Giornale (22/9/2011) • Ecco la scoperta… (d12-13)

  •  M a c i o c e  (2 0 1 1)  •  … c h e  m e t t e  i n  c r i s i  E i n s t e i n  •

•  Per Einstein Dio non gioca a dadi. Ma se salta il principio di causalità cosa dobbiamo dire: Dio gioca a dadi? E magari scommette?

«No. Non c’entra nulla. Il problema dei dadi riguarda la Fisica Quantistica e cioè il fatto che il “continuo” non esiste; è pura illusione ottica; tutto è fatto di pezzettini (quanti)».


•  L’ultima curiosità. Questa scoperta ha a che fare con il sogno, fantascientifico, di viaggiare avanti e indietro nel tempo?

«Assolutamente sì. È bene però precisare che per noi miseri mortali quello di viaggiare avanti e indietro nel tempo è un sogno destinato a non trasformarsi mai in realtà. Ripeto, mai».

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Giornale (22/9/2011) • Ecco la scoperta… (d10-11)

  •  M a c i o c e  (2 0 1 1)  •  … c h e  m e t t e  i n  c r i s i  E i n s t e i n  •

•  Picosecondo?

«Il nostro cuore batte al ritmo di un colpo al secondo. Se battesse al ritmo di un colpo ogni picosecondo, centomila anni corrisponderebbero ad appena 3 secondi».


•  Come cambia l’idea di universo?

«La nostra idea di universo legata alle osservazioni sperimentali non può cambiare. Cambierebbe ciò che noi pensiamo possano essere le estrapolazioni di ciò che abbiamo sperimentalmente accertato. Come ad esempio il numero delle dimensioni dello spazio-tempo. Non quattro ma 43, come vorrebbe l’ipotesi del Supermondo».

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Giornale (22/9/2011) • Ecco la scoperta… (d9)

  •  M a c i o c e  (2 0 1 1)  •  … c h e  m e t t e  i n  c r i s i  E i n s t e i n  •

•  Professore, magari il cronometrista ha semplicemente sbagliato a prendere il tempo?

«Esempio rozzo ma efficace. Infatti la scienza non si accontenta di un semplice evento. Serve il rigore e la riproducibilità. Dobbiamo anzitutto aspettare che i fisici impegnati in questo lavoro spieghino rigorosamente cosa hanno fatto. Se le voci venissero confermate (dovrebbe avvenire nei prossimi giorni) la priorità assoluta sarebbe di progettare un esperimento di alta precisione per stabilire cosa succede con i neutrini prodotti al Cern e osservati al Gran Sasso. E qui entra in gioco la tecnica per la misura dei tempi di volo delle particelle subnucleari. Tecnica nella quale il mio gruppo detiene il record mondiale di precisione: 15 picosecondi (millesimi di miliardesimo di secondo)».

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Giornale (22/9/2011) • Ecco la scoperta… (d6-8)

  •  M a c i o c e  (2 0 1 1)  •  … c h e  m e t t e  i n  c r i s i  E i n s t e i n  •

•  E perché questa scoperta sarebbe così importante?

«Per il semplice motivo che farebbe saltare uno dei pilastri fondamentali su cui si regge la nostra fisica basata sulla struttura di spazio-tempo con un totale di 4 dimensioni: 3 di spazio e una di tempo».


•  Qual è questo pilastro?

«Il principio di causalità».


•  Non c’è più alcuna connessione tra il prima e il dopo?

«Il povero Cavaradossi morì dopo che i fucili del plotone d’esecuzione spararono. Non prima che i fucili sparassero. Il principio di causalità dice che l’effetto non può precedere la causa».

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Giornale (22/9/2011) • Ecco la scoperta… (d5)

  •  M a c i o c e  (2 0 1 1)  •  … c h e  m e t t e  i n  c r i s i  E i n s t e i n  •

«I neutrini sono le più formidabili particelle dell’universo subnucleare. Quando io ho elaborato il progetto Gran Sasso, in cui era incluso il fascio di neutrini Cern-Gran Sasso, la maggior parte dei fisici pensava che i neutrini dovessero essere particelle con massa zero, come le particelle (fotoni) di cui è fatta la luce. Era il 1979. Adesso è fuori discussione che i neutrini hanno massa. Per potere viaggiare alla velocità della luce bisogna avere massa zero. I neutrini sono le particelle più leggere che noi conosciamo; leggerissimi, ma non di massa zero. Ecco perché non possono viaggiare alla velocità della luce».

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Giornale (22/9/2011) • Ecco la scoperta… (d3-4)

  •  M a c i o c e  (2 0 1 1)  •  … c h e  m e t t e  i n  c r i s i  E i n s t e i n  •

•  I neutrini sono più veloci della luce? Ma questo è impossibile.

«È per questo che l’ho chiamata. Se venisse confermata, sarebbe la scoperta del secolo. Anzi la più grande scoperta da quando Galilei incominciò a studiare la logica che regge il mondo: logica cui si dà il nome di Scienza».


•  Sembra fantascienza. I neutrini, come Superman, si ribellano alle leggi della fisica.

