I paleoantropologi, infatti, non si limitarono ad assorbire passivamente i nuovi principi dell’evoluzionismo ma, affascinati, restarono ad ascoltare Dobzhansky, Mayr e Simpson che spiegavano loro come interpretare la documentazione fossile che in realtà era il loro dominio. Il fatto che nessun membro di questo triunvirato — salvo forse Simpson, il più discreto dei tre — possa avere avuto qualcosa di più di qualche contatto passeggero con la documentazione fossile umana, sembra aver contato molto poco dinanzi alla formidabile reputazione di cui ciascuno di questi signori godeva e agli atteggiamenti autorevoli che essi assumevano.
Dobzhansky cominciò a condividere le proprie opinioni con i paleoantropologi sin dal 1944. Facendo osservare che tutte le popolazioni sono variabili e che la maggior parte delle specie è composta da un mosaico di popolazioni locali distintive, concluse che mentre l’evoluzione umana a partire dall’uomo di Giava (una forma umana risalente a circa un milione di anni or sono, ora ascritta alla specie ‹Homo erectus›) era stata ricca di eventi, tutti questi eventi avevano avuto luogo entro i confini della singola specie ‹Homo sapiens›. Inoltre per l’intera durata dell’evoluzione umana, dichiarò Dobzhansky, «per quanto ne sappiamo, non esisté più di una specie ominide in corrispondenza di ciascun livello di tempo».
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K E Y W O R D S
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[] I. T a t t e r s a l l, ‹I l c a m m i n o d e l l’ u o m o›, B o l l a t i B o r i n g h i e r i, 2 0 1 1.
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