Questi gruppi di «analisi collettiva», e i molti altri analoghi spuntati un po’ dappertutto in Italia, sono un grosso fenomeno psico-politico, un «sintomo collettivo» che bisognerebbe decifrare. Ma chi può farlo?
Il sociologo? Costui può offrici soltanto degli strumenti empirici, utili per misurare le dimensioni esterne del fenomeno (diffusione di queste pratiche, composizione sociale dei gruppi, età media dei partecipanti, loro identità politica e così via), ma insufficienti a definirne il senso.
Il politico? Il suo sguardo è troppo interessato. Nel migliore dei casi, in questo fenomeno che lo prende di contropiede, egli si sforzerà di cogliere quegli elementi che gli sembreranno funzionali al suo «discorso»: se esprimerà consenso, vi avrà sconto la possibilità di riassorbirlo o di annetterselo; se emetterà un giudizio di condanna, vi avrà visto un segno, per lui minaccioso, di fuga dalla politica.
Lo psicoanalista? I suoi strumenti teorici sono essenziali, ma essendo egli stesso un frammento della «formazione sintomatica» che occorre decifrare, sarà troppo coinvolto nella cosa per poterne parlare col necessario distacco.
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K E Y W O R D S
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