All’Università di Vienna, nel 1916, davanti all’uditorio che ascolta la sua diciottesima lezione di introduzione alla psicoanalisi, Sigmund Freud si canonizza.
Dopo Copernico, che inferse la prima delle grandi mortificazioni all’amore di sé dell’uomo, sino ad allora convinto di un posto centrale e privilegiato nell’universo, e dopo Darwin, che gli tolse anche il vanto di un’origine speciale e nobile nel creato, la psicologia nega ora all’io di essere «padrone in casa propria».
Il riferimento è esplicito alla «scoperta dell’inconscio» e al modo “energico” con cui la psicoanalisi, forte di evidenze empiriche e di spregiudicatezza accademica, la sta eroicamente difendendo contro tutti. È l’enunciazione di quella che già Henri Ellenberger e Frank Sulloway avevano stigmatizzato chiamandola «leggenda freudiana»: l’affermazione perentoria da parte di Freud del carattere rivoluzionario e epocale della psicoanalisi, la denuncia delle ostilità feroci e delle “resistenze” irrazionali contro di essa e l’insistenza sulla «forza morale» necessaria ad affrontarle, infine la negazione di validità ad ogni teoria rivale e la “dimenticanza” di qualsiasi debito e riconoscimento verso il passato della psicologia e della psichiatria.
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K E Y W O R D S
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