Nuovi reperti e la datazione pubblicata sulla rivista “eLife” a maggio 2017 pongono ‹Homo naledi› in un’epoca molto più recente che va da 236mila a 335mila anni fa. Questo è del tutto sorprendente perché significa che in Africa, mentre alcuni ‹Homo heidelbergensis› tardi si stavano trasformando in ‹Homo sapiens›, in Sudafrica si aggirava un ‹Homo› con un cervello grande un terzo del nostro (500 cc) e con adattamenti ancora da vita arboricola. La datazione di ‹Homo naledi› si sovrappone addirittura a quella di alcuni proto-sapiens recentemente rinvenuti nel sito di Jebel Irhoud in Marocco. In contemporanea troviamo pure i primi Neanderthal in Europa, i Denisovani in Asia centrale, ‹Homo floresiensis› in Indonesia. Come potevano convivere forme così palesemente antiche come ‹Homo naledi› (non associato finora a strumenti né all’uso del fuoco) con umani praticamente quasi moderni?
Che non serva un grande cervello per avere tecnologie più che dignitose ed essere ben adattati al proprio ambiente, come cacciatori raccoglitori umani, è dimostrato dalla sopravvivenza appunto di ‹Homo floresiensis› fino a 60-50mila anni fa in Indonesia. Anche il suo cranio era capiente un terzo del nostro. Adesso le specie di ‹Homo› con cervelli piccoli sopravvissute fino a tempi recenti sono diventate due, smentendo la vecchia e consolidata idea (un altro paragrafo classico dei manuali che va riscritto) secondo cui nel genere ‹Homo› vi sarebbe stato un trend graduale di encefalizzazione accompagnato dalla crescita progressiva della complessità sociale e tecnologica.
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K E Y W O R D S
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[] T. P i e v a n i, ‹H o m o s a p i e n s e a l t r e c a t a s t o f i›, M e l t e m i, 2 0 1 8³ (r i v.).
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