Giorno (24/5/1964) • L’autogoverno li strappa… (a3-4)

  •  M a r t i n i  (1 9 6 4)  •  … a l l a  f o s s a  d e i  s e r p e n t i  •

Ma mi sentivo ugualmente a disagio. Di fronte ad un malato, anche la disinvoltura è una forma di ipocrisia, e io temevo che incontrando qualcuno di «loro» il mio comportamento avrebbe tradito il mio stato d’animo, di timore e istintiva pietà. Ma si trattava di una preoccupazione ormai inutile. Quasi tutte le persone che avevo incontrato fino a quel momento erano membri della Comunità, cioè malati. Me lo rivelò il dottor Fagioli, il giovane direttore, ricevendomi nel suo ufficio.

Da tre anni egli abita, mangia, dorme e lavora, insieme alla moglie che sta per avere un figlio e «senza nessuna precauzione psichiatrica» (un eufemismo per dire: senza celle, infermieri, camicie di forza), in mezzo ai pazienti, e queste cose non gli fanno più effetto. Si, era un malato quel tale che usciva mentre io entravo. E anche quello che mi aveva accompagnato in ascensore. E anche quello, aggiunse, che all’ora di pranzo ritira le medicine in infermeria e le distribuisce si suoi compagni, osservando la nota consegnatagli dal medico. «Certo…» sorrise lo psichiatra all’espressione della mia incredulità. Del resto, se mi fossi trattenuto avrei potuto constatarlo di persona. «E le dirò, in tre anni non è mai successo che un paziente incaricato di questo compito sbagliasse una dose. Come un infermiere, anzi meglio di un infermiere…»

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K E Y W O R D S
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