Esaminando le caratteristiche geologiche e ambientali dei maggiori siti di ritrovamento dei resti di australopitecine si può immaginare che questi primi ominini, dotati di un nuovo adattamento che in prima istanza rese le loro performances soltanto più flessibili, avessero cominciato a esplorare le zone aperte a ridosso della foresta. Devono averlo fatto con molta cautela e riservandosi la possibilità di veloci ritirate sugli alberi, dato l’elevato rischio di essere preda dei grossi felini negli spazi aperti. Nel 2016 una rianalisi delle fratture di compressione rinvenute sullo scheletro di Lucy ha permesso di concludere che la sua morte fu dovuta alla caduta da un albero di almeno 12 metri.
Tuttavia l’esplorazione in spazi aperti doveva essere parsa loro interessante, se non l’abbandonarono mai nelle centinaia di migliaia di anni seguenti. Dinanzi alla scomparsa graduale della foresta essi dovettero affinare le loro capacità di locomozione bipede per attraversare e abitare (almeno di giorno) le grandi distese erbose, fino all’acquisizione di una postura eretta completa ed esclusiva.
Muoveva allora i primi passi la storia della coevoluzione imprevedibile fra una famiglia di scimmie bipedi, intraprendenti e con uno spiccato senso dell’esplorazione di nuovi territori, e il multiforme habitat dell’Africa orientale e meridionale. Una storia di colonizzazioni e di migrazioni nella quale i fattori ambientali e geografici saranno decisivi almeno quanto quei fattori genetici che, sotto l’effetto della selezione naturale, plasmano gli adattamenti degli organismi.
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K E Y W O R D S
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[] T. P i e v a n i, ‹H o m o s a p i e n s e a l t r e c a t a s t o f i›, M e l t e m i, 2 0 1 8³ (r i v.).
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