È facilmente comprensibile che un naturalista, considerando l’origine delle specie, riflettendo sulle affinità reciproche degli organismi viventi, sulle loro relazioni embriologiche, sulla distribuzione geografica, sulla successione geologica, ed altri simili fatti, possa giungere alla conclusione che le specie non sono state create indipendentemente l’una dall’altra, ma sono derivate, come varietà, da altre specie. Una conclusione di questo genere, però per quanto ben fondata, non potrebbe essere soddisfacente finché non si potesse dimostrare in che modo le innumerevoli specie che abitano questa terra si siano modificate, e abbiano acquistato quella perfezione di struttura e di coadattamento che giustamente suscita la nostra ammirazione. I naturalisti considerano sempre le condizioni esterne, ad esempio il clima, il cibo ecc., come le sole possibili cause di variazione. In un certo senso molto limitato, come vedremo in seguito, questo può esser vero; ma è assurdo, ad esempio, attribuire alle sole condizioni esterne la struttura del picchio, con quei piedi, quella coda, quel becco e quella lingua così mirabilmente adatti a catturare gli insetti sotto la corteccia degli alberi. Così, nel caso del vischio, che trae nutrimento da determinate piante, i cui semi debbono essere trasportati da certi uccelli, e i cui fiori, essendo di sessi diversi, richiedono necessariamente l’opera di certi insetti che trasportino il polline da un fiore all’altro, sarebbe ugualmente assurdo spiegare la struttura di questo parassita, e le sue relazioni con numerosi e vari organismi viventi, in base agli effetti delle condizioni esterne, dell’abitudine, o della volontà della pianta stessa.
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[] C h. D a r w i n, ‹L’ o r i g i n e d e l l e s p e c i e›, B o l l a t i B o r i n g h i e r i, 2 0 1 5.
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