Agli albori del Pleistocene medio (che va da 780mila a 135mila anni fa) o poco prima, fa la sua comparsa una nuova specie, diffusa in tutto il Vecchio Mondo e diversa da ‹H. ergaster›. Presenta una notevole espansione cranica (fino a 1200 cc o poco più), adotta la tecnologia acheuleana, la scheggiatura bifacciale, e mostra una padronanza del territorio decisamente più avanzata (costruisce le prime capanne in spazio aperto, recupera le pietre utili anche a chilometri di distanza). È chiamata ‹Homo heidelbergensis› (dal sito di Mauer, vicino ad Heidelberg, dove fu scoperta una mandibola da Otto Schoetensack nel 1907) e i suoi resti vengono oggi riportati alla luce in Europa (in Spagna, in Francia, in Gran Bretagna, in Italia, in Grecia e in Germania), in Africa (nei siti di Bodo in Etiopia, di Kabwe in Zambia, di Irhoud in Marocco) e in Cina (a Dali e Jinniushan). Un quadro geografico complicato.
Gli studiosi ipotizzano che ‹H. heidelbergensis› sia stato il protagonista di una seconda grande ondata di popolamento umano a partire dall’Africa e che poi a causa della separazione geografica abbia iniziato a dividersi in più varianti, le quali in alcuni casi hanno sostituito le specie diffusesi precedentemente. Intorno a 700-600mila anni fa si ripete dunque lo stupefacente processo di diversificazione e di speciazione geografica indotto da una grande espansione di areale fuori dall’Africa. Le migrazioni del genere ‹Homo› riguardano adesso una molteplicità di specie, talvolta conviventi negli stessi territori. L’espansione di areale favorisce nuove speciazioni geografiche. Altri ramoscelli si aggiungono al cespuglio della filogenesi umana.
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K E Y W O R D S
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[] T. P i e v a n i, ‹H o m o s a p i e n s e a l t r e c a t a s t o f i›, M e l t e m i, 2 0 1 8³ (r i v.).
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