«Sarebbe un terremoto incredibile. La velocità della luce nel vuoto è il massimo valore che possa esistere per trasmettere segnali. La cosiddetta “Relatività Speciale” (che Einstein sviluppò partendo dalla Relatività Galileiana) ha come base fondamentale il fatto che non deve esistere alcuna particella che possa viaggiare a velocità superiore a quella della luce, che è di circa un miliardo di chilometri l’ora».

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Giornale (22/9/2011) • Ecco la scoperta… (d1-2)

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•  Ma questa, professore, non è una novità?

«Certo che no. Mi lasci finire. Cerco di spiegarle, come dice lei, in modo rozzo, semplice, quello che sembra sia successo. Se i neutrini hanno massa, per quanto piccola, a che velocità vanno rispetto alla luce?».


•  Sono più lenti. Viaggiano a una velocità inferiore alla luce.

«Esatto. Dovrebbe essere così. Il problema che al Cern è accaduto qualcosa di imprevisto. I neutrini prodotti al Cern arrivano nei laboratori del Gran Sasso prima di quanto impiegherebbe un raggio di luce».

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Giornale (22/9/2011) • Ecco la scoperta… (1)

  •  M a c i o c e  (2 0 1 1)  •  … c h e  m e t t e  i n  c r i s i  E i n s t e i n  •

La telefonata arriva verso sera. «Sono Zichichi». «Professore come sta?». «Bene, bene. Ma mi ascolti. Qui gira voce di una scoperta straordinaria». Zichichi è l’autore del progetto che fa viaggiare i neutrini prodotti dal Cern fino al Gran Sasso. Settecentotrenta chilometri di viaggio sottoterra. «Lei conosce i neutrini?». «Non personalmente. Diciamo che ne ho sentito parlare». «Come lei saprà un tempo si riteneva che i neutrini non avessero massa. Proprio come la luce». Per dirla in modo rozzo invece i neutrini un po’ di massa, piccola, infinitesimale, ce l’hanno.

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Giornale (22/9/2011) • Ecco la scoperta… (0)

  •  M a c i o c e  (2 0 1 1)  •  … c h e  m e t t e  i n  c r i s i  E i n s t e i n  •

«Ecco la scoperta che mette in crisi Einstein»


di Vittorio Macioce
Giornale — 22/9/2011 (giovedì 22 settembre 2011)

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Homo sapiens… • 8.7. La solitudine… (13)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  8.7.  … è  u n’ i n v e n z i o n e  r e c e n t e  •

Quel 3,3% gode ora delle facoltà cognitive, miste alla presunzione, di voler riscrivere l’evoluzione del rimanente 96,7%. La storia è raccontata sempre dai sopravvissuti e non sappiamo che approccio avrebbe un manuale di storiografia Neanderthaliana. Ma in un’ottica pluralista lo sguardo sulla nostra evoluzione cambia profondamente. Dal punto di vista della sua biodiversità interna noi siamo infatti un gruppo biologico in declino. Nella storia naturale che ha condotto a ‹Homo sapiens› sono vissute almeno 24 (candidate) specie ominine, ma molte altre potrebbero essere ancora nascoste nei sedimenti. Le relazioni filogenetiche fra di esse sono così ingarbugliate che la strategia migliore per il momento, come ha suggerito Henry Gee, sarebbe quella di costruire una mappa muta con i nomi sparsi qua e là delle specie in ordine cronologico, un tappeto di trattini sconnessi, senza azzardare connessioni sicure: un albero di Natale con le palline e gli addobbi, ma senza il tronco e i rami. Di queste 24 specie, nessuna era destinata necessariamente all’estinzione, ma alla fine siamo rimasti soli. Nulla di speciale e di ineluttabile nemmeno in questo: condividiamo la stessa sorte con alcuni altri cespugli di mammiferi in cui è rimasta alla fine una forma sola, per esempio quello dell’oritteropo, il simpatico e orecchiuto divoratore notturno di termiti, unico rappresentante rimasto di un intero ordine (i Tubulidentati). Con la differenza che al momento non si ha notizia di oritteropi convinti di essere l’apice dell’evoluzione…

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[]  T.  P i e v a n i,  ‹H o m o  s a p i e n s  e  a l t r e  c a t a s t o f i›,  M e l t e m i,  2 0 1 8³  (r i v.).
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Homo sapiens… • 8.7. La solitudine… (11-12)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  8.7.  … è  u n’ i n v e n z i o n e  r e c e n t e  •

Mentre scorrevano i 6 milioni di anni tumultuosi che hanno prima diversificato e poi all’ultimo potato il cespuglio ominino, scimpanzé e gorilla in Africa hanno proseguito in parallelo la loro corsa senza trovare il bisogno né della postura eretta, né dell’espansione del cervello, né della tecnologia litica. Immersi in un ambiente più stabile, hanno prodotto molte meno specie di noi. Scomparsi tutti i cugini ominini nel mezzo, la differenza cognitiva e comportamentale fra un ‹Homo sapiens› e uno scimpanzé sembra oggi notevole. Ma lo iato che noi percepiamo adesso è il risultato di una miriade di esperimenti falliti, di traiettorie contingenti, di ramificazioni ed estinzioni avvenute in un contesto di instabilità climatica.

