Già fugato da Irmscher, cit., l’equivoco è stato oggi totalmente dissipato da E. Livrea, ‹AP 9.400: iscrizione funeraria di Ipazia?›, «Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik» 117 (1997), pp. 99-102, che confermando sia l’attribuzione dell’epigramma a Pallada sia il suo carattere di celebrazione di una «santa» del paganesimo, lo suppone scritto «come epigrafe su una tomba o un cenotafio di Ipazia, che si immagina collocato in un tempio pagano oppure, meglio in un’istituzione educazionale (per es. di impronta platonica) ad Alessandria» e in cui «la raffigurazione forse musiva della volta celeste che accoglie Ipazia come ipostasi della Vergine sarà stata ben poco differente dai coevi mosaici cristiani».
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[] S. R o n c h e y, ‹I p a z i a. L a v e r a s t o r i a› (2 0 1 0), B U R, 2 0 1 1.
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