In ‹Freedom To Act›, un saggio del 1973, Davidson celebrava il compatibilismo:
[Taluni] credono di poter asserire, o addirittura provare, che la libertà sia incompatibile con l’assunzione che le azioni sono determinate causalmente, almeno nel caso in cui le loro cause possano venire ricondotte a eventi esterni all’agente. Io non discuterò direttamente di tali argomenti, perché non ne conosco di plausibili, se non superficialmente. Hobbes, Locke, Hume, Moore, Schlick, Ayer, Stevenson e un gran numero di altri hanno fatto tutto ciò che era possibile fare, o che poteva essere necessario fare, per rimuovere le confusioni che danno l’impressione che il determinismo impedisca la libertà [1].
Questa citazione è degna di nota per varie ragioni. In primo luogo, per la nettezza con cui sostiene che il rifiuto del compatibilismo non può che riposare su «confusioni» concettuali; in secondo luogo, perché, nel lodare la tradizione compatibilistica, Davidson ne elenca utilmente i numi tutelari (da Hobbes ai neopositivisti); in terzo luogo, perché — per ragioni che spiegherò tra breve — questa citazione può essere proficuamente richiamata per comprendere quanto il dibattito sulla libertà sia cambiato negli ultimi anni.
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N O T E
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[1]. Davidson (1973a, p. 63; trad. mia).
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K E Y W O R D S
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[] M. D e C a r o, ‹I l l i b e r o a r b i t r i o …›, L a t e r z a, 2 0 0 4.
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