La definizione canonica di libertà offerta dalla tradizione compatibilistica — secondo una proposta prima abbozzata da Hobbes e poi sviluppata da Locke e da Hume [12] — è quella secondo la quale la libertà equivale alla possibilità di agire senza impedimenti o costrizioni. Secondo questa prospettiva, è libero colui che non è impedito nell’agire (perché non gli si vieta di fare ciò che vuole fare) né vi è costretto (perché non viene obbligato a compiere un’azione che non vorrebbe compiere). La tesi, allora, è che quando non siamo impediti o costretti, possiamo ‹liberamente› compiere le azioni che vogliamo. Così, ad esempio, si esprime Hobbes:
Un uomo libero è colui che, nelle cose che è capace di fare con la propria forza e il proprio ingegno, non è impedito di fare ciò che ha la volontà di fare [13].
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N O T E
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[12]. Sull’importante contributo di Locke, cfr. Rowe (1987). Sulla concezione humeana della libertà metafisica, cfr. Stroud (1977, pp. 141-154) e, per un’innovativa interpretazione di Hume in chiave strawsoniana, Russell (1995).
[13]. Hobbes (1651, p. 175).
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K E Y W O R D S
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[] M. D e C a r o, ‹I l l i b e r o a r b i t r i o …›, L a t e r z a, 2 0 0 4.
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