando il nostro pianeta si consolidò, non sia stato sufficiente per la supposta quantità di cambiamenti organici — e questa obiezione, avanzata da Sir William Thomson, è probabilmente una delle più gravi fin qui sollevate — posso soltanto dire, in primo luogo, che non conosciamo con quale ritmo, misurato in anni, le specie cambiano, e in secondo luogo, che molti filosofi non sono ancora disposti ad ammettere che noi conosciamo abbastanza della costituzione dell’universo e dell’interno del nostro globo per giudicare con certezza della sua età.

Che i documenti geologici sono imperfetti tutti l’ammettono; ma che sono imperfetti fino al punto richiesto dalla nostra teoria, pochissimi saranno disposti ad ammetterlo. Se consideriamo periodi di tempo sufficientemente lunghi, la geologia chiaramente afferma che tutte le specie sono cambiate; ed esse sono cambiate nella maniera che la teoria esige, poiché sono cambiate lentamente e gradualmente. Tutto ciò lo vediamo chiaramente nel fatto che i resti fossili provenienti da formazioni consecutive invariabilmente sono molto più strettamente affini di quanto non siano i fossili provenienti da formazioni separate da intervalli più grandi.

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Origine delle specie… • 15. Ricapitolazione e conclusione (…a10a)

  •  D a r w i n  (1 8 5 9,  1 8 7 2⁶)  •  15.  R i c a p i t o l a z i o n e  e  c o n c l u s i o n e  •  √en

[⇐]   Molte specie, una volta formate, non subiscono mai ulteriori modificazioni, ma si estinguono senza lasciare discendenti modificati; e i periodi durante i quali le specie hanno subìto modificazioni, sebbene lunghi se calcolati in anni, sono stati probabilmente brevi in confronto a quelli durante i quali esse hanno conservato la stessa forma. Sono le specie dominanti e largamente diffuse quelle che variano di più e più frequentemente, e le varietà spesso sono dapprima locali: entrambe queste cause rendono meno probabile la scoperta di legami intermedi in qualunque formazione. Le varietà locali non si diffonderanno in altre regioni distanti prima di essersi considerevolmente modificate e perfezionate; e quando si sono diffuse e si scoprono in una formazione geologica, sembra quasi che siano state d’improvviso create in quel luogo, e vengono semplicemente classificate come specie nuove. La maggioranza delle formazioni sono state intermittenti nella loro accumulazione; e probabilmente la loro durata è stata più corta della durata media delle forme specifiche. Le formazioni successive sono, nella maggior parte dei casi, separate l’una dall’altra da intervalli vuoti di tempo, di grande lunghezza; infatti formazioni fossilifere abbastanza spesse da resistere alla degradazione futura possono, come regola generale, essersi accumulate soltanto dove abbondanti sedimenti si sono depositati su un fondo marino in via di abbassamento. Durante i periodi alterni di sollevamento e di stasi del livello, i documenti geologici saranno generalmente nulli. Nel corso di questi ultimi periodi vi sarà probabilmente maggiore variabilità nelle forme di vita; durante i periodi di abbassamento, maggiore estinzione.

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Origine delle specie… • 15. Ricapitolazione e conclusione (a10…)

  •  D a r w i n  (1 8 5 9,  1 8 7 2⁶)  •  15.  R i c a p i t o l a z i o n e  e  c o n c l u s i o n e  •  √en

Posso rispondere a queste questioni e obiezioni solo supponendo che i documenti geologici siano molto più incompleti di quanto non creda la maggior parte dei geologi. Il numero di esemplari di tutti i nostri musei è assolutamente un nulla al confronto con le innumerevoli generazioni di innumerevoli specie che sono certamente esistite. La forma progenitrice di due o più specie non sarebbe direttamente intermedia per tutti i caratteri fra i suoi discendenti modificati, più di quanto il colombo torraiolo sia direttamente intermedio per il gozzo e la coda fra il gozzuto e il pavoncello, suoi discendenti. Noi non saremmo in grado di riconoscere una specie come progenitrice di un’altra specie modificata, anche all’esame più attento, se non possedessimo la maggior parte dei legami intermedi; e a causa dell’imperfezione dei documenti geologici non abbiamo nessun giusto motivo di aspettarci di trovare tanti legami. Se fossero scoperte due, tre o anche più forme intermedie, esse sarebbero classificate da molti naturalisti semplicemente come altrettante specie nuove, soprattutto se fossero trovate in strati geologici differenti, anche nel caso che presentassero lievissime differenze. Si potrebbero citare numerose forme dubbie che probabilmente sono varietà; ma chi può presumere che in futuro saranno scoperti tanti fossili intermedi, sì che i naturalisti potranno decidere se queste forme dubbie debbano o non debbano esser chiamate varietà? Solo una piccola parte del mondo è stata esplorata geologicamente. Solo esseri viventi di certe classi possono conservarsi allo stato fossile, almeno in gran numero.   [⇒]

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Origine delle specie… • 15. Ricapitolazione e conclusione (a9)