La permanenza di ‹Homo sapiens› sul pianeta occupa soltanto il 3,3% dell’età che ci separa dall’antenato comune con gli scimpanzé. La presenza di una sola specie nel nostro cespuglio evolutivo riguarda soltanto lo 0,6% della storia naturale della sotto-famiglia ominina: una briciola insignificante di storia che galleggia sopra una profondità temporale lunga sei milioni di anni. Contrariamente a quanto ci spingono a pensare i nostri sentimenti di originalità, la solitudine di specie è davvero un’invenzione recente…

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[]  T.  P i e v a n i,  ‹H o m o  s a p i e n s  e  a l t r e  c a t a s t o f i›,  M e l t e m i,  2 0 1 8³  (r i v.).
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Homo sapiens… • 8.7. La solitudine… (10)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  8.7.  … è  u n’ i n v e n z i o n e  r e c e n t e  •

Certo, il presente alternativo rappresentato dalla coesistenza di varie specie umane sorelle e forse rivali (chissà, forse oggi ci sarebbero civiltà separate, una serie di trattati di convivenza oppure una sequenza infinita di ostilità, vendette e ritorsioni…) sfida fortemente la nostra immaginazione. Siamo così abituati a presupporre l’assoluta unicità dominatrice della nostra specie da non riuscire quasi a concepire la nostra esistenza sulla Terra in compagnia di un’altra specie umana, così come non siamo soliti ragionare sul senso della nostra esistenza partendo dal presupposto che nell’universo vi siano migliaia di altre civiltà intelligenti. Eppure, è altamente improbabile che la nostra sia la sola forma di vita intelligente emersa fra milioni di pianeti simili alla Terra ed è stato altrettanto improbabile essersi ritrovati da soli in mezzo a un cespuglio di cugini ominini. E infatti fino a cinquanta millenni fa, cioè fino alle soglie della storia, eravamo in compagnia di altre forme umane. Se le perturbazioni climatiche e molti altri fattori avessero assunto una configurazione differente, la realtà sarebbe quella di una convivenza con altre specie umane.

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[]  T.  P i e v a n i,  ‹H o m o  s a p i e n s  e  a l t r e  c a t a s t o f i›,  M e l t e m i,  2 0 1 8³  (r i v.).
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Homo sapiens… • 8.7. La solitudine… (9)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  8.7.  … è  u n’ i n v e n z i o n e  r e c e n t e  •

In una manciata di millenni (tra 50 e 40mila anni fa) ‹Homo sapiens› rimane l’unica specie umana sulla Terra. Non vi è più traccia dei denisovani dopo i 40mila anni fa. ‹Homo floresiensis› scompare sulla sua isoletta indonesiana intorno a 50mila anni fa. L’albero genealogico degli ominini, partito sei milioni di anni fa, presenta quindi una caratteristica evolutiva peculiare, abbastanza rara nell’evoluzione delle famiglie animali: la sopravvivenza di una sola specie in cima al cespuglio. Le cause che hanno condotto a questo esito (recentissimo) possono essere diverse, ma l’esito in quanto tale non pare necessario, né deterministicamente dettato da ragioni intrinseche.

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[]  T.  P i e v a n i,  ‹H o m o  s a p i e n s  e  a l t r e  c a t a s t o f i›,  M e l t e m i,  2 0 1 8³  (r i v.).
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Homo sapiens… • 8.7. La solitudine… (…8a)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  8.7.  … è  u n’ i n v e n z i o n e  r e c e n t e  •

[⇐]   È soltanto la storia, questa sequela indomabile di eventi contingenti e di tendenze, a stabilire la traiettoria di una specie. ‹Homo neanderthalensis› non è stata una versione inferiore, mal riuscita, di ‹Homo sapiens›, è stata qualcosa di diverso. È stata un contributo alla biodiversità umana sopravvissuto fino a 40 millenni fa, una specie umana che ha raggiunto un elevato grado di intelligenza separatamente e che poi è entrata in contatto con noi. È stata vittima di una specie particolarmente invadente e tendenzialmente “catastrofica”, ma se il suo areale di distribuzione fosse stato più ampio, se la sua variabilità genetica fosse stata più robusta, oppure se il suo tasso di mortalità fosse stato più basso anche solo del 2%, forse le cose sarebbero andate diversamente. A modo loro, anche i Neanderthal erano “moderni”. Hanno giocato alla pari con la loro specie cugina (almeno nella sua prima “versione”) per un lungo arco di tempo, poi qualcosa ha sparigliato le carte, dall’Africa è sbucata una creatura ingombrante che li ha spinti su un declivio dal quale non sarebbero mai più risaliti.

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Homo sapiens… • 8.7. La solitudine… (7-8…)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  8.7.  … è  u n’ i n v e n z i o n e  r e c e n t e  •

Certo, la causa della disparità iniziale, quella piccola differenza apparentemente insignificante che ha decretato la fine di Neanderthal, rimane un mistero. Cosa può essere successo? Perché ‹Homo sapiens› a un certo punto si trasforma in una specie così socialmente espansiva e così propensa all’elaborazione simbolica?

