Libero arbitrio… • 2.5. Determinismo e possibilità di fare… (17)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  2.  L i b e r t à  e  d e t e r m i n i s m o  •

Ma non è solo per i limiti dell’analisi condizionale che negli ultimi anni il compatibilismo è stato sotto attacco. Oggi c’è un’altra, ancor più stringente ragione per rifiutare questa concezione. Questa ragione è rappresentata dal cosiddetto ‹Consequence Argument›.

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Libero arbitrio… • 2.5. Determinismo e possibilità di fare… (16)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  2.  L i b e r t à  e  d e t e r m i n i s m o  •

Anche in questo caso, sono state avanzate proposte sempre più bizantine e remote dall’intuizione del senso comune [45]. Tuttavia, considerando l’intera discussione sull’analisi condizionale, sembra equo il giudizio di un compatibilista quale Bernard Berofsky, che ammette il fallimento di tutti i tentativi di mostrare che in un ambiente deterministico un agente potrebbe fare altrimenti da come di fatto fa: «Con il determinismo» scrive Berofsky, «solo ciò che è può essere» [46].

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[45]. Davidson (1973a) ha proposto un’altra interessante analisi condizionale della possibilità di fare altrimenti, in cui l’enunciato 4 viene sostituito dall’enunciato 4*: «L’agente 𝐴 avrebbe scelto diversamente, se avesse ‹desiderato› scegliere diversamente», in cui il riferimento a una ‹decisione› è rimpiazzato con il riferimento al ‹desiderare› (o al volere) qualcosa. L’idea è che mentre le scelte sono ‹azioni›, il desiderare è uno ‹stato› (o disposizione) in cui l’agente si trova e, in quanto tale, non rimanda a nessun’altra azione che l’agente avrebbe potuto compiere o non compiere; esso dunque, secondo Davidson, non richiede ulteriori analisi condizionali. Tuttavia (come nota Berofsky 2002, p. 186) ai fini della discussione sulla libertà non c’è alcuna differenza pertinente tra l’incapacità ad agire e l’incapacità ad entrare in un certo stato, come quello di desiderare di compiere un’azione. Infatti se qualcuno soffrisse di aracnofobia, non sarebbe nella condizione di rimuovere un ragno da una parete anche se, nel caso lo desiderasse, ‹potrebbe› farlo: la sua fobia gli impedirebbe, infatti, di avere quel desiderio. Dunque, ogni volta che si dice che un agente potrebbe scegliere in un certo modo qualora lo desideri, ci si può chiedere se quella persona possa ‹veramente› avere quel desiderio — e ciò basta ad innescare di nuovo il regresso all’infinito.

[46]. Berofsky (2002, p. 198). Berofsky (1987) propone una versione di compatibilismo incentrata sulla teoria regolaristica delle leggi di natura, in cui la libertà è separata dalla possibilità di fare altrimenti; l’idea di libertà che ne emerge, tuttavia, è a mio giudizio fortemente controintuitiva. Altri compatibilisti che criticano l’analisi condizionale sono Audi (1974) e Lehrer (1976). Si veda inoltre 𝑖𝑛𝑓𝑟𝑎, quarto capitolo, per una discussione di Frankfurt (1969), in cui si argomenta che la possibilità di fare altrimenti non è necessaria per la responsabilità morale.

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Libero arbitrio… • 2.5. Determinismo e possibilità di fare… (15)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  2.  L i b e r t à  e  d e t e r m i n i s m o  •

Questo enunciato vagamente dadaista, però, è a sua volta esposto a controesempi come quello sopra citato (si può immaginare che l’agente 𝐴 si trovi in una condizione psicopatologica che gli impedisce quella metadecisione) e dunque il compatibilista dovrebbe darne un’ulteriore lettura condizionale. Ma ciò ovviamente innescherebbe un regresso all’infinito (da decisioni ad altre decisioni), che ovviamente farebbe fallire il tentativo di fornire una soddisfacente analisi condizionale della possibilità di fare altrimenti.

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Libero arbitrio… • 2.5. Determinismo e possibilità di fare… (14)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  2.  L i b e r t à  e  d e t e r m i n i s m o  •

Contro la congiunzione di 2 e 3, il controesempio dell’appassionato di architettura non fa più presa: infatti, 3 sarebbe falso quanto 1, e dunque sarebbe falsa anche la congiunzione di 2 e 3. Il problema, tuttavia, è che 3 introduce un altro riferimento alla possibilità di fare altrimenti (in questo caso, di ‹decidere› altrimenti), proprio ciò che l’analisi condizionale doveva spiegare. A questo punto, forse, per poter dare conto del significato di ‹questo› enunciato in modo che esso possa essere vero in un universo deterministico, un compatibilista potrebbe tentarne un’altra lettura condizionale. Potrebbe, cioè, tentare di affermare che il senso di 3 è reso dal seguente enunciato:
4. L’agente 𝐴 avrebbe scelto altrimenti, se avesse deciso di scegliere altrimenti.

