Intorno alla metà degli anni Settanta il quadro si complicò ulteriormente, quando i paleoantropologi Donald Johanson e Tim White rinvennero in alcuni siti della regione dell’Hadar, in Etiopia, una considerevole quantità di reperti appartenenti a esemplari di una nuova specie. Le datazioni dei frammenti ossei lasciarono di stucco gli stessi scopritori: si trattava delle più antiche testimonianze dell’evoluzione umana mai raccolte fino ad allora. Le ossa appartenevano a ominini vissuti in Africa orientale in un periodo compreso tra 3,2 e 3,4 milioni di anni fa, molto prima delle due australopitecine e di ‹Homo habilis›. Questi ominini, ritenuti dagli scopritori una specie a parte (in disaccordo con Mary e Richard Leakey che li interpretarono all’inizio come una specie appartenente al genere ‹Homo› antecedente a ‹Homo habilis›, definita provvisoriamente ‹Homo sp›), mostrano la peculiarità di una stazione completamente eretta accompagnata a un cervello relativamente piccolo e a caratteristiche scimmiesche molto accentuate. Johanson ipotizzò per questo che si trattasse dell’antenato più antico dell’umanità, cioè del progenitore di ‹Homo habilis› da un lato e di ‹Australopilhecus africanus› (che perdeva così la sua appartenenza alla linea “nobile” della nostra discendenza) dall’altro.
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K E Y W O R D S
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[] T. P i e v a n i, ‹H o m o s a p i e n s e a l t r e c a t a s t o f i›, M e l t e m i, 2 0 1 8³ (r i v.).
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