Se davvero nella storia naturale che ha portato alfine a ‹Homo sapiens› sono coesistiti molti modi di essere ominini, è ancor più vero che spesso queste modalità alternative di essere umani sono andate perdute per motivi che sembrano aver poco a che vedere con ragionamenti di superiorità o inferiorità, di maggiore o minore intelligenza ed efficienza. La storia di Neanderthal, riscritta in questi anni, dovrebbe far propendere per un altro stile narrativo. Nel cespuglio delle forme umane ogni specie ha giocato le sue carte perché il gioco dell’evoluzione può essere condotto in molti modi.  [⇒]

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[]  T.  P i e v a n i,  ‹H o m o  s a p i e n s  e  a l t r e  c a t a s t o f i›,  M e l t e m i,  2 0 1 8³  (r i v.).
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Homo sapiens… • 8.7. La solitudine… (6)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  8.7.  … è  u n’ i n v e n z i o n e  r e c e n t e  •

L’ipotesi della competizione demografica non esclude che l’uomo di Neanderthal possa aver sofferto della sua scarsa variabilità genetica o anche di una leggera inferiorità nella sopravvivenza al clima fattosi nuovamente rigido. È sufficiente che una delle due specie sfruttasse in modo lievemente più efficiente l’ambiente per creare un divario popolazionale crescente. Quando sopraggiunse l’ultima glaciazione i Neanderthal si ritirarono anche dalle steppe eurasiatiche occidentali e scesero verso la Crimea e le pendici del Caucaso, dove si rifugiarono per alcuni millenni fino all’estinzione, che intervenne poco prima di quella dei Neanderthal iberici. Anche in questo caso il clima e ‹Homo sapiens› agirono di concerto: quando i Neanderthal abbandonarono i siti settentrionali, come a Kostenki, subentrarono ben presto i Cro-Magnon con le loro pelli ben tessute, le loro capanne protette e la loro tecnologia aurignaziana.

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[]  T.  P i e v a n i,  ‹H o m o  s a p i e n s  e  a l t r e  c a t a s t o f i›,  M e l t e m i,  2 0 1 8³  (r i v.).
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Homo sapiens… • 8.7. La solitudine… (5)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  8.7.  … è  u n’ i n v e n z i o n e  r e c e n t e  •

Un’ipotesi alternativa prefigura la semplice competizione demografica per il reperimento delle risorse, cioè un fenomeno simile a quello che avrebbe condotto all’estinzione le forme di ‹Homo heidelbergensis› tardo e di ‹Homo erectus› nel Vecchio Mondo, soppiantate gradualmente all’arrivo di ‹Homo sapiens›. Una leggera disparità nella competizione per le risorse può far soccombere una specie in alcuni millenni. È un metodo molto più lento dell’eliminazione fisica, ma inesorabile. Alla fine il manto funereo dell’estinzione ha coperto anche le ultime enclave di Neanderthal, lasciandoci da soli in Europa, noi figli di immigrati (di colore) dall’Africa.

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Homo sapiens… • 8.7. La solitudine… (4)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  8.7.  … è  u n’ i n v e n z i o n e  r e c e n t e  •

In generale, non vi sono testimonianze archeologiche del fatto che l’uomo conoscesse l’istituzione della guerra prima della rivoluzione agricola e quindi prima della nascita del possesso territoriale, segno che forse la violenza organizzata non è una caratteristica inevitabile iscritta nell’evoluzione del genere umano, ma la conseguenza adattativa dell’acquisizione di uno stile di vita sedentario e di controllo sulla terra coltivabile. Questo non esclude, però, che l’impatto della nuova “versione” di ‹Homo sapiens› sulla Terra e sulle specie consimili sia stato in molte occasioni decisamente perturbante.

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[]  T.  P i e v a n i,  ‹H o m o  s a p i e n s  e  a l t r e  c a t a s t o f i›,  M e l t e m i,  2 0 1 8³  (r i v.).
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Homo sapiens… • 8.7. La solitudine… (3)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  8.7.  … è  u n’ i n v e n z i o n e  r e c e n t e  •

Non è mancato chi ha ipotizzato che l’estinzione degli uomini di Neanderthal sia stato il primo colossale genocidio della storia, una strage di dimensioni epocali voluta da una specie aggressiva e assetata di sangue che irrompe in Europa e frantuma l’idillio Neanderthaliano: l’esatto opposto dello scenario di “fusione” sessuale, ma forse egualmente discutibile. Non è infatti necessario ipotizzare un “catastrofismo ominide” generalizzato per spiegare la sostituzione fra due specie nel cespuglio, come fece Loring Brace nel 1991 in ‹The Stages of Human Evolution›. Questa versione dell’evento stride con il lungo periodo di convivenza precedente in Medio Oriente e, soprattutto, con il ritmo non velocissimo della regressione di Neanderthal in Europa: una guerra interspecifica così violenta (o una pandemia) si sarebbe risolta molto più rapidamente che in dieci millenni. Dunque, né Rambo killer in libertà né accoppiamenti sessuali generalizzati.

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Homo sapiens… • 8.7. La solitudine… (1-2)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  8.7.  … è  u n’ i n v e n z i o n e  r e c e n t e  •

Le testimonianze di Neanderthal si fanno sempre più rade dopo i 42mila anni, per scomparire del tutto verso 38mila anni fa, quando Neanderthal abbandona anche i suoi estremi rifugi nelle aspre vallate della penisola iberica immerse in un nuovo periodo glaciale. Per qualche strano motivo che non riusciamo a comprendere, forse una minore propensione all’esplorazione, i Neanderthaliani non attraversarono mai lo stretto di Gibilterra, dove pure si erano accampati nell’ultimo periodo.