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Libero arbitrio… • 2.5. Determinismo e possibilità di fare… (12-13)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  2.  L i b e r t à  e  d e t e r m i n i s m o  •

Immaginiamo che l’agente 𝐴 sia amante dell’architettura e stia visitando la cattedrale di Chartres. Gli viene proposto di salire su per una scala molto ripida, fino alla cima del campanile; nulla impedirebbe ad 𝐴 di salire lassù, ‹se così decidesse›: dunque l’enunciato condizionale 2 è vero. Tuttavia, 𝐴 soffre patologicamente di vertigini, al punto che non accetterebbe mai di salire sul campanile; dunque, 𝐴 ‹non› avrebbe potuto decidere diversamente da come ha di fatto deciso. E ciò mostra che 1 è falso, nonostante che 2 sia vero.

Per ottenere un’analisi condizionale che dia condizioni sufficienti per la possibilità di fare altrimenti — per ottenere cioè un enunciato la cui verità sia condizione sufficiente della verità di 1 — occorre congiungere l’enunciato 2 con il seguente enunciato [44]:
3. L’agente 𝐴 ‹avrebbe potuto decidere› altrimenti.

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[44]. La proposta è di Chisholm (1964b).

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Libero arbitrio… • 2.5. Determinismo e possibilità di fare… (11)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  2.  L i b e r t à  e  d e t e r m i n i s m o  •

I compatibilisti hanno tentato di rispondere a questa obiezione offrendo modelli sempre più sofisticati dell’analisi condizionale, ma, al momento almeno, non sembrano aver escogitato soluzioni soddisfacenti [42]. Come detto, questa non è però l’unica critica che viene mossa all’analisi condizionale. Un’altra obiezione tende invece a mostrare come la verità dell’enunciato che esprime l’analisi condizionale non sia condizione sufficiente per la verità dell’enunciato che esprime la possibilità di fare altrimenti [43]. ln quest’ottica può, cioè, accadere che l’enunciato
1. L’agente 𝐴 avrebbe potuto fare altrimenti.
sia falso, mentre è vero l’enunciato
2. Se l’agente 𝐴 avesse deciso di fare altrimenti, avrebbe fatto altrimenti.

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[42]. Interessanti analisi critiche sono in Ayers (1968), M. White (1993), Ciprotti (2003b).

[43]. Campbell (1951), Broad (1952), Chisholm (1964b), Lehrer (1966a), Berofsky (1987 e 2002).

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Libero arbitrio… • 2.5. Determinismo e possibilità di fare… (10)

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Per comprendere questa tesi, si può utilmente modificare un famoso esempio di John Austin [41]. Immaginiamo un’atleta, Giulia, che pratica il salto in alto: molte volte Giulia ha superato i due metri, ma altre volte ha fallito. Alla finale delle Olimpiadi, Giulia tenta i due metri, ma non ce la fa. Avrebbe potuto fare altrimenti? Certo, perché in passato l’ha fatto (dunque l’enunciato 1 è vero). Tuttavia, anche in questa occasione Giulia aveva ‹deciso› di saltare i due metri e tuttavia non ce l’ha fatta: dunque, essendo vero l’antecedente e falso il conseguente, l’enunciato condizionale 2 è falso. Perciò, la sua verità non è condizione necessaria della verità dell’enunciato 1, che esprime la possibilità di fare altrimenti.

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[41]. Cfr. Austin (1961).

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Libero arbitrio… • 2.5. Determinismo e possibilità di fare… (8-9)

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Più specificamente, comunque, le obiezioni all’analisi condizionale sono di due tipi fondamentali. Per il primo tipo di obiezioni, l’analisi condizionale non riesce ad esprimere condizioni ‹necessarie› della possibilità di fare altrimenti; per il secondo tipo, invece, tale analisi non riesce a dare condizioni ‹sufficienti›.

Consideriamo dunque l’accusa secondo la quale la verità dell’enunciato che esprime l’analisi condizionale non è condizione necessaria per la verità dell’enunciato che esprime la possibilità di fare altrimenti [40]. Da ciò segue che l’enunciato che esprime tale possibilità, ovvero:
1. L’agente 𝐴 avrebbe potuto fare altrimenti.
potrebbe essere vero, quand’anche fosse falso il connesso enunciato condizionale:
2. Se l’agente 𝐴 avesse deciso di fare altrimenti, avrebbe fatto altrimenti.

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[40]. Cfr. Foot (1957), Austin (1961), per una brillante analisi di molti aspetti della questione, e Anscombe (1971), che trasforma intelligentemente le critiche all’analisi condizionale in una difesa della compatibilità tra indeterminismo e libertà.

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Libero arbitrio… • 2.5. Determinismo e possibilità di fare… (7)

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Tuttavia, anche se queste analisi certamente approfondiscono la nostra comprensione delle nozioni in gioco in questa discussione, esse si prestano a varie obiezioni. Non sorprenderà allora che intorno ad esse si siano sviluppate serrate polemiche [38]. Sullo sfondo, naturalmente, si oppongono due intuizioni fondamentalmente diverse: secondo i compatibilisti, la nozione di ‘possibilità — o capacità — di fare altrimenti’ rilevante per la libertà ha un senso condizionale («io potrei fare altrimenti ‹se› decidessi di fare altrimenti») [39] mentre per gli incompatibilisti ciò che s’intende con una locuzione del tipo ‘l’agente 𝐴 potrebbe fare altrimenti’ è che ‹categoricamente› (non ‹sub conditione›, ma ‹in quel› momento e ‹in quella› situazione) l’agente potrebbe fare diversamente da come di fatto farà.

