Questa tesi conobbe un momento di notevole popolarità all’inizio degli anni Sessanta, grazie a una «fortissima corrente di libretti rossi neo-wittgensteiniani» (per riprendere un’ironica definizione di Donald Davidson) [37]. Riassunto in maniera schematica, l’argomento apportato a sostegno di questa tesi procedeva così: come ha mostrato Hume, noi non inferiamo nessi causali per mezzo di un ‘analisi concettuale, ma induttivamente, ovvero verificando la «congiunzione costante» di fenomeni tra loro indipendenti. Tuttavia la relazione tra una ragione e l’azione che ne discende ha, al contrario, carattere ‹logico-concettuale›, in quanto noi possiamo inferire ciò che gli agenti fanno solo traendo delle inferenze a partire dalle azioni (anche verbali) che essi compiono: così, quando Rossi entra al ristorante, noi possiamo inferire che egli ha il desiderio e l’intenzione di mangiare (e la credenza che nel ristorante potrà farlo). E ciò, secondo questo argomento, mostra che tra gli stati mentali dell’agente e le azioni che questi compie non vi può essere un nesso di carattere causale — sebbene naturalmente ve ne sia uno di carattere intenzionale.
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N O T E
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[37]. Davidson (1976, p. 347). Tra gli autori di questa corrente figuravano A.I. Melden (1961) e S.N. Hampshire (1959).
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K E Y W O R D S
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[] M. D e C a r o, ‹I l l i b e r o a r b i t r i o …›, L a t e r z a, 2 0 0 4.
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