Repubblica (16/11/2013) • Simone Weil… (5-7)

  •  V a n n i n i   (2 0 1 3)  •  … M i s t i c a  o  e r e t i c a ?  L’ u l t i m o  p r o c e s s o  •

Simone combatte perciò questo concetto di fede come immaginazione, e ugualmente la teologia come invenzione: nel Vangelo, scrive, non c’è una teologia, ma una concezione della vita umana. Gesù chiede infatti ai suoi discepoli un radicale cambiamento, una conversione, riconoscendo la malizia essenziale della propria psiche, che tutto sottomette ai propri fini (questo il vero senso del “peccato originale”!): la rinuncia a se stesso, questo, e niente altro, è l’insegnamento evangelico.

Il cristianesimo della Weil è perciò tragico, centrato sulla croce, simbolo della morte dell’egoità, tanto che — ella scrive — si potrebbe anche fare a meno della resurrezione. È un cristianesimo ben lontano da quello, ottimistico, che parla di affettuosi “disegni di Dio” verso l’uomo — una menzogna, questa, offensiva del ‹malheur›, della infelicità, della sventura, insopprimibile dalla condizione umana.

Con il suo concetto di “decreazione”, spogliamento dell’egoità, la Weil si inserisce così a pieno titolo nella grande mistica, tanto d’occidente quanto d’oriente.

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K E Y W O R D S
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