Le ragioni della loro scomparsa finale sono ancora sconosciute. Esse sono legate all’arrivo di ‹Homo sapiens›, anche solo per la coincidenza temporale dei due eventi, ma non è chiaro il meccanismo (o la congiura di fattori) che ha condotto all’estinzione i Neanderthal. È escluso che sia sopraggiunta una qualche perturbazione climatica o ambientale, anche se l’inasprimento del clima e le migrazioni delle prede possono aver contribuito alla crisi. Non vi sono indizi né di eruzioni vulcaniche né di inondazioni né di alterazioni climatiche improvvise, ma solo delle normali fluttuazioni glaciali a cui Neanderthal era peraltro abituato da 200.000 anni. Eppure, qualcosa di egualmente “catastrofico” deve esserci stato…

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Homo sapiens… • 8.6. Il genoma di Homo sapiens… (13-14)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  8.6.  … è  u n  m a n t e l l o  d i  A r l e c c h i n o  •

Nonostante tutti questi recenti dati facciano propendere per l’ipotesi di una pluralità di eventi di ibridazione tra forme umane arcaiche e moderne, non tutti gli studiosi di evoluzione umana sono convinti che questa sia l’interpretazione più convincente. Un modello alternativo propone, per spiegare l’apparente flusso genico tra ‹Homo sapiens› e Neanderthal, l’esistenza di una sotto-struttura genetica appartenuta al loro antenato comune africano, associando la variabilità africana a molteplici uscite di popolazioni dall’Africa. Questo scenario senza ibridazione, per reggere, deve però ipotizzare una serie di condizioni non verificate e meno parsimoniose. Molto più semplice immaginare episodi di ibridazione, pur senza fusione tra specie che rimanevano comunque distinte.

Insomma: il nostro genoma è un mantello di Arlecchino composto anche da frammenti di Dna di altre specie umane ora estinte. E questo modifica oggettivamente la nostra comprensione della specifica natura di ‹Homo sapiens›.

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Homo sapiens… • 8.6. Il genoma di Homo sapiens… (12)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  8.6.  … è  u n  m a n t e l l o  d i  A r l e c c h i n o  •

Infine, il recente sequenziamento del Dna mitocondriale più antico mai esaminato fino ad ora, risalente a circa 400mila anni fa, e appartenente a ominini scoperti nel 1997 nella regione spagnola della Sierra de Atapuerca, a Sima de los Huesos, ha arricchito un quadro sempre più intricato. Il Dna è stato estratto da diversi fossili formalmente attribuiti in precedenza a ‹Homo heidelbergensis›. Nonostante gli ominini di Sima de los Huesos condividano alcuni tratti morfologici con i Neanderthal che verranno dopo di loro, i risultati dell’analisi genica condotta da Matthias Meyer e colleghi del Max Planck Institute di Lipsia sul Dna mitocondriale hanno inizialmente rivelato, con sorpresa, una somiglianza maggiore con gli umani di Denisova, vissuti a 7.500 km di distanza. Tuttavia, ulteriori studi sul Dna nucleare, più ricco e affidabile rispetto al mitocondriale, hanno invece mostrato una più stretta affinità con Neanderthal piuttosto che con Denisova, suggerendo che tali ominini siano forme arcaiche Neanderthaliane o comunque correlate a esse, come previsto. Lo studio ha però confermato la presenza di Dna mitocondriale simile a quello dell’uomo di Denisova, inducendo gli autori a ipotizzare che esso sia stato acquisito dall’uomo di Sima in una fase successiva, o che tale Dna facesse parte del patrimonio genetico originale di Neanderthal e Denisova, successivamente rimpiazzato da ulteriori migrazioni africane.

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Homo sapiens… • 8.6. Il genoma di Homo sapiens… (11)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  8.6.  … è  u n  m a n t e l l o  d i  A r l e c c h i n o  •

A tutte queste scoperte si devono poi aggiungere i dati derivanti da una ricerca condotta attraverso un nuovo metodo matematico, che rientra nella branca della biologia computazionale, e che permette di identificare sequenze di Dna ereditate da ominini arcaici senza che si debba confrontarle con quelle della specie estinta. Questa tecnica “fossil free” può funzionare a condizione che si disponga di genomi “ad alta definizione” di parecchi individui, e si dà il caso che tra il 2008 e il 2015 sia stato creato il più ampio catalogo della variabilità umana fin ora esistente, il “1000 Genome Project”, che ha reso disponibili ben 2500 genomi. Combinando questa tecnica con i genomi di popolazioni euroasiatiche e con nuovi dati di sequenziamento condotti su 35 abitanti delle Isole Bismarck (in Papua Nuova Guinea), genetisti dell’Università di Washington a Seattle insieme al team di Pääbo a Lipsia si sono spinti a ipotizzare almeno tre eventi distinti di ibridazione con i Neanderthal (uno in Asia Orientale, uno in Europa, e uno in Asia Meridionale), e hanno confermato l’eredità dei denisovani nelle popolazioni della Melanesia.

