In terzo luogo, le variazioni genetiche che conducono rapidamente all’incompatibilità riproduttiva con la specie madre non necessariamente corrispondono a una variazione proporzionale dei caratteri morfologici: magari i due fringuelli si assomigliano ancora a tal punto che non riusciamo a distinguerli, eppure non si incrociano più. Questo elemento indusse Mayr a dare una nuova e più precisa definizione del concetto di specie, che tenesse conto della soglia di divario genetico oltre la quale non vi è più incrocio fra organismi di due popolazioni. Indipendentemente dalle somiglianze o dalle divergenze morfologiche, Mayr postulò che una nuova specie nascesse ogniqualvolta tutti gli individui di una data popolazione non si incrociavano più in modo fecondo con i membri della specie madre.
L’idea che le specie sfumino gradualmente e impercettibilmente l’una nell’altra venne ridimensionata. Non è l’unico modo possibile. Con la teoria della speciazione allopatrica Mayr trasse le opportune conseguenze di quel pensiero “popolazionale” che lo stesso Darwin aveva introdotto nella sua opera. Le innovazioni evolutive nascono all’interno di popolazioni e si propagano a partire dal successo differenziale di singoli individui “unici”. Quando una piccola popolazione resta separata dal corpo principale della specie, va alla deriva e accumula variazioni genetiche lino al superamento della soglia di inincrocio con i membri della specie madre.
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K E Y W O R D S
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[] T. P i e v a n i, ‹H o m o s a p i e n s e a l t r e c a t a s t o f i›, M e l t e m i, 2 0 1 8³ (r i v.).
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