In tal senso la tecnologia, come candidata alla spiegazione dell’emergenza di un genere ominide con un cervello sempre più grande, sembra non avere retto alle prove empiriche: il periodo che va da 2 milioni e mezzo a 400mila anni fa corrisponde a una sostanziale stasi nella produzione di strumenti litici, con piccoli progressi di raffinamento nelle due fasi tecnologiche di Modo1 e Modo2. Soltanto dopo la comparsa delle prime forme di umani anatomicamente moderni si avrà un’accelerazione esponenziale della capacità tecnologica, misurata sia nella quantità di strumenti prodotti sia nella fattura e nella qualità del taglio.
Questo modello di avanzamento a scarto differenziato è davvero sorprendente. Ma la complessità dello scenario evolutivo che precede l’arrivo della nostra specie aumenta ulteriormente se teniamo conto che con ‹H. heidelbergensis› entra in scena una direttrice evolutiva finora sconosciuta. Il cranio di ‹H. heidelbergensis› presenta un volume cerebrale molto ampio, intorno ai 1200 cc di media, e un’accentuata divisione degli emisferi. Con un cervello così grande e sviluppato si possono fare un sacco di cose, ma non solo. Da un’analisi sofisticata della base del cranio si arguisce che in questa forma comincia a emergere per la prima volta una conformazione anatomica compatibile con le strutture dell’apparato vocale che nella nostra specie permettono il linguaggio articolato, per intenderci il linguaggio fatto di vocali, consonanti e parole. La base del cranio presenta infatti un arrotondamento che può essere dovuto soltanto alla discesa della laringe e all’apertura dello spazio faringeo che permette la modulazione del suono.
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K E Y W O R D S
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[] T. P i e v a n i, ‹H o m o s a p i e n s e a l t r e c a t a s t o f i›, M e l t e m i, 2 0 1 8³ (r i v.).
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