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Homo sapiens… • 8.6. Il genoma di Homo sapiens… (10)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  8.6.  … è  u n  m a n t e l l o  d i  A r l e c c h i n o  •

Un’analisi comparata di materiale genetico delle diverse specie umane ha inoltre trovato che nel genoma dell’uomo di Neanderthal vissuto 50mila anni fa sulle montagne dell’Altai, in Siberia, vi erano geni di esseri umani moderni. Dunque per la prima volta una prova di ibridazione in senso inverso: flusso genico da ‹Homo sapiens› a Neanderthal. In particolare, si è scoperto nel 2016 che un incrocio tra ‹Homo sapiens› e Neanderthaliani siberiani avvenne più di 100mila anni fa, molto prima degli incroci tra le due specie finora documentati.

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Homo sapiens… • 8.6. Il genoma di Homo sapiens… (9)

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A complicare il quadro si aggiungono anche le prove di introgressione presentate nel 2014 da Kay Prüfer tra Neanderthaliani dei Monti Altai e denisovani, così come tra denisovani e un gruppo arcaico sconosciuto (un altro discendente di ‹Homo heidelbergensis› sfuggito finora alle indagini?). Secondo quest’ultimo studio, la nostra specie, la denisovana e la Neanderthaliana sarebbero derivate da un antenato comune dal quale si separarono gli antenati degli esseri umani moderni circa 550-765mila anni fa, mentre Neanderthal e denisovani si sarebbero separati a loro volta circa 445-473mila anni fa.

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Homo sapiens… • 8.6. Il genoma di Homo sapiens… (8)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  8.6.  … è  u n  m a n t e l l o  d i  A r l e c c h i n o  •

Ulteriori ricerche tra il 2016 e il 2017 hanno evidenziato un legame tra la presenza di geni Neanderthaliani e altre comuni patologie, fenomeni depressivi, dipendenze e mutazioni deleterie. Altri ancora hanno sottolineato gli effetti benefici che processi di inclusione di geni da altre specie (introgressione) hanno prodotto sull’evoluzione della nostra specie, apportando nuove variazioni e aprendo la strada a maggiori possibilità di adattamento ad ambienti non africani.

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• depressione ≈ (fenomeni depressivi)

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Homo sapiens… • 8.6. Il genoma di Homo sapiens… (7)

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Altre due ricerche indipendenti pubblicate nel 2016 sull’“American Journal of Human Genetics”, condotte su varianti di geni (alleli) che codificano per recettori coinvolti nell’avvio di processi di risposta immunitaria innata dell’organismo nei confronti dell’invasione di microbi potenzialmente patogeni, hanno evidenziato somiglianze fra alcune combinazioni di alleli in determinate regioni del genoma (aplotipi) di ‹Homo sapiens› non africani e le sequenze corrispondenti estratte dai resti di uomini di Neanderthal e Denisova. Queste scoperte hanno fatto propendere molti ricercatori per l’ipotesi di eventi di ibridazione avvenuti tra la nostra specie e le due altre specie umane recenti del genere ‹Homo›, che sarebbero anche responsabili di alcune predisposizioni ad allergie e malattie autoimmuni che caratterizzano i portatori di quegli stessi geni. Insomma, il nostro genoma conterrebbe porzioni di Dna di altre due specie umane, non come inerte retaggio del passato ma con effetti fisiologici che si fanno sentire ancora oggi.

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Homo sapiens… • 8.6. Il genoma di Homo sapiens… (6)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  8.6.  … è  u n  m a n t e l l o  d i  A r l e c c h i n o  •

Un’altra ricerca, del 2014, ha poi mostrato che gli odierni tibetani e gli antichi denisovani presentano varianti simili di un gene (EPAS1) che rende capaci i suoi portatori di fronteggiare condizioni ambientali caratterizzate da bassa ossigenazione ed elevate altitudini. Ci siamo accoppiati con loro e questo ci ha fatto bene per adattarci alla vita di montagna? Inoltre, studi sui genomi delle popolazioni inuit nel 2017 hanno rilevato che porzioni contenenti due varianti genetiche preziose (TBX15 e WARS2), associate ad alcuni tratti responsabili della distribuzione del grasso corporeo e della risposta del corpo umano al freddo, presentano grandi somiglianze con le corrispondenti regioni del genoma denisovano.

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Homo sapiens… • 8.6. Il genoma di Homo sapiens… (5)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  8.6.  … è  u n  m a n t e l l o  d i  A r l e c c h i n o  •

Ma siamo solo agli inizi di questo nuovo giallo scientifico. Nel 2010 Pääbo e colleghi hanno sequenziato, come abbiamo visto, il genoma mitocondriale contenuto in un frammento di dito mignolo di un individuo di sesso femminile, ritrovato nella grotta di Denisova sui Monti Altai in Siberia, segnalando la presenza di una nuova specie umana, mai osservata prima, datata 40mila anni fa. Il ritrovamento poi di due denti presso la grotta di Denisova ha fornito ulteriore materiale genetico che ha permesso, in primo luogo, di datare uno dei due reperti (Denisova 8) a 100mila anni fa, facendo supporre una presenza molto prolungata di questo misterioso “uomo di Denisova” nella regione siberiana. In secondo luogo, si è rilevato che il Dna mitocondriale di Denisova è equidistante rispetto a Neanderthal e a ‹Homo sapiens›, mentre il Dna nucleare è più vicino a quello di Neanderthal. Ciò ha consolidato l’ipotesi che l’uomo di Denisova sia da considerarsi come una linea evolutiva umana a sé stante, più vicina a Neanderthal che a noi. Il risultato certamente più interessante, tuttavia, è che il genoma dell’uomo di Denisova è affine per il 4-6% a quello delle attuali popolazioni umane melanesiane, in particolare quelle che oggi vivono nelle Isole Fiji e in Papua Nuova Guinea (anche nel caso dei denisovani è andato perduto il loro contributo di Dna mitocondriale negli umani moderni). Quindi ci siamo accoppiati anche con i denisovani?