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[38]. Austin (1961), Chisholm (1964b), Lehrer (1968), Davidson (1973a), van Inwagen (1975), von Wright (1985). Discussioni generali sono in Kane (1996), Fischer (a cura di) (1986, Introduzione), Watson (1987a, pp. 153-161), Kane (1996, pp. 52-58), Dessi (1997, pp. 41-64), Berofsky (2002). È da notare che alcune critiche contemporanee all’analisi condizionale furono già anticipate da Thomas Reid (cfr. Rowe 1991).

[39]. Ma cfr. 𝑖𝑛𝑓𝑟𝑎, nota 46, per alcune eccezioni a questa regola.

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In seguito la proposta di Moore è stata ulteriormente raffinata. In particolare, sono state rilevate interessanti differenze tra la ‹capacità› di azione e di scelta, da una parte, e l’‹opportunità› o la ‹possibilità› di agire e di scegliere, dall’altra, oppure tra il possesso di una capacità e il suo esercizio [37].

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[37]. Cfr. Kenny (1975), Gert, Duggan (1979), Landucci (1980) e, per un’utile discussione, da una prospettiva non simpatetica con il compatibilismo, Ciprotti (2003a). Le proposte presentate in questi saggi sono interessanti; dubito, però, che siano risolutive. Se, infatti, è giusto sottolineare che la ‹capacità› di agire o di scegliere non è identica alla ‹possibilità› di agire e di scegliere (come pure talora si afferma), è naturale pensare che la seconda sia condizione necessaria della prima. E così rimane aperto il problema di chiarire come vada interpretata in un mondo deterministico la possibilità di agire e di scegliere.

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La proposta humeana fu portata a compimento da George E. Moore, che offrì una compiuta analisi controfattuale della nozione di ‘poter fare altrimenti’. Secondo Moore, l’enunciato «L’agente 𝐴 avrebbe potuto fare altrimenti» ha le stesse condizioni di verità dell’enunciato «Se l’agente 𝐴 avesse deciso di fare altrimenti, ‹avrebbe fatto altrimenti›» [36]. Detto diversamente: l’analisi condizionale intende fornire le condizioni ‹necessarie› e ‹sufficienti› affinché a un agente si possa correttamente attribuire la possibilità di fare altrimenti. Tale lettura condizionale, peraltro, permette di incorporare adeguatamente l’intuizione compatibilistica. Secondo questa intuizione, come abbiamo visto, quando un agente non è vincolato da obblighi e impedimenti (esogeni o endogeni) che gli impediscono di fare quanto vorrebbe fare, allora quell’agente agisce ‹liberamente›. Immaginiamo che un guidatore — non sottoposto a vincoli o costrizioni — si trovi di fronte ad un bivio: in questo caso volta a sinistra, ma ‹se lo avesse desiderato› (giacché non era impedito o costretto) avrebbe potuto girare a destra. Naturalmente, dato che in un quadro compatibilistico si ammette la verità del determinismo, si deve concedere che l’agente era ‹determinato› a voler girare a sinistra e dunque lo ha fatto; ma in senso condizionale egli «avrebbe potuto fare altrimenti» se i suoi desideri fossero stati determinati diversamente; e questo, secondo i compatibilisti, è proprio il senso in cui la ‘possibilità di fare altrimenti’ è rilevante per l’attribuzione della libertà.

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[36]. Moore (1912, cap. 6). Cfr. anche Ayer (1954), Schlick (1930), Nowell-Smith (1954 e 1960). Si noti che, secondo altre analisi, nella clausola condizionale si può sostituire il riferimento a una decisione con quello a una scelta, a un desiderio, a un’intenzione, a un motivo ecc. Cfr. 𝑖𝑛𝑓𝑟𝑎, n. 45, per una di queste proposte alternative.

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Libero arbitrio… • 2.5. Determinismo e possibilità di fare… (3-4)

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Già i primi compatibilisti — da Hobbes e Locke al teologo di Yale Jonathan Edwards a Hume — abbozzarono però un ingegnoso tentativo di soluzione di tale difficoltà, divenuto poi canonico: la cosiddetta ‹analisi condizionale› (o ipotetica) della nozione di ‘poter fare altrimenti’. Nelle ‹Ricerche sull’intelletto umano›, Hume vi allude nella continuazione di un brano già citato:
Per libertà […] possiamo intendere soltanto un potere di agire o non agire, secondo le determinazioni della volontà; ovvero, se scegliamo di rimanere in quiete, possiamo; se scegliamo di muoverci, possiamo ugualmente. Ora, si riconosce universalmente che questa libertà ipotetica appartiene a tutti coloro che non sono prigionieri e in catene [35].

Il punto qui fondamentale è la tesi secondo la quale il concetto di libertà andrebbe interpretato in termini ipotetici («questa libertà ipotetica», scrive Hume) o, per dirla con il gergo metafisico contemporaneo, controfattuali. La libertà, secondo questa lettura, è il potere di agire in accordo con la propria volontà, nel senso che se la nostra volontà fosse diversa, anche le scelte e azioni che essa determina sarebbero diverse.

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[35]. Hume (1748, p. 95).