  •  D a r w i n  (1 8 5 9,  1 8 7 2⁶)  •  15.  R i c a p i t o l a z i o n e  e  c o n c l u s i o n e  •  √en

Sulla base di questa teoria della distruzione di un’infinità di legami di connessione fra gli abitanti viventi e quelli estinti del mondo, e, in ogni periodo successivo, fra le specie estinte e quelle ancora più antiche, perché ogni formazione geologica non è colma di tali legami? Perché ogni collezione di resti fossili non fornisce chiara evidenza della gradazione e mutazione delle forme di vita? Sebbene la ricerca geologica abbia senza dubbio rivelato la precedente esistenza di molti legami, avvicinando di molto tra loro numerose forme di vita, non rende tuttavia le innumerevoli minute gradazioni fra le specie del passato e del presente che la teoria esige; e questa è la più ovvia delle molte obiezioni che possono essere avanzate contro tale teoria. Perché, ancora, interi gruppi di specie affini sembrano, benché questa apparenza sia spesso falsa, essere sorti all’improvviso nelle fasi geologiche successive? Sebbene oggi sappiamo che gli esseri viventi apparvero su questa terra in un periodo incalcolabilmente remoto, molto prima del depositarsi di strati inferiori del sistema cambriano, perché non troviamo sotto questo sistema grandi cumuli di strati contenenti i resti degli antenati dei fossili del cambriano? Infatti, in base a questa teoria, tali strati devono essere stati depositati da qualche parte in quelle epoche lontane e completamente sconosciute della storia della terra.

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Origine delle specie… • 15. Ricapitolazione e conclusione (a8)

  •  D a r w i n  (1 8 5 9,  1 8 7 2⁶)  •  15.  R i c a p i t o l a z i o n e  e  c o n c l u s i o n e  •  √en

Poiché, secondo la teoria della selezione naturale, deve essere esistito un interminabile numero di forme intermedie, colleganti assieme tutte le specie di ciascun gruppo per mezzo di gradazioni così minute come lo sono le nostre attuali varietà, ci si può domandare perché non vediamo intorno a noi queste forme di connessione. Perché gli esseri viventi non sono mescolati assieme in un caos inestricabile? Riguardo alle forme esistenti, dobbiamo ricordare che non abbiamo nessuna ragione di aspettarci di trovare (salvo rari casi) legami ‹diretti› di connessione fra loro, ma soltanto fra ciascuna di esse e qualche forma estinta o soppiantata. Persino su una vasta superficie che è rimasta continua per un lungo periodo, e in cui il clima e le altre condizioni di vita cambiano insensibilmente passando da un distretto occupato da una specie a un altro distretto occupato da una specie strettamente affine, non abbiamo nessun giusto motivo di aspettarci di trovare spesso varietà intermedie nelle zone intermedie. Infatti abbiamo ragione di credere che solo poche specie di un genere subiscono cambiamenti; mentre le altre specie si estinguono completamente e non lasciano discendenti modificati. Delle specie che cambiano, solo poche nello stesso paese cambiano nello stesso tempo; e tutte le modificazioni si effettuano lentamente. Ho anche dimostrato che le varietà intermedie, che probabilmente esistevano dapprima nelle zone intermedie, sono soggette a essere soppiantate dalle forme affini dell’una o dell’altra parte; infatti queste ultime, esistendo in più gran numero, si sono generalmente modificate e migliorate più rapidamente delle varietà intermedie, che esistevano in numero inferiore; cosicché le varietà intermedie, a lungo andare, sono state soppiantate e sterminate.

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Origine delle specie… • 15. Ricapitolazione e conclusione (a7)

  •  D a r w i n  (1 8 5 9,  1 8 7 2⁶)  •  15.  R i c a p i t o l a z i o n e  e  c o n c l u s i o n e  •  √en

Per quanto riguarda la distribuzione geografica, le difficoltà che sorgono contro la teoria della discendenza con modificazioni sono assai serie. Tutti gli individui della stessa specie e tutte le specie dello stesso genere, o persino di un più elevato gruppo, discendono da comuni progenitori; e quindi, per quanto distanti e isolati siano i punti del globo su cui essi possano attualmente trovarsi, essi devono, nel corso di generazioni successive, essersi spostati da un solo punto in tutti gli altri. Noi siamo sovente incapaci anche di fare congetture sul come questo può essere avvenuto. Eppure, poiché abbiamo ragione di credere che alcune specie abbiano conservato la stessa forma specifica per periodi molto lunghi di tempo — immensamente lunghi se contati in anni — non dobbiamo attribuire troppa importanza alla grande diffusione occasionale della stessa specie; poiché durante periodi molto lunghi vi sarà sempre stata una possibilità di ampia migrazione con modalità diverse. Una serie spezzata, o interrotta, spesso si può spiegare con l’estinzione della specie nelle regioni intermedie. Non si può negare che è ancora molto grande la nostra ignoranza circa la piena portata dei vari cambiamenti climatici e geografici che si sono verificati sulla terra nei periodi moderni; e tali cambiamenti avranno spesso facilitato la migrazione. Come esempio ho cercato di dimostrare quanto imponente sia stata l’influenza del periodo glaciale sulla distribuzione di una stessa specie e di specie affini nel mondo. Profonda è tuttora la nostra ignoranza dei molti occasionali modi di trasporto. Relativamente alle specie distinte di uno stesso genere che abitano regioni distanti e isolate, poiché il processo di modificazione è stato necessariamente lento, tutti i modi di migrazione saranno stati possibili in un periodo molto lungo; e conseguentemente la difficoltà dell’ampia diffusione delle specie dello stesso genere è in qualche misura attenuata.

