La luce gialla dei lampioni metteva in evidenza silhouettes di donne, vicino al duomo, sottomesse al duomo, accecate dal duomo, quando, tante volte, ormai stavo per rinunciare mi accingevo ad uscire dal labirinto per una strada laterale che tutti conosciamo molto bene: l’indifferenza. Tante volte l’avrei ammazzate quelle donne. Tornavo in me furibondo. Ma poi le loro labbra di velluto succhiavano la mia rabbia; i loro occhi mi ritrascinavano di colpo nel mare di tempesta della nostra relazione amorosa.
Mi curai per sei anni in maniera intensiva con la mia ricerca, per resistere, non soccombere, non impazzire. Poi ancora per altri venti anni. Studiai. Avevo scoperto che non c’era nessun medico che potesse dire che non era amore, era negazione: Non c’era nessun medico che avesse la penicillina.
Ovviamente. Dovevo dire che gli esseri umani sono bellissimi. Ce l’avevo dentro da tanti anni. Ogni volta che mi avvicinavo ognuno mi succhiava le parole dal cuore con dei baci che, caro Luciano, ti auguro di non provare mai. Se fossi un poeta invece che uno psichiatra forse potrei tentare di descrivere i liquidi infuocati che mi scendevano e salivano per il corpo, mescolandosi alle labbra incollate a quelle degli altri, ad un fresco sapore di mentuccia prealpina che fluisce dal respiro degli altri.
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K E Y W O R D S
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