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Libero arbitrio… • 2.5. Determinismo e possibilità di fare… (2)

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Come detto, ogni concezione della libertà deve dare conto, in qualche modo, di due condizioni fondamentali: deve cioè spiegare in quale senso all’agente si presentino possibilità d’azione alternative e come questi possa autodeterminare le proprie azioni. Come abbiamo constatato, il compatibilismo può facilmente dare conto della seconda condizione: l’agente autodetermina le proprie azioni se esse sono causalmente determinate dalla sua volontà (ovvero da suoi adeguati eventi mentali). Ma come può il compatibilismo dare conto del secondo [sic!] requisito, per il quale un’azione è libera solo nel caso in cui una qualche azione alternativa sia possibile? È questo, evidentemente, il ‹punctum dolens› di ogni concezione compatibilistica: almeno ‹prima facie›, in un universo deterministico parrebbe non esserci alcun posto per l’idea di corsi d’azione alternativi.

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Libero arbitrio… • 2.5. Determinismo e possibilità di fare… (1)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  2.  L i b e r t à  e  d e t e r m i n i s m o  •

Per decenni, come detto, il compatibilismo ha solcato trionfalmente le acque della filosofia angloamericana, rappresentando senz’altro il punto di vista maggioritario, se non egemone, rispetto alla questione della libertà. Il giudizio di Davidson sopra riportato riassumeva in poche righe l’orgoglio del rappresentante di una tradizione filosofica che poteva dirsi sostanzialmente incontrastata. Negli ultimi anni, però, contro il compatibilismo sono stati sviluppati nuovi e potenti argomenti. Ne sono seguiti vasti dibattiti, che hanno comportato una rilevante perdita di consenso per tale concezione [33], al punto che — con entusiasmo polemico forse un po’ eccessivo — un’autorità come Peter van Inwagen ha potuto recentemente sostenere che «oggi il compatibilismo è comunemente considerato implausibile» [34].

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[33]. In funzione anticompatibilistica sono state recentemente presentate anche alcune — molto criticate — interpretazioni basate sul teorema di Gödel (cfr. Lucas 1970 e Penrose 1989).

[34]. Van Inwagen (1997, p. 373). Ted Warfield (1999), un altro difensore del libertarismo, ritiene questo giudizio un po’ troppo drastico. È indubbio però — e anche Warfield lo nota — che negli ultimi anni la maggior parte dei contributi teorici sulla questione del libero arbitrio sono stati offerti da filosofi che difendono l’incompatibilismo libertario. Questo però non vuol dire che molti filosofi analitici non continuino a ritenersi compatibilisti.

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Libero arbitrio… • 2.4. La ‘minaccia’ del determinismo (8)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  2.  L i b e r t à  e  d e t e r m i n i s m o  •

I compatibilisti hanno ragione, a mio giudizio, a sottolineare questi punti. È certamente scorretto antropomorfizzare le leggi di natura o scambiarle con le leggi del diritto oppure confondere il determinismo causale con quello teologico e la necessitazione causale con la necessità logica. La domanda che dobbiamo porci, però, è se una volta concessi tutti questi punti, la questione del rapporto tra determinismo e libertà possa considerarsi risolta. A mio giudizio vi sono ottime ragioni per ritenere che le cose non stiano così.

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Libero arbitrio… • 2.4. La ‘minaccia’ del determinismo (7)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  2.  L i b e r t à  e  d e t e r m i n i s m o  •

In quarto luogo infine, talora accade — come già notava Schlick [31] — che le leggi di natura (che, secondo la lettura humeana, si limitano a ‹descrivere› le uniformità di natura) vengano indebitamente assimilate alle leggi giuridiche (che invece ‹prescrivono›). Se fosse vero che le leggi di natura, al pari di quelle giuridiche, costringono gli agenti ad agire in un certo modo, certo la libertà sarebbe impossibile: la costrizione, infatti, è l’opposto della libertà. Ma così non è: le leggi di natura non ‹costringono› gli agenti ad agire; esse si limitano a rappresentare l’immutabile regolarità con cui certi tipi di fenomeni succedono a certi altri tipi di fenomeni. Così spiega questo punto Kielsen:
Le leggi di natura non sono prescrizioni ad agire in un certo modo. Esse non ci costringono; piuttosto, affermano delle regolarità, delle sequenze [di eventi] ‹de facto› invariabili che sono parte del mondo […]. Un determinista, nell’affermare che A causa B, s’impegna a sostenere che ogni volta che si verifica un evento o un atto del tipo A, si verificherà anche un evento del tipo B. La parte relativa al vincolo o alla costrizione è metaforica. È in ragione della metafora, non del fatto, che si arriva a credere che causazione e libertà siano antitetiche [32].

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[31]. Cfr. Schlick (1930).

[32]. Kielsen (1971, p. 42).

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Libero arbitrio… • 2.4. La ‘minaccia’ del determinismo (6)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  2.  L i b e r t à  e  d e t e r m i n i s m o  •

In terzo luogo, i compatibilisti sottolineano la tipica confusione tra necessitazione causale e necessità logica, che già aveva messo in luce Hume. Gli eventi non accadono di necessità per il mero fatto che essi sono gli effetti di cause deterministiche; al contrario, secondo il determinismo causale, gli eventi accadono ‹condizionatamente› — in quanto sono dati il passato e le leggi di natura — e dunque il loro accadere è necessitato, ma non è necessario [30]. Per questo, secondo i compatibilisti, il determinismo causale non è affatto incompatibile con la libertà.

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[30]. Cfr. 𝑠𝑢𝘱𝑟𝑎, Introduzione, n. 29.

