Nel 2013 un dibattito sull’evoluzione del genere ‹Homo› ha agitato le acque della paleoantropologia e ha riportato in auge una contrapposizione tra due epistemologie che sembrava sopita: quella fra un’interpretazione lineare (o anagenetica) dell’evoluzione umana e un’interpretazione ramificata o cladogenetica. Nel sito di Dmanisi, in Georgia, il paleoantropologo David Lordkipanidze aveva scoperto nel 2005 un cranio completo, appartenuto a un individuo adulto del genere ‹Homo› vissuto intorno a 1,8 milioni di anni fa, associato perfettamente a una mandibola trovata cinque anni prima. È il reperto meglio conservato al mondo per capire l’anatomia della testa dei primi rappresentanti del nostro genere. Inoltre, come abbiamo visto, l’insediamento di Dmanisi è il più antico mai rinvenuto finora al di fuori dell’Africa ed è ritenuto un crocevia della prima grande “uscita dall’Africa” dei nostri antenati, avvenuta poco dopo i due milioni di anni fa. L’interesse della scoperta è dunque massimo. Dopo otto anni di lavoro su questi eccezionali reperti, un team internazionale di paleontologi coordinati dallo stesso Lordkipanidze pubblica su “Science”, il 18 ottobre 2013, la descrizione dei fossili e un’ipotesi sul loro possibile significato evolutivo.
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K E Y W O R D S
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[] T. P i e v a n i, ‹H o m o s a p i e n s e a l t r e c a t a s t o f i›, M e l t e m i, 2 0 1 8³ (r i v.).
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