Il risultato inatteso emerso a Lipsia è che la divergenza, cioè il numero di mutazioni genetiche differenti riscontrate mediamente fra i genomi, è doppia fra l’uomo dei Monti Altai e i ‹sapiens› rispetto al valore medio di differenza che sussiste fra un ‹sapiens› e un Neanderthal presi a caso. Le mutazioni si riscontrano infatti in un numero doppio di posizioni dei nucleotidi, le unità che compongono il codice genetico. Sapendo quanta divergenza c’è fra noi e gli scimpanzé, che abbiamo un antenato comune vissuto circa 6 milioni di anni fa, e assumendo che la velocità di accumulo di mutazioni sia abbastanza uniforme nella stessa sotto-sotto-famiglia, il calcolo è presto fatto, con un margine di errore accettabile: il più recente antenato comune (per il Dna mitocondriale) fra l’ominino di Denisova, il ‹sapiens› e il Neanderthal è vissuto approssimativamente un milione di anni fa in Africa.
In quella regione della Siberia meridionale era già nota un’occupazione umana, Neanderthaliana prima e ‹sapiens› poi, a partire da circa 125mila anni fa. Si trattava però soltanto di piccoli frammenti ossei e di denti. Ora che da un pezzettino di osso si può ricostruire un universo genetico si aprono straordinarie possibilità di conoscenza prima inaccessibili. Così, dal confronto fra i geni e i fossili, si scopre che la falange è stata trovata in uno strato datato fra 48 e 30mila anni fa, e dunque presumibilmente è recentissima.
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K E Y W O R D S
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[] T. P i e v a n i, ‹H o m o s a p i e n s e a l t r e c a t a s t o f i›, M e l t e m i, 2 0 1 8³ (r i v.).
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