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Origine delle specie… • 15. Ricapitolazione e conclusione (…a6a)

  •  D a r w i n  (1 8 5 9,  1 8 7 2⁶)  •  15.  R i c a p i t o l a z i o n e  e  c o n c l u s i o n e  •  √en

[⇐]   Questo non accade, o accade in misura molto piccola, nelle nostre produzioni domestiche che sono state esposte a lungo a condizioni fluttuanti. Perciò, quando constatiamo che gli ibridi prodotti dall’incrocio fra due specie distinte sono poco numerosi, a causa della morte intervenuta subito dopo il concepimento o a un’età molto precoce, e che, se sopravvivono, essi sono resi più o meno sterili, sembra molto probabile che questo risultato sia dovuto al fatto che, in quanto combinazione di due organizzazioni diverse, essi sono stati in effetti sottoposti a un grande cambiamento nelle loro condizioni di vita. Chi spiegherà in modo definitivo perché, ad esempio, un elefante o una volpe non si riproducono in stato di cattività nel loro paese d’origine, mentre il maiale o il cane domestico si riproducono liberamente nelle più disparate condizioni, sarà al tempo stesso in grado di dare una risposta definitiva alla domanda: perché due specie distinte, se incrociate, così come la loro discendenza ibrida, sono generalmente rese più o meno sterili, mentre due varietà domestiche incrociate e i loro discendenti ibridi sono perfettamente fecondi.

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Origine delle specie… • 15. Ricapitolazione e conclusione (a6…)

  •  D a r w i n  (1 8 5 9,  1 8 7 2⁶)  •  15.  R i c a p i t o l a z i o n e  e  c o n c l u s i o n e  •  √en

Una doppia e parallela serie di fatti sembra portare molta luce sulla sterilità delle specie al loro primo incrocio, e della loro discendenza ibrida. Da una parte, si hanno buone ragioni per credere che leggeri cambiamenti nelle condizioni di vita conferiscano vigore e fertilità a tutti gli esseri viventi. Sappiamo anche che un incrocio fra individui distinti della stessa varietà e fra varietà diverse aumenta il numero dei discendenti, e certamente dà loro accresciute dimensioni e vigore. Ciò dipende principalmente dal fatto che le forme incrociate sono state esposte a condizioni di vita in qualche modo differenti; infatti ho potuto accertare con una laboriosa serie di esperimenti che, se tutti gli individui della stessa varietà sono esposti per diverse generazioni alle stesse condizioni di vita, il risultato positivo dell’incrocio è spesso molto diminuito o scompare del tutto. Questo è un aspetto della questione. D’altra parte, vediamo che le specie lungamente esposte a condizioni quasi uniformi, se allo stato di cattività sono sottoposte a nuove e grandemente mutate condizioni di vita, muoiono o, se sopravvivono, sono rese sterili, pur conservando una perfetta salute.   [⇒]

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Origine delle specie… • 15. Ricapitolazione e conclusione (a5)

  •  D a r w i n  (1 8 5 9,  1 8 7 2⁶)  •  15.  R i c a p i t o l a z i o n e  e  c o n c l u s i o n e  •  √en

Sebbene molti autori abbiano sostenuto che la fecondità degli incroci fra varietà e della loro prole meticcia è universale, ciò non può considerarsi del tutto esatto dopo i fatti presentati da fonti altamente autorevoli come Gärtner e Kölreuter. La maggior parte delle varietà sulle quali è stato sperimentato sono state prodotte allo stato domestico; e poiché la domesticazione (non intendo solo l’isolamento) tende quasi certamente a eliminare quella sterilità che, a giudicare per analogia, avrebbe colpito l’incrocio fra le specie progenitrici, non dobbiamo aspettarci che la domesticazione provochi parimenti la sterilità nell’incrocio dei loro discendenti modificati. Questa eliminazione della sterilità sembra derivare dalla stessa causa che permette ai nostri animali domestici d’incrociarsi liberamente nelle condizioni più diverse; e questo, ancora, sembra derivare dal fatto che essi sono stati gradualmente abituati a frequenti cambiamenti delle condizioni di vita.

