Prove archeologiche a favore della teoria monogenista emersero nei primi anni Novanta: l’esistenza nell’Africa subsahariana (e non altrove, fatta eccezione per il Medio Oriente dove i resti più antichi sono quasi contemporanei a quelli africani) di uomini anatomicamente moderni molto antichi è stata ulteriormente confermata, mentre i più antichi resti di uomo moderno rinvenuti in aree non africane presentano caratteristiche sub-ottimali rispetto all’ambiente, segno di una probabile migrazione da territori con un clima diverso. I Neanderthaliani presentano le caratteristiche di un buon adattamento ai climi rigidi dell’Europa glaciale, mentre ‹Homo sapiens› mantiene il fisico adatto a climi secchi e caldi (che compensa evidentemente con tecnologie e cultura).
Le datazioni dei reperti di uomo moderno, sempre più raffinate, confermarono la cronologia di una terza grande diaspora planetaria (avvenuta intorno ai 130-100mila anni fa) dopo quelle di ‹Homo ergaster› e di ‹Homo heidelbergensis›. Da definire rimaneva il tasso di incrocio e di flusso genico fra le popolazioni umane moderne e quelle anticamente insediatesi nel Vecchio Mondo: si erano mescolate gradatamente o le forme moderne avevano sostituito completamente le precedenti?
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K E Y W O R D S
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[] T. P i e v a n i, ‹H o m o s a p i e n s e a l t r e c a t a s t o f i›, M e l t e m i, 2 0 1 8³ (r i v.).
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