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Homo sapiens… • 8.6. Il genoma di Homo sapiens… (4)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  8.6.  … è  u n  m a n t e l l o  d i  A r l e c c h i n o  •

L’assenza di un contributo mitocondriale Neanderthaliano non è l’unica stranezza riscontrata in questa storia. Uno studio condotto nel 2016 da ricercatori della Stanford University e del Max Planck Institute sotto la direzione di Carlos Bustamante ha confrontato i cromosomi Y (che vengono trasmessi inalterati dal padre ai figli maschi) di uomini viventi, africani e non, di scimpanzé e di un maschio Neanderthal vissuto intorno a 49mila anni fa nella zona di El Sidròn, in Spagna. La misurazione delle differenze tra i cromosomi Y di maschi di differenti popolazioni può rivelare il tempo trascorso a partire dall’ultimo antenato comune maschio dei due gruppi, proprio come il Dna mitocondriale permette di stabilire l’ultima antenata comune femmina. La ricerca ha dunque permesso di definire con maggior precisione il momento in cui è iniziata la divergenza genetica fra noi e i Neanderthal: circa 550mila anni fa (altri studi, del 2016, sembrano invece retrodatarla a 650mila anni fa). Le analisi statistiche svolte dai ricercatori hanno anche stabilito l’assenza di tracce Neanderthaliane nei cromosomi Y degli umani moderni. Così il puzzle si complica: le tracce Neanderthaliane si notano nel Dna nucleare, ma non in quello a trasmissione solo femminile (Dna mitocondriale) né in quello a trasmissione solo maschile, il cromosoma Y. Perché? Forse gli Y di Neanderthal sono scomparsi nel tempo a causa di una loro incompatibilità con altri geni della nostra specie? Oppure è l’effetto di un fenomeno statistico casuale di “deriva genetica”, che riduce la variabilità genetica nelle popolazioni piccole?

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Homo sapiens… • 8.6. Il genoma di Homo sapiens… (2-3)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  8.6.  … è  u n  m a n t e l l o  d i  A r l e c c h i n o  •

Dai dati pubblicati a partire dal 2010 dal team di Svante Pääbo, è risultato che una frazione compresa tra 1 e 4% del genoma di ‹Homo sapiens› non africano sarebbe di origine Neanderthaliana. Il dato suggerisce che vi siano stati episodi di incrocio con Neanderthal successivi all’uscita dei primi rappresentanti della nostra specie fuori dall’Africa, per la precisione in Medio Oriente e poi in Siberia, risalenti a un periodo compreso fra 65 e 47mila anni fa.

Questi risultati, ottenuti utilizzando i Dna nucleari delle due specie, ribaltavano le conclusioni opposte cui si era giunti in precedenti indagini basate invece sull’analisi del Dna contenuto nei mitocondri delle cellule, in cui non era stata trovata alcuna traccia che facesse sospettare un qualche episodio di ibridazione tra Neanderthal e la nostra specie. Come mai la traccia genetica Neanderthaliana si trova soltanto nel Dna nucleare e non in quello mitocondriale, che si trasmette soltanto dalla madre ai figli?

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Homo sapiens… • 8.6. Il genoma di Homo sapiens… (1)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  8.6.  … è  u n  m a n t e l l o  d i  A r l e c c h i n o  •

Negli ultimi anni, la possibilità di sequenziare i genomi di specie estinte ha completamente rimodellato le nostre conoscenze sull’evoluzione umana. Le nuove frontiere in campo genetico e le innovative tecniche di indagine riguardanti il Dna antico hanno enormemente allargato lo spettro delle evidenze empiriche a nostra disposizione, aprendo nel contempo scenari inesplorati e la possibilità di nuove domande di ricerca. Abbiamo dovuto rivedere alcuni rocciosi convincimenti. Così funziona la scienza.

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Homo sapiens… • 8.5. Incontri ravvicinati… (12)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  8.5.  … d i  t i p o  p r e i s t o r i c o  •

Su come spiegare le sequenze Neanderthaliane nel genoma dei non africani si svilupparono quindi due correnti di pensiero tra gli antropologi molecolari, alcuni a favore e altri contro l’idea di un’ibridazione tra le due specie. Secondo Andrea Manica di Cambridge e altri, potrebbe infatti trattarsi di un “effetto illusorio” di ibridazione, indotto da una sotto-struttura genetica già presente nella popolazione dell’antenato comune fra ‹H. sapiens› e Neanderthal. Comunque sia, è diventata plausibile l’ipotesi che il nostro genoma contenga al suo interno, come un mantello di Arlecchino, le tracce di parziali fusioni con altre specie umane, alcune delle quali potrebbero aver rafforzato il nostro sistema immunitario. Forse c’è un’impronta di Neanderthal nel sangue di molti di noi. Il nostro alter ego quindi non si è proprio estinto del tutto…