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Origine delle specie… • 15. Ricapitolazione e conclusione (a4)

  •  D a r w i n  (1 8 5 9,  1 8 7 2⁶)  •  15.  R i c a p i t o l a z i o n e  e  c o n c l u s i o n e  •  √en

In relazione alla pressoché universale sterilità delle specie al primo incrocio, che costituisce un così considerevole contrasto con la pressoché universale fecondità degli incroci fra varietà, devo rinviare il lettore al riassunto dei fatti, presentato alla fine del nono capitolo, che mi sembrano provare in modo conclusivo che tale sterilità non è una speciale proprietà innata più che non lo sia l’incapacità d’innesto di due generi distinti di alberi, ma che essa dipende da differenze circoscritte ai sistemi riproduttivi delle specie incrociate. Vediamo la verità di questa conclusione nella grande differenza dei risultati degli incroci reciproci fra due specie, quando cioè una specie è usata dapprima come padre e poi come madre. Analoghe considerazioni per le piante dimorfiche e trimorfiche conducono chiaramente alla stessa conclusione, poiché, quando le forme sono illegittimamente unite, esse producono pochi o punti semi, e la loro discendenza è più o meno sterile; e queste forme appartengono indubbiamente alla stessa specie, e non differiscono l’una dall’altra se non per gli organi riproduttori e per le loro funzioni.

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Origine delle specie… • 15. Ricapitolazione e conclusione (a3)

  •  D a r w i n  (1 8 5 9,  1 8 7 2⁶)  •  15.  R i c a p i t o l a z i o n e  e  c o n c l u s i o n e  •  √en

È senza dubbio estremamente difficile persino immaginare attraverso quali gradazioni molte strutture si siano perfezionate, più specialmente tra gli interrotti e lacunosi gruppi di esseri viventi che hanno subìto enormi estinzioni; ma in natura osserviamo tante strane gradazioni, che dovremmo essere estremamente cauti ad affermare che un organo o un istinto, o un’intera struttura, non possono aver raggiunto il loro stato attuale attraverso numerose tappe graduali. Vi sono, bisogna riconoscerlo, casi di speciale difficoltà opposti alla teoria della selezione naturale; e uno dei più curiosi è l’esistenza, nella stessa comunità di formiche, di due o tre caste definite di operaie o femmine sterili; ma ho cercato di dimostrare come queste difficoltà possano essere sormontate.

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Origine delle specie… • 15. Ricapitolazione e conclusione (a1-2)

  •  D a r w i n  (1 8 5 9,  1 8 7 2⁶)  •  15.  R i c a p i t o l a z i o n e  e  c o n c l u s i o n e  •  √en

Poiché tutto questo volume è una lunga argomentazione, per il lettore può essere conveniente ricapitolare brevemente i principali fatti e deduzioni.

Non nego che si possano sollevare molte e serie obiezioni alla teoria della discendenza con modificazioni attraverso la variazione e la selezione naturale. Ho cercato di dare a queste tutta la loro forza. A prima vista niente può sembrare più difficile del credere che i più complessi organi e istinti si siano perfezionati non con mezzi superiori, sebbene analoghi, alla ragione umana, ma per l’accumulazione di innumerevoli lievi variazioni, ciascuna utile al loro possessore individuale. Ciononostante, questa difficoltà, per quanto insuperabilmente grande possa apparire alla nostra immaginazione, non può considerarsi reale, se ammettiamo le seguenti proposizioni, cioè: che tutte le parti dell’organizzazione e gli istinti presentano, almeno, differenze individuali; che c’è una lotta per l’esistenza, che conduce alla conservazione delle profittevoli deviazioni della struttura o dell’istinto; e, infine, che gradazioni nello stato di perfezione di ciascun organo possono esser esistite, ciascuna buona nel suo genere. La verità di queste proposizioni credo non possa essere discussa.

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Pandora, 2021·04·03 • Il sacro, la morte e la storia… (21)

  •  I a c a r e l l a  (2 0 2 1)  •  … t r a  E l i a d e  e  d e  M a r t i n o  •

La ripubblicazione, oggi, di ‹Morte e pianto rituale› può essere però occasione di un proficuo ripensamento. «È l’elaborazione del lutto […] che permette, separandosi dal passato, di vivere il presente. È l’elaborazione del lutto che permette di vivere il presente come attimo vitale», di vivere il «tempo dell’uomo (come vissuto e come storia)» [35]. Quella che l’antropologia demartiniana propone è una storia in cui esserci tutti da uomini, una storia da plasmare e riplasmare attraverso l’ethos del trascendimento. La proposta eliadiana, al contrario, sembra riproporre la staticità di un tempo circolare al quale fare ritorno, l’impossibilità di un movimento di liberazione umana. Le due diverse prospettive sono fautrici, in chiave politica, di un opposto sguardo sull’uomo e sul mondo: il tempo sospeso del sacro, con le sue fantasticherie immortaliste, promuove un’abolizione della nozione di storia e, di conseguenza, invalida in partenza ogni opzione trasformativa sul reale. Che questa prospettiva, debitamente camuffata e riadattata, sia stata quella maggiormente adottata dalle controculture giovanili degli anni Sessanta può forse aiutare a comprendere le ragioni di un’azione che non ha saputo farsi concretamente politica, ma anzi ha consumato la sua parabola passando dalla contestazione dell’istituzione al farsi istituzione essa stessa. Ma se la battaglia culturale è stata vinta, nei decenni scorsi, dal pensiero di Eliade, forse oggi i tempi sono maturi per una riscoperta di quello di de Martino. Una nuova antropologia in cui la crisi e il suo creativo superamento siano posti come fondamento dell’umano agire nel mondo. Della riscoperta di un tale pensiero progressivo si sente, oggi, sempre più l’esigenza.

