Come detto, ogni concezione della libertà deve dare conto, in qualche modo, di due condizioni fondamentali: deve cioè spiegare in quale senso all’agente si presentino possibilità d’azione alternative e come questi possa autodeterminare le proprie azioni. Come abbiamo constatato, il compatibilismo può facilmente dare conto della seconda condizione: l’agente autodetermina le proprie azioni se esse sono causalmente determinate dalla sua volontà (ovvero da suoi adeguati eventi mentali). Ma come può il compatibilismo dare conto del secondo [sic!] requisito, per il quale un’azione è libera solo nel caso in cui una qualche azione alternativa sia possibile? È questo, evidentemente, il ‹punctum dolens› di ogni concezione compatibilistica: almeno ‹prima facie›, in un universo deterministico parrebbe non esserci alcun posto per l’idea di corsi d’azione alternativi.
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K E Y W O R D S
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[] M. D e C a r o, ‹I l l i b e r o a r b i t r i o …›, L a t e r z a, 2 0 0 4.
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