Darwin e l’evoluzionismo sembravano dimenticati. Scarsi cenni se ne trovano nei trattati di genetica scritti prima del 1930. Pareva che questa disciplina non potesse arrecare alcun contributo originale all’ormai annoso problema evoluzionistico: anzi, constatando una notevole costanza del patrimonio ereditario, sembrò ad alcuni che essa fosse antievoluzionistica.
Ma non era così. Soltanto, per potere considerare l’evoluzione da un punto di vista nuovo, che non fosse una ripetizione di quei fatti, di quei pochi esperimenti e di quelle molte speculazioni di cui s’era ormai sazi, era necessario aver risolto prima il grande problema dell’ereditarietà. Quando la genetica ebbe raccolto dati sufficienti a illustrare le basi fisiche dell’eredità (geni e cromosomi) e della variabilità ereditaria (mutazioni geniche, cromosomiche, cariotipiche), e le leggi che regolano la trasmissione dei caratteri ai discendenti, allora, sulla base di queste informazioni, essa si volse a considerare nuovamente il problema dell’evoluzione. Ebbe così inizio, circa il 1930, l’indirizzo che si suol chiamare «genetica delle popolazioni» e che è oggi fiorente.
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[] C h. D a r w i n, ‹L’ o r i g i n e d e l l e s p e c i e›, B o l l a t i B o r i n g h i e r i, 2 0 1 5.
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