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NOTE
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[35]. N. Lalli, “Il sacro, l’‹homo religiosus› e la morte”, cit., p. 59.

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Pandora, 2021·04·03 • Il sacro, la morte e la storia… (19-20)

  •  I a c a r e l l a  (2 0 2 1)  •  … t r a  E l i a d e  e  d e  M a r t i n o  •

La riflessione ultima di de Martino, ha scritto Carla Pasquinelli, «segna la morte del sacro»: l’«ethos del trascendimento diventa la forma attraverso cui l’uomo accetta di stare nella storia in una maniera che non sia pura ripetizione e imitazione del passato» [31]. All’ethos spetta il compito di fondare la presenza, ma al tempo stesso di plasmare un mondo in cui essa possa darsi [32].

Com’è noto, de Martino provò a mettere a frutto questa sua concezione progressiva dell’essere umano e della società in una concreta azione politica: dopo la giovanile infatuazione per la “religione civile” fascista, si avvicinò al Partito d’azione e partecipò attivamente alla Resistenza, con il Partito italiano del lavoro, fu poi segretario di federazione, in Puglia, per il Psi e infine aderì al Pci [33]. Da queste esperienze politiche uscì sempre deluso, vivendo una profonda solitudine umana e di pensiero. Come ha scritto ancora Pasquinelli: «De Martino è solo, perché non c’è nessuno che capisca quello che dice, nessuno che riesca a interpretare il suo linguaggio cifrato, nessuno in grado di fargli da sponda e rimandargli un’immagine minimamente corrispondente allo stato della sua riflessione» [34].

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NOTE
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[31]. C. Pasquinelli, “Trascendenza ed ethos del lavoro. Note su La fine del mondo di Ernesto de Martino”, ‹La ricerca folklorica›, n. 9 (1984), p. 34.

[32]. Ivi, p. 33.

[33]. Su questi temi, vedi in particolare: E. Andri, ‹Il giovane Ernesto de Martino. Storia di un dramma dimenticato›, Transeuropa, Massa 2014; R. Ciavolella, ‹L’etnologo e il popolo di questo mondo. Ernesto de Martino e la Resistenza in Romagna (1943-1945)›, Meltemi, Milano 2018; V. S. Severino, “Ernesto de Martino nel Pci degli anni Cinquanta tra religione e politica culturale”, ‹Studi Storici›, n. 2 (2003), pp. 527-553.

[34]. C. Pasquinelli, “Solitudine e inattualità di Ernesto de Martino”, in C. Gallini, M. Massenzio (a cura di), ‹Ernesto de Martino nella cultura europea›, Liguori, Napoli 1997, p. 295.

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Pandora, 2021·04·03 • Il sacro, la morte e la storia… (18)

  •  I a c a r e l l a  (2 0 2 1)  •  … t r a  E l i a d e  e  d e  M a r t i n o  •

Di fronte ai canti popolari sulle nascite e infanzie miserande, de Martino avverte che sarebbe sbagliato ricollegarle al ‹Geworfenheit› heideggeriano [sic!], alla deiezione. Il problema non è quello esistenzialista, «di cercare dei complementi teologici al non starci nel mondo, ma – semplicemente – di trasformare il mondo per starci tutti da uomini» [28]. L’esserci nel mondo dunque non è puro negativo, come voleva Heidegger, ma non è neppure datità indiscutibile [29]: è una lotta continua di affermazione di sé. Nel fare questa scoperta, de Martino pone due principi alla base dell’umano: crisi della presenza come momento negativo, di labilità, del quale analizza la risoluzione che storicamente se ne è data in chiave mitico-rituale; ed ethos del trascendimento, come proposta di una prassi trasformativa e valorizzante connaturata all’uomo nel suo agire nel mondo e nei rapporti. Risulta quindi chiaro quando scrive che il «fondamento dell’umana esistenza non è l’essere ma il dover essere, cioè quello slancio valorizzatore intersoggettivo della vita» [30].

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NOTE
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[25]. E. de Martino, “Fenomenologia religiosa e storicismo assoluto”, ‹Studi e materiali di storia delle religioni›, 24-25 (1953-1954), pp. 18-19.

[…]

[27]. Id., “Etnologia e cultura nazionale negli ultimi dieci anni”, ‹Società›, n. 3 (1953), pp. 17-18.

[28]. Ivi, p. 14.

[29]. Id. (1977), ‹La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali›, a cura di Clara Gallini, Einaudi, Torino 2002, pp. 639-640.

