Alle lettere di Martin, che lascia affidate per la pubblicazione alla nipote Gertrud, Elfride aggiunge una nota sul dorso di una di esse: è la tipica missiva che inviava anche alle numerose sue altre amate. Forse non le chiamava tutte «piccola anima mia», non le definiva «mia santa» ma, come nota Alain Badiou per l’edizione francese, quel diminutivo, quel seelchen [sic!] [=Seelchen] sottolinea come sempre la piccolezza dell’altro, in questo caso la preziosa altra, di fronte alla grandezza del suo pensiero. Che ha come pari soltanto il Wesen [sic!], l’essere, il destino del popolo tedesco. Il resto è del tutto secondario seppur vi si sofferma. Quanto Elfride abbia condiviso, quanto abbia patito, e quale sia stata la forza di un suo distacco interno rispetto ai colpi che le infliggeva quel suo inossidabile «ragazzo» non si può sapere.
Resta l’interrogativo sulla possibilità di una grande filosofia in una creatura, come Martin Heidegger, così sprovvista di percezione dell’alterità. Delle donne che amava, della compagna che si era scelto e di cui aveva bisogno; figurarsi dei nazisti, della guerra e degli ebrei. Grandissimo pensatore cieco come un pipistrello è un bell’ossimoro.
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K E Y W O R D S
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