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Libero arbitrio… • 2.4. La ‘minaccia’ del determinismo (5)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  2.  L i b e r t à  e  d e t e r m i n i s m o  •

In secondo luogo, secondo i compatibilisti le ubbie che circondano il determinismo causale derivano dal retaggio influente, ma spesso occulto, delle metafisiche di matrice religiosa. Il problema teologico del libero arbitrio nasceva perché la preveggenza e la provvidenza divine erano percepite come un’oscura e potente minaccia gravante su di noi: e spesso si considera il determinismo come fosse la versione secolare di quegli attributi divini — e dunque come ugualmente minaccioso. Il determinismo, tuttavia, ha una natura del tutto diversa: come è stato spesso notato [28] il determinismo è una ‹tesi empirica› riguardante il carattere regolare delle leggi di natura. Secondo molti, come detto nel primo capitolo, alla luce delle nostre attuali conoscenze possiamo affermare che la tesi deterministica sia ‹approssimativamente› vera e che dunque gli eventi macroscopici in genere, e le nostre azioni in particolare, siano da considerarsi ‘quasi-determinati’ [29]. In nessun modo, però, il determinismo causale richiama le prerogative divine.

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[28]. Berofsky (1971).

[29]. Cfr. Honderich (1988), Bishop (2002).

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Libero arbitrio… • 2.4. La ‘minaccia’ del determinismo (3-4)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  2.  L i b e r t à  e  d e t e r m i n i s m o  •

A parere dei compatibilisti, allora, le «confusioni» (come le chiama Davidson) che inducono a scambiare gli innocui effetti della causazione deterministica con i casi di coercizione, costrizione o compulsione, in cui la libertà è effettivamente assente, sono di varia natura. Quattro, almeno, meritano di essere ricordate.

Una prima fonte di confusione è rappresentata, secondo i compatibilisti, da una tendenza naturale, ma assai fuorviante, ad antropomorfizzare le leggi di natura, quasi che — come nota Dennett — le leggi naturali fossero agenti malvagi, ansiosi di controllarci [27]. Ma ovviamente le leggi non sono agenti, non hanno volontà o desideri e non sono consapevoli di alcunché; dunque non possono esercitare alcun controllo su di noi. Pertanto il determinismo — essendo una tesi riguardante la natura di queste leggi — secondo Dennett non dovrebbe essere percepito come una minaccia.

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[27]. Dennett (1984, cap. 1).

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Libero arbitrio… • 2.4. La ‘minaccia’ del determinismo (1-2)

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Una diversa, e più promettente, strategia in favore del compatibilismo riprende e sviluppa un’acuta indicazione di Hume. L’idea è che per mostrare l’infondatezza dei timori degli incompatibilisti sia sufficiente offrire una corretta analisi della nozione di necessità implicata nel determinismo causale delle leggi di natura.

Secondo questo punto di vista, la causazione deterministica non è affatto l’opposto della libertà, come pretenderebbero i libertari. Il fatto che le nostre azioni discendono deterministicamente dai nostri eventi mentali, che a loro volta sono determinati in accordo con le leggi di natura, non ha nulla a che fare con situazioni come la coercizione di un agente costretto con la violenza ad agire in un certo modo, con la costrizione che deriva a un individuo dal fatto di venire ipnotizzato o con la compulsione prodotta da determinate psicosi. Coercizione, costrizione e compulsione comportano effettivamente la negazione della libertà; ma ciò accade perché in questi casi le azioni non discendono ‹veramente› dalla volontà dell’agente (o dai suoi desideri e dalle sue intenzioni). In una parola, in tutti questi casi non sarebbe corretto dire che le azioni sono sotto il controllo dell’agente e che egli ne porta la responsabilità.

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Libero arbitrio… • 2.3. Libertà d’azione e… di scelta (8)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  2.  L i b e r t à  e  d e t e r m i n i s m o  •

Se concediamo, infatti, che i desideri dell’agente siano determinati dai suoi desideri di secondo livello, dobbiamo chiederci in che modo ciò avvenga. Se essi sono determinati da fattori che sfuggono al controllo dell’agente, siamo di nuovo di fronte al problema posto dagli incompatibilisti: perché dovremmo considerare un agente libero solo perché fa ciò che i suoi metadesideri (che sono eterodeterminati) gli dettano? Alternativamente, si può supporre che i desideri di secondo livello siano determinati da desideri di un livello ancora superiore: ma questa assunzione, evidentemente, innesca la possibilità di un regresso all’infinito. Se, dunque, l’analisi gerarchica può forse essere promettente per indagare la fenomenologia dei processi decisionali [26] non vi possiamo ricorrere nel tentativo di dare plausibilità al compatibilismo.

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[26]. Un altro problema del modello gerarchico è che non appare immediatamente chiaro perché i metadesideri dovrebbero dare conto meglio dei desideri di primo ordine di ciò che l’agente vuole ‹veramente›: cfr. Watson (1987a).