[30]. Id., ‹La fine del mondo›, cit., p. 668.

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Pandora, 2021·04·03 • Il sacro, la morte e la storia… (17)

  •  I a c a r e l l a  (2 0 2 1)  •  … t r a  E l i a d e  e  d e  M a r t i n o  •

La storia umana è dunque, per de Martino, storia di evoluzione e trasformazione. Non è e non può essere pensata come ritorno indietro, ciclico ripresentarsi di situazioni già date, né a livello collettivo, né tanto meno a livello individuale. Questo è invece quanto, di fondo, proponevano coloro che erano da lui criticati come irrazionalisti, da van der Leeuw a Eliade stesso. Essi erano definiti dall’etnologo come fautori della ripetizione e portatori di una «fobia della prima volta» e del nuovo [27]. Il pensiero demartiniano, fondendo altezze teoriche e consapevolezza politica, afferma che la storia è tale solo in quanto storia umana, incarnata e trasformativa. E l’uomo non è riproposizione di categorie spirituali o proiezioni extramondane, la lotta per la presenza lo qualifica interamente.

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NOTE
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[25]. E. de Martino, “Fenomenologia religiosa e storicismo assoluto”, ‹Studi e materiali di storia delle religioni›, 24-25 (1953-1954), pp. 18-19.

[…]

[27]. Id., “Etnologia e cultura nazionale negli ultimi dieci anni”, ‹Società›, n. 3 (1953), pp. 17-18.

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Pandora, 2021·04·03 • Il sacro, la morte e la storia… (16)

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Il rischio di non esserci è studiato da de Martino inizialmente nelle culture tradizionali, in cui erano operanti istituti magici, ma è da subito presentato in una dimensione più universale. La crisi della presenza si verifica in tutti quei «momenti critici» dell’esistenza in cui si manifesta il divenire: da quelli più legati al rapporto uomo-natura (le difficoltà incontrate dall’agricoltore o dal cacciatore), a quelli più squisitamente esistenziali, i «rapporti sessuali» e la «crisi della pubertà», il «rapporto con lo straniero», la «guerra alla malattia e alla morte» [25]. In tutti questi momenti, scrive l’etnologo, «la storicità sporge […], il compito umano di “esserci” è direttamente e irrevocabilmente chiamato in causa, qualche cosa di decisivo accade o sta per accadere, costringendo la stessa presenza ad accadere, a sporgere a se stessa, a impegnarsi e a scegliere» [26].

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NOTE
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[25]. E. de Martino, “Fenomenologia religiosa e storicismo assoluto”, ‹Studi e materiali di storia delle religioni›, 24-25 (1953-1954), pp. 18-19.

[26]. Ivi, p. 19.

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Pandora, 2021·04·03 • Il sacro, la morte e la storia… (14-15)

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Credo sia già evidente la distanza che intercorre tra la proposta demartiniana e quella eliadiana. La morte, come dato biologico inevitabile e ateisticamente riconosciuto, che esige però una risposta vitale umana, è al centro del pensiero dell’etnologo. Il sacro eliadiano opera invece una vera e propria rimozione del concetto.

Questa diversa prospettiva porta ovviamente i due autori all’edificazione di un’antropologia, e dunque a una concettualizzazione della storia, radicalmente opposta. Parlare di morte ha, seguendo la ricerca di de Martino, un senso più ampio: ha il valore di considerare a fondamento dell’esperienza umana lo sforzo di oltrepassamento di ogni momento critico, che impone all’uomo una separazione da quanto si è stato e una necessaria riproposizione in termini nuovi del proprio ‹esserci›. La presenza nel mondo come essere umano dotato di senso non è dunque un dato acquisito una volta per tutte, ma una sfida trasformativa continua.

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Pandora, 2021·04·03 • Il sacro, la morte e la storia… (13)

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L’etnologo pone così come centrale non una dimensione del sacro aprioristica, connotata come negazione della morte, bensì l’esigenza umana di elaborazione del lutto, evidenziando le diverse declinazioni culturali che questa assume. Nella prospettiva demartiniana la dimensione essenziale e universale può essere allora indicata proprio nello sforzo di superamento del momento critico della morte attraverso l’attribuzione al defunto di una “seconda morte”, culturalmente connotata, che permetta al singolo di portare a compimento un processo di separazione.
Nella morte della persona cara siamo perentoriamente chiamati a farci procuratori di morte di quella stessa morte, sia destinando ad una nuova riplasmazione formale la somma di affetti, di comportamenti, di gratitudini, di speranze e di certezze che l’estinto mobilitò in noi finché fu in vita, sia facendo nostra e continuando ad accrescere nell’opera nostra la tradizione di valori che l’estinto rappresenta. Indipendentemente dalla situazione luttuosa come tale, ‹è appunto questa la varia fatica che ci spetta in ogni momento critico dell’esistenza, che è sempre un attivo far passare nel valore, e quindi un rinunziare e un perdere, un distacco e una morte, e al tempo stesso una opzione per la vita[24].

