Quando le grandi antropomorfe vennero scoperte dalle persone alfabetizzate dell’antichità classica, o forse ancor prima, la reazione intuitiva fu quella di considerarle una variante del genere umano, come è testimoniato dalla loro più antica descrizione in nostro possesso a opera di Annone, il famoso navigatore cartaginese. Nel v secolo a.C., esplorando le coste dell’Africa occidentale, egli incontrò «selvaggi… dal corpo coperto di peli, che gli interpreti chiamavano Gorilla». Annone conosceva l’uomo e conosceva le scimmie non antropomorfe. Leggendo il suo racconto non permangono dubbi sul gruppo a cui attribuì i Gorilla (che erano probabilmente degli scimpanzé). Ma, come dice il proverbio, la troppa familiarità porta il disprezzo, e in epoca vittoriana le antropomorfe erano diventate creature ottenebrate che nulla avevano da spartire con l’umanità. I visitatori degli zoo, nella migliore delle ipotesi, le consideravano una ridicola caricatura dell’uomo. Ma oggi sappiamo su di loro molto più di quanto sapessero i nostri antenati vittoriani, e ciò che abbiamo imparato dimostra che sono considerevolmente più complesse di quanto implichi la loro immagine popolare.
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K E Y W O R D S
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[] I. T a t t e r s a l l, ‹I l c a m m i n o d e l l’ u o m o›, B o l l a t i B o r i n g h i e r i, 2 0 1 1.
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