Non c’è dubbio, quindi, che quando passiamo dai lemuri alle scimmie non antropomorfe e da queste prima alle antropomorfe e infine all’uomo, l’ambiente sociale immediato in cui queste creature vivono e si muovono diventi sempre più complesso: in altri termini, esso occupa una parte via via più ampia del loro ambiente totale. Quello delle popolazioni umane urbanizzate corrisponde spesso all’intero ambiente, con conseguenze che esamineremo in seguito. Dunque non è difficile capire perché mentre numerosi primatologi hanno cercato spiegazioni dell’organizzazione complessiva di gruppi di primati nell’ambiente esterno — la minimizzazione della predazione, il più efficiente sfruttamento delle risorse disponibili e così via — coloro che erano interessati ai meccanismi che promuovono un accrescimento dell’intelligenza hanno invece preferito guardare alla complessità delle interazioni interindividuali ‹entro› i gruppi sociali. E ciò che hanno trovato li ha condotti a definire «machiavellica» l’intelligenza richiesta dalle interazioni di questo tipo. La ragione principale di una definizione così poco lusinghiera (o forse il contrario?) è che la vita nell’ambito di gruppi sociali i quali, diversamente dalle colonie di api, sono composti di individui il cui comportamento è in gran parte volontario, non è certamente un esempio di armoniosa cooperazione. Al contrario, gli individui sono in competizione reciproca per una vasta gamma di risorse fra cui quelle essenziali come il cibo, lo status e il sesso, ed è qui che entrano in gioco gli aspetti machiavellici dell’intelligenza.
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K E Y W O R D S
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• _intelligenza
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[] I. T a t t e r s a l l, ‹I l c a m m i n o d e l l’ u o m o›, B o l l a t i B o r i n g h i e r i, 2 0 1 1.
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