Il merito di avere connesso questa intuizione, presente ‹in nuce› nella teoria della speciazione allopatrica, con la realtà dei dati paleontologici fu di due allievi di Ernst Mayr, Niles Eldredge e Stephen J. Gould. I due giovani paleontologi, nel corso delle loro prime ricerche sul campo nella seconda metà degli anni Sessanta, avevano notato che le specie osservabili non sembravano affatto sfumare l’una nell’altra impercettibilmente né sembravano accelerare improvvisamente un ritmo di cambiamento altrimenti uniforme. La documentazione geologica mostrava ai loro occhi due fenomeni complementari: le specie mostravano lunghi periodi di generale stabilità, durante i quali subentravano pochissimi cambiamenti morfologici, solcati da brevi periodi di cambiamento durante i quali comparivano repentinamente nuove forme. Le specie sembravano spuntare rapidamente come funghi, per poi rimanere uguali a se stesse per milioni di anni, salvo poi estinguersi spesso con la medesima rapidità del loro arrivo. Questo schema non gradualista era davvero il frutto perverso di una scarsa e inaffidabile documentazione? O c’era dell’altro?
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K E Y W O R D S
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[] T. P i e v a n i, ‹H o m o s a p i e n s e a l t r e c a t a s t o f i›, M e l t e m i, 2 0 1 8³ (r i v.).
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