La prova decisiva giunse però, a partire dal 1987, con l’applicazione delle tecniche di datazione attraverso la termoluminescenza e la risonanza elettronica ai fossili Neanderthaliani e ‹sapiens› rinvenuti, insieme, in alcuni siti israeliani. Precedentemente, in accordo con il modello monofiletico e gradualista di Schwalbe e sulla base di datazioni stratigrafiche, si era calcolato che i resti Neanderthaliani fossero tutti più antichi di quelli di ‹Homo sapiens› e che rappresentassero quindi gli antenati dell’uomo moderno. L’interpretazione venne diametralmente rovesciata con le nuove datazioni: i siti Neanderthaliani del Medio Oriente erano o più recenti (come quelli di Amud e di Kebara, risalenti a 50-60mila anni fa) o contemporanei ai siti di uomini moderni di Skhul e di Qafzeh, risalenti a 92-100mila anni fa. Due anni dopo si datò un sito Neanderthaliano (a Tabun) intorno ai 120mila anni, segno di una presenza dell’uomo di Neanderthal che perdurava da più di 60.000 anni e a cui si affiancò, 20.000 anni dopo il suo arrivo, la presenza di umani moderni. Il periodo più lungo di convivenza fra le due specie oggi calcolato è di 40.000 anni: l’uomo di Neanderthal di Kebara è di 40.000 anni più giovane del primo uomo moderno rinvenuto a Skhul.
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K E Y W O R D S
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[] T. P i e v a n i, ‹H o m o s a p i e n s e a l t r e c a t a s t o f i›, M e l t e m i, 2 0 1 8³ (r i v.).
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