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Libero arbitrio… • 2.3. Libertà d’azione e… di scelta (7)

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Un esempio può essere utile. Immaginiamo che a una persona molto golosa, che ha finalmente deciso di seguire una rigida dieta, vengano offerti dei pasticcini. Il desiderio immediato di questa persona è, naturalmente, di gettarsi a capofitto sul vassoio dei dolcetti; subito, però, interviene un tipo di desiderio più profondo — un desiderio ‘di secondo ordine’, secondo la terminologia di Frankfurt —, ovvero il metadesiderio che la scelta di accettare o meno l’offerta dei pasticcini sia operata sulla base del desiderio di rispettare la dieta. Ciò, naturalmente, ingenera un conflitto di desideri; ma — nota Frankfurt — qualora la persona riesca effettivamente a rifiutare la ghiotta offerta, si potrà dire che lo ha fatto sulla base di un ‹suo› profondo metadesiderio (un desiderio che esprime ciò che l’agente vuole ‹veramente›), e non perché è eterodiretta, come pretendono gli incompatibilisti. Questo suggerimento di Frankfurt è interessante (anche se non è immune da difficoltà interne). Il problema, però, è che ciò non risolve il problema prospettato dagli incompatibilisti, ovvero che il determinismo non sembra lasciare spazio per scelte che siano ‹genuinamente› dipendenti dall’agente.

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Anche oggi i compatibilisti ritengono che la polemica contro il determinismo sia del tutto ingiustificata. A proprio sostegno essi portano vari argomenti, alcuni dei quali meritano di essere menzionati [23]. Il primo si deve al filosofo americano Harry Frankfurt ed è noto con il nome di «analisi gerarchica» [24]. Come abbiamo visto, una tipica obiezione contro il compatibilismo è che tale concezione non lascia spazio sufficiente per la libertà in quanto assume che la volontà o gli eventi mentali rilevanti siano interamente determinati o (come talora si dice con terminologia vagamente inquietante) ‘eterodiretti’. A questa obiezione, Frankfurt risponde con una sottile analisi della struttura motivazionale degli agenti [25]. Nella sostanza, l’idea è che normalmente gli agenti sono in grado di formare ‘desideri di secondo ordine’ (desideri che hanno come oggetto altri desideri) e che la formazione di questa struttura gerarchica di desideri, se anche fosse vero il determinismo, sarebbe ‹autodeterminata› e dunque non si presterebbe all’obiezione di quanti ritengono che il determinismo necessariamente annichilisca la libertà.

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[23]. La celebre risposta di P.F. Strawson a queste obiezioni verrà discussa nel quinto capitolo.

[24]. Frankfurt (1971 e 1987). Per ulteriori sviluppi, si vedano anche Jeffrey (1974), Lehrer (1980), Dworkin (1988), Bratman (1996). Su questo tema, Ekstrom (2000, pp. 74-77) e Haji (2002).

[25]. Per semplicità mi limiterò a considerare i desideri di un agente, ma questa analisi può naturalmente essere raffinata prendendo in considerazione anche altri tipi di eventi mentali, come le volizioni, le preferenze e le credenze.

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Libero arbitrio… • 2.3. Libertà d’azione e… di scelta (4-5)

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Secondo questo punto di vista, insomma, la vera libertà richiede, oltre alla facoltà di agire secondo le determinazioni della volontà, anche la libertà del volere. Ma ciò significa che la volontà ‹deve poter sfuggire alla catena delle cause deterministiche›, che non lasciano nessuno spazio di libertà di scelta, nessuna possibilità di indeterminatezza. Solo quando venga considerata in questo modo — sostengono gli avversari del compatibilismo — la libertà è degna del suo nome.

Questo è, come abbiamo visto nel capitolo precedente, il modo in cui la libertà è concepita dai libertari, secondo i quali essa è ‹inconciliabile› con il determinismo scientifico. Ma per i compatibilisti, una volontà che si autodetermina — che è causa delle proprie scelte, che determina il proprio destino — sfugge per definizione alle leggi di natura e diventa, ‹ipso facto›, una misteriosa eccezione all’ordine del mondo messo in luce dalla scienza. Contro questa concezione, ancora una volta, Voltaire usa l’ironia:
In realtà, sarebbe ben strano che tutta la natura, tutti gli astri obbedissero a delle leggi eterne, e che vi fosse un piccolo animale alto cinque piedi che, a dispetto di queste leggi, potesse agire come gli piace solo in funzione del suo capriccio [22].

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[22]. Voltaire (1766, p. 71).

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Libero arbitrio… • 2.3. Libertà d’azione e… di scelta (3)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  2.  L i b e r t à  e  d e t e r m i n i s m o  •

Tuttavia per gli avversari del compatibilismo è assurdo pensare che le condizioni della libertà discendano dalla volontà dell’agente, ma che ad essa non si applichino, come invece pretendono i compatibilisti. Detto in breve: secondo questa obiezione, la libertà richiede che la volontà ‹si autodetermini›, invece di essere eterodeterminata da condizioni ed eventi esterni. Per convincersene, continuano gli incompatibilisti, basta considerare la nostra esperienza quotidiana: quando la volontà sfugge al controllo dell’agente (ad esempio, quando l’agente è ipnotizzato o afflitto da certe psicopatologie, come la cleptomania), non diciamo certo che le azioni che ne discendono sono libere; piuttosto diremmo che quell’agente si comporta in modo automatico o meccanico. D’altra parte — proseguono gli avversari del compatibilismo —, il quadro che questa concezione prospetta è tale che ‹tutto› pare accadere meccanicamente o automaticamente, e ciò anche per quanto riguarda gli agenti, dato che anche la loro volontà è interamente determinata. Tuttavia la ‹generalità› di tale determinazione non deve impedire di coglierne il senso: la volontà degli agenti è in realtà eterodiretta; dunque non può esservi libertà. Così, ad esempio, scrive Popper:
Il determinismo fisico […] è un incubo perché asserisce che il mondo intero, con tutto ciò che contiene, è un enorme meccanismo e che noi nulla siamo se non piccoli ingranaggi o, al massimo, piccoli sotto-meccanismi [21].

