L’origine recente e contingente della specie umana libera il campo anche da una serie di fraintendimenti e di ambiguità riguardanti il concetto di “razza umana”. Il modello “a candelabro”, che ispirò l’ipotesi dell’evoluzione multiregionale, nascondeva un’insidia che Weidenreich si era inutilmente premurato di disinnescare nel 1949: l’origine antichissima delle varietà geografiche moderne (risalenti a più di un milione di anni fa) non doveva implicare che le diverse popolazioni geografiche fossero “razze” né tanto meno “specie” separate. Si ipotizzava, certo, un’origine molto antica delle varie popolazioni umane, ma questo presupponeva che le varietà regionali, pur sviluppatesi autonomamente, avessero in qualche modo conservato, come abbiamo detto, un intenso scambio genetico fra loro, cioè un flusso genico sufficiente per omogeneizzare il corredo genetico di tutta l’umanità. Ma le modalità di formazione di questa ipotetica rete genetica globale rimasero sempre misteriose.
L’ipotesi ad hoc apparve fin dagli inizi molto debole. Come era possibile che i ‹sapiens› si mescolassero gradualmente e uniformemente dopo essersi stabiliti in un areale che spaziava dal Sudafrica alla Siberia, dall’Europa all’Indonesia? Come poteva resistere un unico lignaggio genetico, per un milione e mezzo di anni, in una specie con un areale così diversificato e geograficamente disperso? Era necessario rifiutare alla base i presupposti fondamentali della teoria della speciazione e della deriva genetica.
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K E Y W O R D S
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[] T. P i e v a n i, ‹H o m o s a p i e n s e a l t r e c a t a s t o f i›, M e l t e m i, 2 0 1 8³ (r i v.).
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