Repubblica (16/11/2013) • Simone Weil… (8-10)

  •  V a n n i n i   (2 0 1 3)  •  … M i s t i c a  o  e r e t i c a ?  L’ u l t i m o  p r o c e s s o  •

Non a caso riconobbe nella tradizione dell’India, nelle sue Scritture, dalla ‹Bhagavad Gita› ai testi buddisti, lo stesso insegnamento del vangelo: quello del distacco assoluto — distacco dall’io come da Dio. Per un verso, infatti, «è il peccato in me a dire “io”. Tutto ciò che io faccio è cattivo, senza eccezione, compreso il bene, perché io è cattivo. Io sono tutto. Ma questo io è Dio e non è un io». Per un altro verso, specularmente, «dobbiamo spogliare Dio della sua divinità per amarlo, perché se si va a Dio senza svuotarlo della sua divinità, si tratta allora di Yahweh o Allah» — cioè di due idoli.

Se questa duplice, ma in realtà semplice, operazione viene compiuta, tutto appare uno, tutto appare buono, con quel senso di realtà, presenza, gioia, che mostra l’eterno nel presente. Che il reale sia tutto quanto buono e bene, è un pensiero che accomuna la Weil alla grande tradizione mistico-filosofica, dal primo filosofo del ‹logos›, Eraclito, a Eckhart a Spinoza, che scriveva essere il pensiero del male proprio solo degli iniqui, ovvero di coloro che hanno in mente se stessi e non Dio.

Infatti, anche per Simone, «Il reale è per il pensiero umano la stessa cosa che il bene».

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K E Y W O R D S
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