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[21]. Popper (1981, p. 11).

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Libero arbitrio… • 2.3. Libertà d’azione e… di scelta (2)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  2.  L i b e r t à  e  d e t e r m i n i s m o  •

Già i compatibilisti classici, d’altra parte, riconoscevano questo aspetto della loro concezione, ma lo ritenevano un loro punto di forza. Voltaire, ad esempio, citando Locke, sostiene che l’unica libertà possibile è quella relativa all’azione, mentre la presunta libertà della volontà è un’illusione:
[Al] saggio Locke una volontà libera […] sembra una chimera. Egli conosce una sola libertà: il potere di fare quel che si vuole. Il gottoso non ha la libertà di camminare, il prigioniero quella di uscire a passeggio: l’uno è libero quando è guarito, l’altro quando gli viene aperta la porta della prigione [20].

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[20]. Voltaire (1741, p. 215). La posizione voltairiana sul libero arbitrio (che, peraltro, si modificò negli anni) è discussa in Cosili (2000).

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Libero arbitrio… • 2.3. Libertà d’azione e… di scelta (1)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  2.  L i b e r t à  e  d e t e r m i n i s m o  •

Abbiamo visto che, secondo l’impostazione dei compatibilisti, affinché un agente sia libero è sufficiente — e, per molti, anche necessario — che le azioni che egli compie siano causalmente determinate dalla sua volontà (o, secondo le versioni odierne, dai suoi motivi, impulsi o desideri): da questo punto di vista, cioè, un agente è libero in quanto compie le azioni che ‹vuole› o ‹desidera› compiere. D’altra parte, secondo il modello compatibilistico la volontà dell’agente è invece ‹interamente determinata› — ad esempio, da fattori ambientali o dalla nostra educazione o da leggi biologiche o fisiche. In tale scenario (che è poi quello tipico del determinismo), un agente può volere soltanto ciò che vuole, perché la sua volontà è interamente determinata da fattori, come quelli appena elencati, che sono al di fuori del suo controllo (e lo stesso vale, in generale, per tutti gli eventi mentali che occorrono all’agente). La libertà, in definitiva, può essere predicata [sic!] soltanto delle nostre azioni, non della nostra volontà o degli eventi mentali rilevanti per quelle azioni.

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Libero arbitrio… • 2.2. I principi del compatibilismo (9)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  2.  L i b e r t à  e  d e t e r m i n i s m o  •

C’è anche un’altra ragione per cui il passo di Quine rappresenta bene la specificità del compatibilismo contemporaneo: esso non menziona — come invece era tipico in passato — il ruolo della volontà nei processi decisionali che portano all’azione. Come ho detto nel primo capitolo, infatti, dal punto di vista della psicologia, delle scienze cognitive e della filosofia della mente contemporanee, il concetto di volontà è considerato un retaggio della psicologia prescientifica [18]. Non sorprende, allora, che Quine preferisca riferirsi ai «motivi», agli «impulsi» o ai «desideri» che conducono all’azione, ovvero agli eventi mentali causalmente rilevanti per le scelte, le decisioni e le deliberazioni dell’agente [19]. Anche se su questo tema occorrerà dire di più, va detto che la ricaduta di questa innovazione, ai fini della discussione sulla libertà, non è poi così importante. Infatti — che ci si appelli alla funzione della volontà oppure al ruolo giocato da motivi, impulsi e desideri — pregi, limiti e strategie del progetto di coniugare libertà e determinismo sono sostanzialmente gli stessi. Per uniformità e concisione, allora, quando possibile continuerò ad usare il termine ‘volontà’; quanto dirò in quei casi, tuttavia, si applicherà, ‹mutatis mutandis›, anche alle versioni contemporanee del compatibilismo. Per il momento, comunque, dobbiamo considerare una delle più classiche obiezioni mosse contro il compatibilismo, sia nelle versioni classiche sia in quelle contemporanee.

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[18]. Cfr. Wegner (2002).

[19]. Va notato che questi eventi mentali devono essere in qualche misura consci: un agente che agisse sulla base di stati mentali inconsci (ad esempio, in stato di sonnambulismo o sotto l’effetto di patologie compulsive) non compirebbe certo un’azione libera. Inoltre, ovviamente, Quine assume che gli eventi mentali abbiano efficacia causale (di contro alla tesi detta ‹epifenomenismo›).

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Libero arbitrio… • 2.2. I principi del compatibilismo (8)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  2.  L i b e r t à  e  d e t e r m i n i s m o  •

Questa citazione è significativa anche perché (come si evince dalla spavalda dichiarazione secondo la quale il determinismo è «un ideale della ragione pura») implicitamente difende la tesi per cui il determinismo, oltre ad essere compatibile con [+la?] libertà, ne è condizione necessaria. Su questo, la maggior parte dei compatibilisti contemporanei concorda con Quine [16], sebbene non manchino alcune voci dissenzienti [17].

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[16]. La concezione (talora chiamata ‹supercompatibilismo›) secondo la quale non soltanto il determinismo è compatibile con la libertà, ma ne rappresenta anche una condizione necessaria è difesa, ad esempio, da Schlick (1930), Ayer (1954) e Hobart (1934, che porta il significativo titolo ‹Free Will as Involving Determination and Inconceivable without It›).