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Homo sapiens… • 8.5. Incontri ravvicinati… (11)

  •  P i e v a n i  (2 0 1 8)  •  8.5.  … d i  t i p o  p r e i s t o r i c o  •

Qui arrivò l’inatteso. Le stupefacenti evidenze, rese note dai genetisti di Lipsia nel 2010, mostrarono infatti che vi era una traccia, da 1 a 4%, di Dna Neanderthaliano in ‹Homo sapiens›, ma soltanto nei non africani. Alquanto strano. È quindi possibile che vi sia stata un’ibridazione parziale fra le due popolazioni in Medio Oriente, proprio quando gli ‹H. sapiens› uscirono dall’Africa e convissero nel Levante con i Neanderthal a partire forse già da 120mila anni fa. In quella zona potrebbero essere avvenuti gli incroci tra le due specie, come sembrerebbe confermato anche dalla presenza di tratti ibridi in reperti delle due specie.

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Homo sapiens… • 8.5. Incontri ravvicinati… (9-10)

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Nel 2010 al Max Planck Institute di Lipsia, dove Pääbo si era trasferito, venne completato il sequenziamento totale del Dna nucleare (e non più solo di quello mitocondriale, completato nel 2008) estratto dai resti ossei di tre esemplari di Neanderthal vissuti nella grotta di Vindija in Croazia, tra 44mila e 38mila anni fa. Grazie al “Progetto Genoma Neanderthaliano”, per la prima volta si è avuto a disposizione il genoma completo di un nostro stretto cugino ora estinto.

Si scoprì così che il nostro genoma e quello di Neanderthal sono identici al 99,84%. Eravamo davvero cugini stretti, quasi fratelli. Che cosa contiene allora quello 0,16% di Dna differente? Da uno studio sulla dentizione, terminato nel 2011, sappiamo che il loro sviluppo era un po’ più veloce del nostro: diventavano adulti prima di noi. Altre differenze riguardano, come atteso, lo sviluppo del cervello e gli adattamenti climatici. Fino ad allora i dati dicevano che eravamo due specie distinte e che non ci eravamo fusi insieme. Svante Pääbo volle quindi fare un controllo di sicurezza, comparando questa volta le sequenze del Dna nucleare di ‹Homo sapiens› antichi, di Neanderthal e di una gamma di ‹Homo sapiens› attuali provenienti però da aree geografiche diverse.

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Homo sapiens… • 8.5. Incontri ravvicinati… (7-8)

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Nel 1999 l’annuncio della scoperta, nel sito portoghese di Lagar Velho, di uno scheletro di bambino che sembrava presentare caratteristiche sia di ‹sapiens› sia di ‹Neanderthal› [sic!] riaprì il dibattito. Il reperto risale a 24mila anni fa, un’epoca più recente rispetto alle date di estinzione dei Neanderthal iberici. È la prova dell’esistenza di una popolazione ibrida che per alcune migliaia di anni ha mescolato caratteri di una specie e dell’altra? Oggi sappiamo che non è così: si trattava di un bambino ‹sapiens› con una corporatura robusta e non di un ibrido fra le due specie.

Tutto chiarito dunque? Per nulla, le sorprese erano in agguato. Come abbiamo visto, l’isolamento geografico o comportamentale può far sì che dopo un lungo periodo di tempo due popolazioni non riescano più a incrociarsi fra loro e a mescolare i rispettivi patrimoni genetici: possiamo dire in tal caso che si sono separate in due “specie” distinte. Come facciamo però con specie estinte? Dobbiamo affidarci alla morfologia dei fossili, alle distribuzioni geografiche e, quando è possibile, alla biologia molecolare e alle indagini sul Dna antico. Queste ultime ci dicono che Neanderthal non era un nostro antenato né una varietà di ‹Homo sapiens›, ma un cugino distinto da noi: era un’umanità “alternativa”. E fin qui non ci piove.

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Le comparazioni genetiche avvaloravano l’ipotesi che l’ultima ondata di ‹Homo sapiens› avesse sostituito completamente le popolazioni precedenti, sia in Europa sia in Asia, senza mescolarsi con esse. Nel 2000 da Mosca arrivò la notizia che il genetista Igor Ovchinnikov aveva ottenuto gli stessi risultati di Pääbo analizzando il Dna mitocondriale di un Neanderthaliano vissuto nel Caucaso intorno a 40mila anni fa: nonostante si trattasse di un esemplare più recente di quello tedesco, vicinissimo al limite di estinzione, anche qui non vi era nessuna traccia di ibridazione genetica con ‹Homo sapiens›. Lo stesso anno Michael Scholz, dell’Università di Tubinga, vanificò ogni illusione di continuità regionale riuscendo a ibridare il Dna di due Neanderthaliani, di un ‹Homo sapiens› antico (un uomo di Cro Magnon vissuto in Germania 35mila anni fa) e di un ‹Homo sapiens› attuale: i due ‹sapiens› risultavano compatibili l’uno con l’altro e del tutto diversi dai due Neanderthal.

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