Da alcuni decenni sono in corso interessanti ricerche sulle cosiddette “strategie vitali”: vale a dire quei particolari adattamenti che non si attuano mediante modificazioni della forma e delle dimensioni, bensì alterando e regolando i periodi e i ritmi di sviluppo. Certo, non è facile capire quale sia il vantaggio adattativo immediato di un’infanzia prolungata in un primate, se non quello di una maggiore possibilità di apprendimento, di imitazione, di gioco e di consolidamento dei rapporti familiari. In ogni caso, questo vantaggio deve essere stato molto forte per poter bilanciare la presenza di neonati così fragili, dipendenti e indifesi. È probabile che i primi rappresentanti del genere ‹Homo› abbiano trovato un onorevole compromesso sub-ottimale fra i vantaggi offerti da un cervello più grande e i sacrifici da pagare per allevare più a lungo i propri cuccioli inermi. Senza contare che questo organo espanso deve aver assorbito anche un notevole costo energetico, obbligando gli ominini a una dieta più sostanziosa a base di proteine animali e tuberi cotti.
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K E Y W O R D S
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[] T. P i e v a n i, ‹H o m o s a p i e n s e a l t r e c a t a s t o f i›, M e l t e m i, 2 0 1 8³ (r i v.).
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