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NOTE
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[24]. E. de Martino, ‹Morte e pianto rituale›, cit., pp. 8-9 (corsivo mio).

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Pandora, 2021·04·03 • Il sacro, la morte e la storia… (12)

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Credo sia opportuno a questo punto introdurre il secondo protagonista della nostra trattazione, Ernesto de Martino, chiarendo le ragioni di questa opposizione tra le due figure. Come ha notato lo psichiatra Nicola Lalli, il sacro, che abbiamo visto essere la dimensione essenziale dell’essere umano per Eliade, è un meccanismo che «si è sviluppato nel corso dell’evoluzione dell’uomo come difesa contro l’angoscia dell’evento morte» [23]. Si tratterebbe però, per l’appunto, di un «meccanismo difensivo». In ‹Morte e pianto rituale›, de Martino sottopone ad analisi i processi culturalmente definiti di elaborazione del lutto, in particolare l’istituto del cosiddetto pianto rituale, ricollegando le forme residuali da lui studiate in Basilicata con il lamento funebre praticato nelle società agricole del Mediterraneo antico.

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NOTE
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[23]. N. Lalli, “Il sacro, l’‹homo religiosus› e la morte”, ‹Il sogno della farfalla›, 2 (1993), p. 43.

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Pandora, 2021·04·03 • Il sacro, la morte e la storia… (11)

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Dopo la fine della guerra, Eliade dovrà faticare non poco per far “dimenticare” questo passato ma, come visto, il suo seguito di studioso fu infine estremamente ampio. Quello che appare non questionabile è, però, che anche in questa seconda fase della sua vita Eliade resterà profondamente legato alle sue convinzioni giovanili. Le traslerà, certo, su un piano altro, in apparenza puramente accademico. Ma l’«avversione […] per la storia, considerata come una dimensione inessenziale» [19], e il tentativo di porre il sacro come apriori umano resteranno delle costanti del suo pensiero. Il suo antistoricismo militante prende la forma di un pessimismo «“esistenziale”» che si «sostanzia nella “nostalgia” del tempo perduto delle origini, nel dolore del ritorno che non ritorna elevato a categoria dello spirito, nell’anelito verso una irraggiungibile condizione aurorale impregnata di quella sacralità» ormai irrintracciabile nel mondo moderno [20]. Non una semplice storia delle religioni in ottica comparativa, dunque, ma un preciso progetto culturale e politico. Come ebbe a dire Pettazzoni in un appunto: «Eliade è un cripto-teologo cristiano (ortodosso)», «le sue teofanie implicano un destino trascendente che si rivela» [21]. Non stupisce che, essendosi nutriti di un tale antistoricismo, veicolato anche da altri autori, i giovani ‹hippyes› [sic!] americani abbiano rinunciato a qualsiasi ipotesi di un’azione realmente trasformativa sul reale, limitandosi all’adozione di nuovi vangeli antimoderni (vedi le prospettive sciamaniche di personaggi come Michael Harner e Carlos Castaneda) [22].

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NOTE
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[19]. M. Carloni, “L’archivista del sacro”, in E. Cioran, M. Eliade, ‹Una segreta complicità›, cit., p. 289.

[20]. A. Testa, “Estasi e crisi. Note su sciamanesimo e pessimismo storico in Eliade, de Martino e Lévi-Strauss”, in L. Arcari, A. Saggioro, ‹Sciamanesimo e sciamanesimi. Un problema storiografico›, Edizioni Nuova Cultura, Roma 2015, p. 109.

[21]. Cit. in: L. Arcari, “‹Chamanisme› di Mircea Eliade alla prova della comparazione. L’assenza del profetismo ebraico antico”, in L. Arcari, A. Saggioro, ‹Sciamanesimo e sciamanesimi›, cit., p. 81.

[22]. Vedi, ancora: S. Botta, ‹Dagli sciamani allo sciamanesimo›, cit., pp. 119-135.

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Pandora, 2021·04·03 • Il sacro, la morte e la storia… (10)

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Sebbene la messa in relazione dell’elaborazione teorica di un pensatore con le sue esperienze politiche e di vita sia sempre una questione problematica [15], nel caso di Eliade questo nesso sembra irrinunciabile per comprendere a fondo le basi della sua prospettiva. Nella sua militanza giovanile nella natìa Romania, lo studioso aveva abbracciato pienamente la proposta politica di Codreanu e della Guardia di ferro, organizzazione fascista e antisemita. A sedurlo, secondo Alexandra Laignel-Lavastine, era stato «il fatto che il fascismo si presenta[va] come “rinascita spirituale” e rivoluzione cristiana, una rivoluzione “ascetica e virile” dirà nel 1937» [16]. La studiosa ha accuratamente ricostruito la parabola giovanile dello storico delle religioni attraverso l’analisi di articoli, lettere, discorsi: ne emerge quella che l’autrice definisce una figura di un «tipico rappresentante» del «‹fascismo spirituale›» [17]. Giudeofobico, profondamente razzista e nazionalista, antiparlamentarista, Eliade vedeva nell’affermazione di un regime totalitario di stampo cristiano l’unica possibile salvezza, in senso politico ed escatologico, della nazione romena e del mondo tutto. Questi ideali lo studioso continuerà a perseguirli apertamente, prima attraverso l’appoggio al regime di Ion Antonescu, e poi nella celebrazione della dittatura salazarista in Portogallo (dove fu impiegato come consigliere culturale dell’ambasciata durante il conflitto mondiale) [18].