[17]. Cfr., ad esempio, Dennett (1978), il quale sostiene che l’indeterminismo è ininfluente rispetto alle forme di libertà che veramente ci premono, ma non incompatibile con esse.

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Libero arbitrio… • 2.2. I principi del compatibilismo (7)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  2.  L i b e r t à  e  d e t e r m i n i s m o  •

Nella maggior parte delle sue espressioni, il compatibilismo contemporaneo si richiama a quello tradizionale anche rispetto alle due tesi ulteriori appena enunciate; naturalmente, però, ci sono anche alcune differenze. Così, i compatibilisti contemporanei ripetono la tesi classica secondo la quale il processo che conduce al compimento dell’azione è deterministico-causale, ma non per questo impedisce la libertà; essi, tuttavia, si affrettano ad aggiungere che un tale processo è deterministico in quanto, essendo macroscopico, è sostanzialmente immune dall’indeterminismo quantistico. Così, ad esempio, si esprime Quine:
Come Spinoza, Hume, e moltissimi altri, io ritengo che un atto sia libero nella misura in cui i motivi o gli impulsi dell’agente figurano come anelli della catena casuale (che conduce a quell’atto). Tali motivi o impulsi possono, a loro volta, essere tanto determinati quanto si desidera […]. Sottoscrivere al determinismo tanto pienamente quanto mi sarà consentito dalla fisica quantistica è per me un ideale della ragione pura [15].

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[15]. Quine (1981, p. 11).

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Libero arbitrio… • 2.2. I principi del compatibilismo (6)

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I compatibilisti classici, peraltro, non si limitavano a sostenere che il determinismo non impedisce la libertà, ma aggiungevano due ulteriori tesi. La prima, che abbiamo già discusso nel capitolo precedente, affermava che il determinismo è anche condizione ‹necessaria› della libertà, in quanto la sua alternativa (l’indeterminismo) annichilirebbe la libertà, facendola coincidere con il caso. La seconda tesi è che il determinismo è ‹vero›. In questa prospettiva, non è tanto che siamo liberi ‹anche se› siamo determinati; siamo liberi ‹grazie al fatto› che siamo determinati.

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Libero arbitrio… • 2.2. I principi del compatibilismo (5)

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È essenziale notare che — secondo lo spirito del compatibilismo — così definita, la libertà non è affatto in contraddizione con il determinismo (come accade, invece, quando la libertà è intesa nei termini dei libertari). Secondo questa definizione, infatti, un’azione è libera in quanto è ‹determinata› dalla volontà (non impedita o costretta) dell’agente. La volontà medesima, tuttavia, è a sua volta completamente ‹determinata› da fattori come le esperienze passate dell’agente, l’istruzione che ha ricevuto, l’ambiente circostante o ancora (nelle concezioni più decisamente naturalistiche) dal suo assetto biologico oppure dall’insieme delle variabili fisiche in gioco. In questo modo, non c’è nessuna rottura nella catena deterministica delle cause e degli effetti: la volontà dell’agente è determinata da cause su cui egli non può agire ed essa a sua volta determina, causandole, le azioni che l’agente compie; nondimeno, tali azioni — in quanto discendono dalla sua volontà non costretta né impedita — sono ‹libere›.

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Libero arbitrio… • 2.2. I principi del compatibilismo (4)

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Essere liberi — secondo la versione classica del compatibilismo — equivale a compiere l’azione che si vuole compiere: se io voglio un bicchiere d’acqua, e nulla mi impedisce di prenderlo, allora la mia azione di prendere un bicchiere d’acqua è un’azione libera. In questa prospettiva, tutto ciò che serve per dirci liberi è che le nostre azioni discendano dalla nostra volontà, senza impedimenti o costrizioni. Con le parole di Hume:
Con libertà […] vogliamo significare soltanto ‹un potere di agire o di non agire, secondo le determinazioni della volontà›; ossia che, se preferiamo restar fermi, possiamo; se preferiamo muoverci, egualmente possiamo [14].

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[14]. Hume (1748, p. 147).

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Libero arbitrio… • 2.2. I principi del compatibilismo (3)

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La definizione canonica di libertà offerta dalla tradizione compatibilistica — secondo una proposta prima abbozzata da Hobbes e poi sviluppata da Locke e da Hume [12] — è quella secondo la quale la libertà equivale alla possibilità di agire senza impedimenti o costrizioni. Secondo questa prospettiva, è libero colui che non è impedito nell’agire (perché non gli si vieta di fare ciò che vuole fare) né vi è costretto (perché non viene obbligato a compiere un’azione che non vorrebbe compiere). La tesi, allora, è che quando non siamo impediti o costretti, possiamo ‹liberamente› compiere le azioni che vogliamo. Così, ad esempio, si esprime Hobbes:
Un uomo libero è colui che, nelle cose che è capace di fare con la propria forza e il proprio ingegno, non è impedito di fare ciò che ha la volontà di fare [13].

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[12]. Sull’importante contributo di Locke, cfr. Rowe (1987). Sulla concezione humeana della libertà metafisica, cfr. Stroud (1977, pp. 141-154) e, per un’innovativa interpretazione di Hume in chiave strawsoniana, Russell (1995).

[13]. Hobbes (1651, p. 175).

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