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NOTE
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[15]. Su questo, si vedano gli spunti in: P. Gramigni, “Prefazione”, in A. F. Iannaco, ‹Hegel in viaggio da Atene a Berlino. La crisi di ipocondria e la sua soluzione›, L’asino d’oro edizioni, Roma 2021, pp. XVII-XVIII.

[16]. A. Laignel-Lavastine, ‹Il fascismo rimosso: Cioran, Eliade, Ionesco. Tre intellettuali rumeni nella bufera del secolo›, Utet, Torino 2008, p. 150.

[17]. Ivi, p. 178.

[18]. Vedi: M. Eliade, ‹Diario portoghese›, Jaca Book, Milano 2009.

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Pandora, 2021·04·03 • Il sacro, la morte e la storia… (9)

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Nessuno stupore che questa mistica ad uso dell’uomo contemporaneo, che aveva però tutti i crismi dall’accademia, facesse presa sui movimenti controculturali giovanili, statunitensi in modo particolare. Lo yoga, lo sciamanesimo, la nostalgia delle origini: «Le lezioni americane di Eliade […] suscitarono […] grande entusiasmo giacché fornivano un linguaggio scientifico fondato su una condivisa proposta antimoderna» e irrazionalista [14]. La sua aspirazione di essere letto da poeti e artisti poteva dirsi raggiunta.

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NOTE
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[13]. S. Botta, ‹Dagli sciamani allo sciamanesimo›, cit., p. 112.

[14]. Ivi, p. 118.

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Pandora, 2021·04·03 • Il sacro, la morte e la storia… (8)

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Qui si consuma il salto, che Eliade compie, dal prodotto scientifico a quello letterario a larga diffusione, che però sottende un preciso progetto teologico-politico. «Mi piacerebbe che questo libro fosse letto dai poeti, dai drammaturghi, dai critici letterari» [10], scriveva il pensatore romeno nel giugno del 1949 a proposito di ‹Le chamanisme›. Come ha osservato Sergio Botta, la concettualizzazione eliadiana, generalizzante e decontestualizzante, di nozioni come quella di sciamanesimo «emergeva dunque anche nella sua qualità di prodotto letterario», ambendo di fatto a «tracciare una via estetica capace di rinnovare la funzione arcaica e originaria della poesia per riconsegnarla all’uomo contemporaneo» [11]. Questa creatività sciamanica avrebbe permesso anche all’uomo delle società industriali di nutrire la propria “nostalgia delle origini” [12], accarezzando il sogno di un ritorno a un tempo paradisiaco ormai perduto. Per Eliade, «la nostalgia del Paradiso non era […] appannaggio esclusivo dei mistici, ma dell’umanità intera»: la sua proposta, politica e di studioso a un tempo, si nutriva del desiderio di offrire una strada per l’abolizione della «condizione umana attuale – il Tempo e la Storia – per ritrovare una beatitudine primordiale» [13].

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NOTE
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[10]. M. Eliade, ‹Giornale›, Bollati Boringhieri, Torino 1976, p. 78.

[11]. S. Botta, ‹Dagli sciamani allo sciamanesimo. Discorsi, credenze, pratiche›, Carocci, Roma 2018, p. 112.

[12]. Vedi: M. Eliade, ‹La nostalgia delle origini. Storia e significato nella religione›, Morcelliana, Brescia 2000.

[13]. S. Botta, ‹Dagli sciamani allo sciamanesimo›, cit., p. 112.

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Pandora, 2021·04·03 • Il sacro, la morte e la storia… (7)

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Come ha ben sintetizzato in una recente intervista Leonardo Ambasciano, la metodologia eliadiana è «epistemologicamente fondata su assunti extra-scientifici (e perciò di facile presa)» e si fonda su un «‹modus operandi› teologico e finalistico», basato «sul collasso dell’approccio etico su quello emico». Eliade propone dunque una sostanziale indistinzione tra il punto di vista dello studioso e quello dei soggetti studiati, legittimando di fatto in ambito accademico «credenze fideistiche ed ideologiche» [9].

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NOTE
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[9]. E. Manera, “L’eredità di Eliade. Intervista a Leonardo Ambasciano”, ‹Doppiozero›, 12 aprile 2017. Si veda, inoltre: L. Ambasciano, ‹Sciamanesimo senza sciamanesimo. Le radici intellettuali del modello sciamanico di Mircea Eliade: evoluzionismo, psicoanalisi, te(le)ologia›, Nuova cultura, Roma 2014.

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